Il bambino chiese alla bambina di dire nel barattolo: “Ti amo”, senza fornirle altre spiegazioni.

E lei non gliene chiese, né disse ‘che sciocchezza’, o ‘siamo troppo giovani per l’amore’; e non suggerì neanche alla lontana che diceva ‘ti amo’ perché glielo aveva chiesto lui. Invece, gli rispose: “Ti amo”.
Il messaggio viaggiò per lo yo-yo, la bambola, il diario, la collana, la trapunta, il filo da bucato, il regalo di compleanno, l’arpa, la bustina da tè, la racchetta da tennis, l’orlo della gonna che un giorno lui avrebbe dovuto toglierle…
“Che schifo!”
Il bambino coprì il suo barattolo con un coperchio, lo staccò dalla corda e collocò l’amore della bambina per lui su un ripiano nel proprio armadio. Ovviamente, non poté mai aprire il barattolo perché altrimenti avrebbe perso il contenuto.
Gli bastava sapere che era lì.

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La pienezza della vita..

 

La vita, amore mio, è la pienezza.
La vita sono un uomo e una donna che si incontrano
perché sono fatti l’uno per l’altra,
perché sono, l’uno per l’altro,
ciò che la pioggia è per il mare:
l‘uno torna sempre a cadere nell’altro,
si generano a vicenda,
l’uno è la condizione dell’altro.
Da tale pienezza nasce l’armonia,
e in questo consiste la vita.
Una cosa rarissima fra gli esseri umani.

Sándor Márai

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Il più bell ‘ inno all’ amore ,che mai sia stato scritto…

 

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi l’amore,
sono come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi l’amore,
non sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,
ma non avessi l’amore,
niente mi gioverebbe.
L’amore è paziente,
è benigno l’amore;
non è invidioso l’amore,
non si vanta,
non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta.
L’amore non avrà mai fine.

San Paolo (Lettera ai Corinzi)

 

dipinto di Nicoletta Banti

 

Come Neruda amo il vento, messaggero di voci, di carezze di baci.Ah se potessi anch’io disperdermi nel vento, per giungere più in fretta da te, amore mio!!

Ti manderò un bacio col vento

Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò li.
Siamo fatti della stessa materia
di cui sono fatti i sogni
Vorrei essere una nuvola bianca
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante.
Se sei un sogno non svegliarmi.
Vorrei vivere nel tuo respiro
(Mentre ti guardo muoio per te
Il tuo sogno sarà di sognare me
Ti amo perché ti vedo riflessa
in tutto quello che c’è di bello)
Dimmi dove sei stanotte
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso
arrivare fino al cuore.
Vorrei arrivare fino al cielo
e con i raggi del sole scriverti ti amo.
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano
il tuo profumo!
(Vorrei fare con te quello
che la primavera fa con i ciliegi)

Pablo Neruda

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Quando i sentimenti sono veri…

Quante volte dobbiamo soffocare ancora un sentimento vero, vero a tal punto da non poterlo negare a noi . Un sentimento che esplode dentro noi e che, non implica un corpo nell’altro..

La vita è assurda per certi versi, si parla d’amore così spesso che quasi ci si dimentica di cosa sia in realtà. Si sente parlare di questo sentimento a tal punto da vedere che poi è una grande illusione . Amare che sarà mai ? Non si definisce nelle parole e in quei modi semplici  che dicono  che amare è  semplicemente tenere la mano di qualcuno ,che poi nel tempo  ritroverai  su un divano con un giornale e in una cucina a vedere telenovelas, nè   volere ricreare un senso  per quell’ amore  quando questo è già finito. Amare è un libertà talmente grande che non include due soggetti ma include un mondo intero. I sentimenti potranno anche avere scale che indicano il valore, ma questo è solo un modo impaurito di definire un sentimento vero. Amare non conosce uomo e donna ,conosce solo l’universo e noi in quello che siamo indipendentemente da cosa siamo . Ma come spesso devo vedere tutto deve essere ordinario perchè uscire da questo è l’incubo di un mondo intero. Che non è pronto a questo, non è adattato a dire qualcosa che non sia racchiuso in due persone all’interno di un concetto chiamato famiglia.
Sentimenti veri ,quelli che invece vivono in coloro che sanno dare e ricevere amore e io, dico amore non dico un volere bene che sminuisce solo un sentimento diverso, ma che piccolo non è. Perchè come si piange per amore si piange pure per un tvb . Quindi la scala meglio vederla in salita  piuttosto che nelle parole che non diciamo .

