Come reagire alla scomparsa di Dio

 

 

 

Dal presepe di una chiesa sparisce la statuina di Gesù Bambino. Chi l’ha rubata, chi l’ha rapita? La scelta del verbo è decisiva. Se si tratta di un oggetto trafugato, è solo un furto. Se si tratta invece di una figura vivente, che rappresenta una persona sacra e reale, allora è un rapimento. Alla scomparsa di Gesù Bambino in una chiesa, fatto realmente accaduto due anni fa in una parrocchia fiorentina, è dedicato un romanzo dal titolo evocativo: Ribellarsi alla notte, di Mimmo Muolo (ed. Paoline). Un giallo, con una trama in cui s’intrecciano fatti, persone, anime, storie, dolori e felicità. Per noi è la metafora di una situazione reale: viviamo il tempo della scomparsa di Dio, e di suo figlio, Gesù, nella sua espressione più inerme, il Bambino. La statuetta di un presepe non è un idolo ma un’icona, nel senso in cui ne scriveva Padre Florenskij: un simbolo sacro, ponte tra cielo e terra, tra divinità e umanità.
La scomparsa di Dio non riguarda un fatto di cronaca circoscritto a un presepe; ma coinvolge ciascuno di noi. Nel tempo della scomparsa di Dio, Gesù viene sostituito dal suo rutilante supplente laico, Babbo Natale, che porta regali, anziché salvezza eterna. Quando il Natale si eclissa e al suo posto c’è il Pupazzo rosso, la gente non si scambia più gli auguri di Santo Natale ma quelli, più neutri e vacanzieri, di Buona Feste. Il tema investe la Chiesa cattolica e la sua presenza nel mondo. Se accetta di rendere la festa una ricorrenza universale e asettica di ferie, pranzi e regali, il cristianesimo si neutralizza e accetta quel che pure Papa Francesco stigmatizza: la fede ridotta a un fatto privato, quasi nascosto, per non urtare la suscettibilità di chi non è credente o crede in altri dei, anche secolari e profani. Ma cosa può fare la Chiesa per restituire Gesù Bambino al presepe, il Santo Natale alla gente, e la fede al mondo? Certo, non deve arroccarsi nel suo Credo e nella sua religione; deve aprirsi, piuttosto, venire al mondo – come Gesù Bambino – ma senza nascondere la sua vera missione che non è di puro soccorso umanitario e sociale.
È la strada più difficile, tutta in salita, si scontra con l’incomprensione generale e i poteri ostili del nostro tempo; con essi non deve guerreggiare, simulare crociate, ma testimoniare la verità. Non perché ne possegga il monopolio, ma per puro amor del vero; la sua missione è ricercare la verità.
Invece davanti alla scomparsa di Dio e di Gesù Bambino, gli atteggiamenti prevalenti sono due. Fingere che non sia vero, illudersi e illudere che tutto è come sempre; scelta da farisei degna di una religione ridotta a formalismo. Oppure accettare la sua scomparsa, adeguarsi all’assenza di Dio nel mondo, e ridurre la Chiesa al ruolo di assistente morale e sociale dell’umanità, dedicandosi solo ai temi della pace, dell’inclusione, dell’accoglienza. Temi per i quali bastano partiti, movimenti, politiche governative e organizzazioni non governative, patronati sociali, sindacati e associazioni di beneficienza. Non c’è bisogno di scomodare Dio per tutto questo.
La verità della Chiesa è invece rendersi conto del vuoto lasciato dalla scomparsa di Dio: la culla vuota, e le culle vuote d’Occidente, il Dio scomparso dalla vita quotidiana. E ripartire da lì, da quel Buco Nero al centro del mondo e dentro di noi.
Non si può fingere che il mondo non sia cambiato. La fede non va ritrovata arretrando al passato ma attraversando la scristianizzazione. La fede va cercata dopo la sua scomparsa.
Allo stesso mondo, la Chiesa deve pensare il mondo, e il mondo che cambia. Ma non limitandosi a rimarcare la sua universalità, rivolta all’umanità senza muri e confini, ma capace di cogliere pure le differenze. Innanzitutto la cristianità non può fingere di coincidere con l’intera umanità, in lei si riconosce solo una porzione del mondo; altre religioni, altre fedi, altre tradizioni esistono al mondo, non se ne può prescindere. Avere senso della realtà e dei limiti significa anche accettare queste differenze, accettare l’esistenza di altri raggi che portano o dicono di portare al centro dell’Essere. Si tratta dunque di tradurre il riconoscimento di un mondo multipolare anche nel riconoscere la molteplicità delle vie.
Pensare il mondo nella sua differenza vuol dire pure non pensare che il centro del mondo, la novità planetaria, siano i flussi migratori. I migranti sono milioni, un fenomeno importante che non si può ignorare; ma i restanti sono miliardi, e la Chiesa non può preoccuparsi dei primi e trascurare i secondi che sono la stragrande parte dell’umanità. Se è davvero universale, ecumenica, deve considerare loro, occuparsi di chi resta e non soprattutto di chi parte.
Pensare il mondo nelle sue differenze e nei suoi mutamenti, significa poi differenziare i messaggi: l’evangelico “crescete e moltiplicatevi” va oggi rivolto alle popolazioni italiane, europee, del nord occidentale, dove la denatalità galoppa e regredisce il desiderio di nascita. Ma va modulato diversamente laddove la crescita demografica ci sta portando a una situazione senza precedenti; già ora, nel giro di pochi anni, siamo più di otto miliardi sulla faccia della terra. Ci sono aree del mondo in cui il problema è ancora la denutrizione, la fame, la mancanza di assolvere bisogni primari; e ce ne sono altre in cui il problema è invece la sovralimentazione, lo spreco, il calo demografico, le malattie derivate dalla nutrizione eccessiva e sbagliata.
Sono esempi per dire che pensare il mondo vuol dire pensare le differenze nel mondo e i suoi cambiamenti. Ci sono principi e visioni che non mutano col mutare dei tempi, ma ci sono avvenimenti, fenomeni, trasformazioni che sono invece mutate. In questo la chiesa dovrebbe avere la capacità di vivere dentro il proprio tempo e di aggiornare alcuni suoi messaggi. Questo vuol dire essere rigorosi nei principi e innovativi nelle forme e nelle attenzioni, saper essere quelli di oggi e quelli di sempre, non scambiando mai i due piani. Se Dio scompare non possiamo far finta di niente. Dobbiamo ribellarci alla notte, restare fedeli alla vita e predisporci all’attesa della luce.

Marcello Veneziani