5B L’antica Roma 1

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avviso

Catullo

Alcuni carmi con lettura metrica

 Fedro

favole I prol., 10, 14, 25; II 4, 6; III prol., 10, 13, 17;

IV 11, 24; V 8, 9; app. 16, 24, 29, 30

Apuleio

IV 28; V 4, 5, 6, 7, 8, 9, 16, 17, 19, 20, 22, 24

La prosa tecnica

Autori vari e passi diversi, ma tutti commentati

Marziale

I 32, 33, 47; II 7, 8, 38; III 9, 12; IV 19, 69;

V 9, 58; VI 12, 53; IX 10, 68, 78; XI 93

Petronio

Sat. 1, 2, 29

Quintiliano

1 1 15-19, 1-3, 4-7, 1 20-22, 1 24-29, 1 30-34,

1 4 1-5, 1 5 5-7, 2 2 4-8, 41, 10 2 1-4, 10 2 4-8

Virgilio Bucoliche Georgiche

Buc. ecl. 1, 4, 9; Georg. II 109-135, 136-154, 155-176, 177-202;

III 440-469, 470-566

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Tutti i brani sono riportati con resa in italiano a senso,

con note-pilota e abbondanza di aiuti

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Metrica latina

Metrica virgiliana

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Roma di giorno e di notte

Talismani e amuleti

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Un brano “in chiaro”

Terenzio

ADELPHOE1, vv. 26/80

ATTO I – SCENA I2

Metro: senari giambici

Micione illustra il suo metodo educativo3

vv. 26-49

MICIONE: Storace!4 Questa notte Eschino non è tornato dal banchetto e (non si è fatto vedere) nessuno dei servi5 che gli erano andati incontro6.

(E’) proprio vero quello (che) dicono: se te ne stai lontano da casa in qualche luogo e7 se colà indugi troppo, è meglio8 che ti capiti ciò che tua moglie nell’ira dice contro di te e quello che pensa nel suo animo, piuttosto che9 quello che (dicono) i genitori indulgenti.

Se ritardi, tua moglie sospetta o che tu sia preso dall’amore (per un’altra) o che (un’altra donna) sia presa d’amore per te10 o che ti dai al bere11 e te la godi e che tu solo ti dai al bel tempo, mentre12 a lei (solo) tocca tribolare.

Poiché mio figlio non è ritornato, quali pensieri io ho e da quali preoccu­pazioni sono ora agitato13!

O che14 abbia preso freddo15 o che sia caduto in qualche luogo o che si sia rotto le ossa16.

Perbacco! (Ma è mai possibile) che un uomo si metta17 in testa di procu­rarsi18 ciò (= di adottare un figlio) che gli sia più caro di se stesso19!

Eppure20 non è figlio mio, ma di mio fratello21, che22 fin dall’adolescenza è di un carattere23 così24 diverso (dal mio): io mi son dato a questa comoda vita di città25, senza pensieri, e, ciò che costoro considerano una fortuna, una moglie non l’ho avuta mai.

Egli, invece, (ha fatto) tutto il contrario: trascorre26 la vita in campagna, tira a campare sempre tra strettezze e privazioni; ha preso moglie, gli son nati due figli; di essi27 il maggiore28 l’ho adottato io29, l’ho tirato su da pic­colo30; l’ho sempre tenuto con me, gli ho voluto bene come se fosse mio; nell’educarlo è il mio godimento, solo ciò mi è caro.

vv. 50-6331

Mi do da fare32 con cura affinché da parte sua egli abbia verso di me (gli stessi sentimenti): lo fornisco (di denaro), lascio passare le sue stranezze, ritengo che non è necessario che egli faccia ogni cosa secondo il mio di­ritto33; insomma ho abituato mio figlio a non tenermi nascoste quelle (scappatelle) che comporta con sé la giovinezza e che gli altri (giovani) fanno di nascosto dai padri34.

Chi, infatti, si sarà abituato a mentire o avrà il coraggio di ingannare il pa­dre, tanto più avrà il coraggio (di ingannare) gli altri.

Credo che sia meglio tenere a freno i figli (facendo leva) sulla vergogna35 (delle loro colpe) e sull’indulgenza piuttosto che (facendo leva) sul timore (che i padri incutono).

Questo mio (principio) non va a genio a mio fratello né gli piace.

Viene spesso da me a rimproverarmi36: “Che fai, o Micione? Perché mi37 mandi in rovina il giovane? Perché si dà agli amori? Perché si dà al bere? Perché tu gli fornisci denaro38 per queste cose e l’accontenti troppo nel ve­stire? Tu non sei fatto (per educare un giovane)”39.

vv. 64-80

Egli è troppo rigido, al di là del giusto e del ragionevole40, d’altra parte sbaglia di molto, secondo il mio punto di vista, chi crede che l’autorità che si consegue con la forza sia più forte o più duratura di quella che si conse­gue con l’affetto41.

Questa è la mia norma (di vita) e di questo sono convinto: chi compie il suo dovere spinto dal (timore del) castigo, starà in guardia tanto tempo fin­chè crede che sarà scoperto; se invece spera che (la sua colpa) resterà na­scosta, ricade nella sua inclinazione42.

Colui che tu cerchi di conquistartelo con le buone maniere, fa di buon grado (il suo dovere), cerca di ricambiarti (la sua gratitudine) e sarà sempre lo stesso sia che tu gli stia accanto sia che gli stia lontano.