Sentimenti veri ,quelli che al di là della coppia ci fanno volare ,quelli che al di là di mille persone ci fanno sentire bene , quelle carezze innocenti che ricevi da qualcuno, come una madre verso un figlio. Amore vero quello che non conosce solo il sesso che unisce per poi  denigrare qualcuno, per poi portare a merce da mercato uomini e donne e che, se visto in contesti diversi, parla  invece d’amore. Il sesso è un fusione totale tra due persone che con un sentimento trovano una meditazione totale nel vivere il corpo in estasi .. Ma questo è il miraggio che rimane per molti . Amare è la semplice via di una libertà che fa abbracciare colori diversi, con parole diverse, con mondi  dissimili, uomini e donne ,animali, piante e Dio stesso. Quando non temi più il sentimento e non gli dai un nome per darlo sei Tu Dio, L’amore è Dio ,il sentimento vero, chiamalo come vuoi . Ma pensa a una cosa: è l’unica religione dell’universo intero che non lotta contro un diverso e che unisce tutti sempre.

Il mondo e coloro che ci vivono dimenticano spesso cosa sia un sentimento vero, perchè  dimenticano il senso della libertà. Un sentimento non conosce limiti e barriere e nemmeno ha l’esclusiva di qualcosa e qualcuno. Se questo fosse i messo in una luce nuova il mondo sarebbe rosso amore per sempre……

Non serve oggi mentire alla verità, anche se la verità è oscurata dall’ipocrisia fatta per tutelare coloro che oltre al limite che conoscono non possono vedere altro. E’un comodo  che può diventare violento, perchè porta spesso a vincolare cose e persone, a porre una tristezza unica e dire non posso, non voglio , ma perchè? E’ solo negarsi un sentimento che fa vivere secondo la natura stessa e non contro di essa. La natura mostra la verità assoluta e l’uomo  la nasconde dietro il “valore”. Il valore è solo un vincolo che decide chi e come e perché e ci impedisce di ammettere che una relazione è finita , una banale giustificazione che ci fa sentire deboli nel non saper accettare una responsabilità vera: quella di porre fine a qualcosa senza un valido motivo , ma che,  coll’aiuto di pretesti nascondiamo il  desiderio e il diritto alla libertà.

Il mio pensiero potrà fare anche ridere, ma io che so piangere per poco e so ridere in un nulla, vedo una tristezza in questo. Perchè ammettere a volte di essere come si è , di pensarla diversamente da una massa ordinaria, è un gesto pericoloso che tende a isolare.
Ma penso che chi, non vive pericolosamente non ha mai iniziato a vivere davvero. Pianto e risate, estasi e solitudine sono solo un modo di vita nell’esperienza di una meditazione unica.

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L’amore è un dono speciale e meraviglioso; ma l’amore è anche un diritto per tutti!

Caterina Storti è nata per il cognome che porta. Ha la sindrome di Down, ed è per questo che ha gli occhi di mandorla: anche il loro colore è uguale. Ogni giorno li sfuma con dell’ombretto rosa e quando la scorgi mentre spinge il carrello della biancheria dell’ospedale sembra che due petali le carezzino lo sguardo. A mezzogiorno, prima di andare in mensa, si riassetta il lucidalabbra perché, dice, una donna deve sempre essere in ordine. Fa bello. Linda, la coordinatrice in lavanderia, la schernisce affermando che è una civetta e Caterina prima ride, poi, la prende sottobraccio e le risponde: come te!
Mario Loda, invece, non sa perché è nato così. Non è per colpa del cognome, e neanche gli occhi a mandorla gli sono stati fedeli; i suoi sono azzurri, come i nontiscordardime. Però ha lunghi ricci castani che gli contornano il viso e Piero, il suo capo in magazzino, lo chiama Rubacuori. Quando va a consegnare le merci nei reparti o negli uffici, tutte le donne lo vezzeggiano e gli fanno piccoli regali, ma lui non sa se è contento; sa solo che diventa tutto rosso e che sente qualcosa che non sa spiegare, come un groppo nella pancia. Allora corre via e torna in magazzino, passando per il parcheggio perché l’aria gli piace e gli porta via il nodo che ha dentro.
Ė lì che è diventato amico di Caterina: la lavanderia è un prefabbricato vicino all’ospedale, a ridosso del parcheggio. Con lei Mario non ha mai il groppo e non diventa rosso; e poi gli piacciono i suoi occhi marroni.
«Ma i tuoi sono più belli», gli aveva detto Caterina un giorno, «guarda, sono come questi nontiscordardime». Caterina ne aveva raccolti cinque dall’aiola e glieli aveva regalati. Lui li aveva messi nel portafoglio anche se gli dispiaceva stropicciarli, ma così non li avrebbe mai persi.
Il giorno dopo Mario era andato in lavanderia, invitando Caterina a bere un caffè al bar. Gli sembrava giusto, dopo il regalo dei fiori. Forse è lì che è cominciato tutto. Piaceva a tutti e due bere il caffè insieme e chiacchierare un po’. Veramente parlava soprattutto Caterina, e Mario ascoltava; lei gli raccontava di come era brava a piegare le lenzuola, sempre dritte e con gli orli tutti a posto. Poi, quando aveva finito il lavoro, andava a fare la spesa per tutta la famiglia e le piaceva dipingere fiori. Gli aveva anche portato i suoi disegni, una volta. Mario, invece, era un vero esperto di musica. Le aveva fatto conoscere il jazz, il blues, la musica classica e tante altre bellissime canzoni! Sapeva tutto degli autori e le raccontava le loro vite come se avesse studiato l’enciclopedia della musica del mondo.
«Oggi è San Valentino», aveva esclamato Caterina quel giorno. «Il mio papà regala sempre alla mamma un mazzo di rose uguale al numero degli anni che si conoscono. Non so come fa, ma quando ci alziamo c’è già il mazzo sul tavolo della colazione. Per me butta giù dal letto il fioraio».
Si erano messi a ridere, e Mario, insieme al caffè, le aveva comperato anche un bacio perugina.
Caterina aveva letto a Mario il biglietto trovato nell’involucro del cioccolatino: Il vero amore è una quiete accesa (G. Ungaretti).
«Cosa vuol dire?» aveva chiesto Mario, dopo averci pensato un po’.
«Non lo so», aveva risposto lei. Ma dopo le si erano illuminati gli occhi e aveva detto: «Forse vuol dire che l’amore è come quando c’è il sole a giugno. Sai quando non fa mica troppo caldo, con il cielo tutto azzurro e il paese che sembra colorato con le tempere!». Poi gli aveva dato un bacio, lungo, sulle labbra.
Mario era rimasto fermo come un salame. Era diventato tutto rosso e poi era corso via, per colpa del nodo nella pancia. Ma questa volta era diverso: non voleva che l’aria se lo portasse via.
Caterina, invece, era tornata in lavanderia saltellando, con un caldo dentro che anche se era febbraio sembrava giugno.
La sera, a casa, la mamma l’aveva presa in disparte e le aveva fatto un lungo discorso. «Hai capito, Caterina, perché non puoi continuare a incontrarti con Mario?», aveva concluso, accarezzandole la testa.
«No», aveva risposto lei, con gli occhi pieni di lacrime.
Anche al lavoro Linda non la lasciava più uscire da sola. La accompagnava dappertutto, anche a consegnare la biancheria nei reparti. Un giorno avevano persino litigato e Caterina le aveva urlato tutto il suo odio. Ma non era servito a niente.
Erano passati diciotto mesi e sei giorni, quando sua madre l’aveva raggiunta al lavoro, un pomeriggio; lei e Linda le avevano raccontato che Mario era morto, per la leucemia. Quel giorno c’era il funerale; potevano andarci, se voleva.
Caterina rispose di sì.

Ora può di nuovo uscire da sola. Finito il turno di lavoro, si riassetta il lucidalabbra e, prima di andare a casa, passa dal cimitero a chiacchierare con Mario.
Quando sono fioriti, gli porta ogni giorno cinque nontiscordardime.
«Vedi», gli dice mentre li cambia nel vasetto ai piedi della lapide «questi non si possono stropicciare».
Poi, prima di andar via, bacia sempre le sue labbra nella foto. E sente un caldo che, per un attimo, giugno sembra durare un anno intero.

Lara Gregori, nontiscordardime
down

L’amore è un dono, non solo; l’amore è un diritto di tutti…

Caterina Storti è nata per il cognome che porta. Ha la sindrome di Down, ed è per questo che ha gli occhi di mandorla: anche il loro colore è uguale. Ogni giorno li sfuma con dell’ombretto rosa e quando la scorgi mentre spinge il carrello della biancheria dell’ospedale sembra che due petali le carezzino lo sguardo. A mezzogiorno, prima di andare in mensa, si riassetta il lucidalabbra perché, dice, una donna deve sempre essere in ordine. Fa bello. Linda, la coordinatrice in lavanderia, la schernisce affermando che è una civetta e Caterina prima ride, poi, la prende sottobraccio e le risponde: come te!
Mario Loda, invece, non sa perché è nato così. Non è per colpa del cognome, e neanche gli occhi a mandorla gli sono stati fedeli; i suoi sono azzurri, come i nontiscordardime. Però ha lunghi ricci castani che gli contornano il viso e Piero, il suo capo in magazzino, lo chiama Rubacuori. Quando va a consegnare le merci nei reparti o negli uffici, tutte le donne lo vezzeggiano e gli fanno piccoli regali, ma lui non sa se è contento; sa solo che diventa tutto rosso e che sente qualcosa che non sa spiegare, come un groppo nella pancia. Allora corre via e torna in magazzino, passando per il parcheggio perché l’aria gli piace e gli porta via il nodo che ha dentro.
Ė lì che è diventato amico di Caterina: la lavanderia è un prefabbricato vicino all’ospedale, a ridosso del parcheggio. Con lei Mario non ha mai il groppo e non diventa rosso; e poi gli piacciono i suoi occhi marroni.
«Ma i tuoi sono più belli», gli aveva detto Caterina un giorno, «guarda, sono come questi nontiscordardime». Caterina ne aveva raccolti cinque dall’aiola e glieli aveva regalati. Lui li aveva messi nel portafoglio anche se gli dispiaceva stropicciarli, ma così non li avrebbe mai persi.
Il giorno dopo Mario era andato in lavanderia, invitando Caterina a bere un caffè al bar. Gli sembrava giusto, dopo il regalo dei fiori. Forse è lì che è cominciato tutto. Piaceva a tutti e due bere il caffè insieme e chiacchierare un po’. Veramente parlava soprattutto Caterina, e Mario ascoltava; lei gli raccontava di come era brava a piegare le lenzuola, sempre dritte e con gli orli tutti a posto. Poi, quando aveva finito il lavoro, andava a fare la spesa per tutta la famiglia e le piaceva dipingere fiori. Gli aveva anche portato i suoi disegni, una volta. Mario, invece, era un vero esperto di musica. Le aveva fatto conoscere il jazz, il blues, la musica classica e tante altre bellissime canzoni! Sapeva tutto degli autori e le raccontava le loro vite come se avesse studiato l’enciclopedia della musica del mondo.
«Oggi è San Valentino», aveva esclamato Caterina quel giorno. «Il mio papà regala sempre alla mamma un mazzo di rose uguale al numero degli anni che si conoscono. Non so come fa, ma quando ci alziamo c’è già il mazzo sul tavolo della colazione. Per me butta giù dal letto il fioraio».
Si erano messi a ridere, e Mario, insieme al caffè, le aveva comperato anche un bacio perugina.
Caterina aveva letto a Mario il biglietto trovato nell’involucro del cioccolatino: Il vero amore è una quiete accesa (G. Ungaretti).
«Cosa vuol dire?» aveva chiesto Mario, dopo averci pensato un po’.
«Non lo so», aveva risposto lei. Ma dopo le si erano illuminati gli occhi e aveva detto: «Forse vuol dire che l’amore è come quando c’è il sole a giugno. Sai quando non fa mica troppo caldo, con il cielo tutto azzurro e il paese che sembra colorato con le tempere!». Poi gli aveva dato un bacio, lungo, sulle labbra.
Mario era rimasto fermo come un salame. Era diventato tutto rosso e poi era corso via, per colpa del nodo nella pancia. Ma questa volta era diverso: non voleva che l’aria se lo portasse via.
Caterina, invece, era tornata in lavanderia saltellando, con un caldo dentro che anche se era febbraio sembrava giugno.
La sera, a casa, la mamma l’aveva presa in disparte e le aveva fatto un lungo discorso. «Hai capito, Caterina, perché non puoi continuare a incontrarti con Mario?», aveva concluso, accarezzandole la testa.
«No», aveva risposto lei, con gli occhi pieni di lacrime.
Anche al lavoro Linda non la lasciava più uscire da sola. La accompagnava dappertutto, anche a consegnare la biancheria nei reparti. Un giorno avevano persino litigato e Caterina le aveva urlato tutto il suo odio. Ma non era servito a niente.
Erano passati diciotto mesi e sei giorni, quando sua madre l’aveva raggiunta al lavoro, un pomeriggio; lei e Linda le avevano raccontato che Mario era morto, per la leucemia. Quel giorno c’era il funerale; potevano andarci, se voleva.
Caterina rispose di sì.

Ora può di nuovo uscire da sola. Finito il turno di lavoro, si riassetta il lucidalabbra e, prima di andare a casa, passa dal cimitero a chiacchierare con Mario.
Quando sono fioriti, gli porta ogni giorno cinque nontiscordardime.
«Vedi», gli dice mentre li cambia nel vasetto ai piedi della lapide «questi non si possono stropicciare».
Poi, prima di andar via, bacia sempre le sue labbra nella foto. E sente un caldo che, per un attimo, giugno sembra durare un anno intero.

Lara Gregori, nontiscordardime
down

Vorrei quel che non sarà mai più…

Quel Che Non Sarà Mai…

Vorrei sentire il tuo odore profumato di te
che risveglia tutti i miei sensi,
e mi fa sentire viva
vorrei toccarti,
percorrere le linee dure del tuo corpo,
che mi fa sentire donna
vorrei assaggiarti
piano piano
per sentire il tuo sapore ribollire sul mio palato,
che mi fa avere ancora più fame
vorrei fare l’amore con te
perdermi in te e tu perderti in me,
sentire il nostro piacere che esplode insieme…
che ci travolge…
e ci fa sentire amanti
e sentire quell’estasi che solo un atto d’amore può…
vorrei quel che non sarà mai…

Anne Sexton

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L’alchimia dell’amore, un sogno che diventa vita, solitudini d’oro vibranti di luce..

Il solo alchimista capace di cambiare tutto in oro è l’amore ,sortilegio contro la morte, la vecchiaia, la vita abitudinaria. E l’oro è quello dei sogni, che adoro, specialmente quelli ad occhi aperti. Per questo non ho bisogno di oppio. Ho un dono per questo, mi basta prenderlo quando è in fuga. Lui era il mio sogno, sempre davanti a me .Raggiungerlo, trascorrervi un momento all’unisono, quello era il miracolo. I sogni passano nella realtà delle azioni. Dalle azioni deriva di nuovo il sogno; e questa interdipendenza produce la forma più alta di vita nel mondo del sognatore dove c’è solitudine: tutte le esaltazioni e le gioie arrivano nel momento della preparazione alla vita. Volevo mordere la vita, ed esserne fatta a pezzi. Non ho mai capito perchè due persone cucite insieme da sentimenti che si rispondevano come un’eco emettessero una fosforescenza , come se ciascuno di loro gettasse sull’altro la luce riflessa del proprio sogno interiore. Frecce elettriche… attraversano il corpo. Un arcobaleno di colori colpisce le palpebre.
Una schiuma di musica cade sopra le orecchie.
È il gong dell’orgasmo.

sophie marceux1

Faccio l’amore con un fantasma… e so che sei tu!

Lenzuolo di sopra.

Piegato con cura mi sono sistemato
tra la biancheria dell’armadio

Hai tirato fuori le lenzuola del tuo letto
e mi hai messo come lenzuolo di sopra

Sei scivolata sotto il copriletto
e ti ho coperta centimetro per centimetro

Allora siamo stati spazzati  dall’uragano
e siamo caduti ansimando  nell’occhio  del ciclone

Adesso giaci bagnata di sudore
con lo sguardo perso nel cielo raso

e il lenzuolo di sopra
ancora aggrovigliato tra le gambe

Oscar Hanh

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