Questo43 è il dovere di un padre, abituare il figlio ad agire bene sponta­nea­mente più che per timore di altri: in ciò differiscono il padre e il pa­drone.

Chi non è capace (di fare) ciò, confessi di non saper governare i figli.

Ma questo44 (che viene) è forse quello stesso di cui parlavo?

Si, è proprio lui.

Lo vedo preoccupato, non so di che cosa: credo che ormai mi farà dei rimproveri, secondo il solito.

Sono lieto che tu giunga in buona salute45, Demea.

ADELPHOE”, vv. 81/154

ATTO I – SCENA II

Metro: senari giambici

Il dissenso di Demea con Micione46

DEMEA: Oh, proprio a proposito! Vado in cerca proprio di te.

MICIONE: Perché sei preoccupato?

D: E me lo domandi dal momento che a noi è (un figlio come) Eschino? Perché io sono preoccupato?

M: Non dicevo che così sarebbe finita? Cosa ha combinato47?

D: Che cosa ha combinato egli che non si vergogna di nulla, non teme nes­suno né crede di essere soggetto a nessuna legge? Infatti non considero ciò che (da lui) è stato commesso prima: che cosa di vergognoso non ha combi­nato poco fa!

M: Di che cosa mai si tratta?

D: Ha sfondato una porta e si è precipitato a forza in casa di altri; ha battuto fino ad ucciderli il padrone e tutta la servitù; ha portato via la donna che amava: tutti gridano che è stata commessa un’azione molto vergognosa48.

Quanti, o Micione, me lo hanno detto mentre venivo qua!

(La notizia) è sulla bocca di tutti.

Insomma, se bisogna portare un esempio, non si accorge che suo fratello bada agli interessi di casa e vive in campagna modestamente e frugalmente?

Quello (non ha commesso) nessuna azione simile a questa.

E quando dico queste cose a lui, le dico a te, o Micione: (sei proprio) tu (che) lasci che egli si guasti.

M: Non c’è mai nulla più ingiusto di un uomo privo di esperienza, il quale non considera ragionevole se non quello che ha fatto lui.

D: A che cosa (mira) questo (discorso)?

M: Perché tu, o Demea, giudichi male queste cose49.

Non è un delitto, credi a me, che un giovane frequenti le donne e beva: (no), non è (delitto); né (è delitto) sfondare una porta50.

Queste cose se non le abbiamo fatte né io né tu, (fu) la povertà (che) non ci permise di farle.

E tu ora ti fai un merito di ciò che allora facesti costretto dalla miseria?

Non è giusto; infatti se noi avessimo avuto i mezzi per farlo, l’avremmo fatto (anche noi).

Anche tu, se fossi (veramente) un uomo, permetteresti a quell’altro tuo (figliuolo) di fare (lo stesso) ora finché l’età glielo permette piuttosto che farlo poi, in età non adatta, quando ti avrà portato a seppellire dopo aver (a lungo) atteso (la tua morte).

D: Per Giove, tu, (che sei) uomo (di giudizio), mi fai diventare pazzo! Non è forse vergogna che un giovane faccia queste cose?

M: Ah, dammi retta, non infastidirmi spesso con questa questione: mi hai affidato tuo figlio perché lo adottassi51.

Ormai è diventato mio. Se sbaglia in qualche cosa, o Demea, sbaglia a spese mie; in ciò io sopporto la maggior parte (del danno).

(Se) banchetta, (se) si ubriaca, (se) odora di profumi, (spende) del mio; va a donne: gli sarà dato da me denaro finché ne avrò la possibilità; quando poi non ne avrò le possibilità, forse gli si chiuderà in faccia l’uscio.

Ha rotto una porta: sarà riparata; ha strappato un vestito: sarà risarcito; e, grazie agli dei, ho il denaro per farlo, ed ancora non è scarso.

Insomma o smettila o dammi un giudice, chiunque vuoi: dimostrerò che tu in questa faccenda sbagli di più.

D: Ahimè! Impara ad essere padre da quelli che sul serio sanno (esserlo).

M: Tu sei padre per (vincolo di) natura, io per i (buoni) consigli.

D: Tu coi tuoi consigli (gli fai) qualcosa (di buono)?

M: Ah, se continui, me ne andrò.

D: Così tratti tu?

M: Dovrei forse sentire tante volte la tua musica?

D: (Eschino) mi sta a cuore.

M: Anche a me sta a cuore. Ma, o Demea, ciascuno di noi si prenda cura della parte che gli spetta: tu dell’uno, io egualmente dell’altro; infatti il prenderti cura di entrambi è come un ridomandarmi quel (figlio) che mi hai dato.

D: Ah, Micione!

M: Così mi sembra.

D: Che cosa si deve dire? Se ti piace proprio questo, scialacqui, sperperi, vada alla malora52; (la cosa) non mi riguarda per nulla.

Se ormai una sola parola53 d’ora in poi…54

M: Di nuovo, Demea, ti adiri?

D: O non credi? Ti richiedo forse (il figlio) che ti ho affidato? Mi dispiace; non sono poi un estraneo; se mi oppongo… ecco, smetto (di parlare).

Vuoi che mi occupi solo di uno: mi occupo (di uno); e ringrazio gli dei che è così come voglio (che sia)55.

Il tuo, invece, se ne accorgerà più tardi… no, non voglio dire contro di lui (parole) troppo dure.

M56: Ciò che egli dice non è una cosa da nulla, ma nemmeno è tutta la verità: tuttavia un pò mi dispiacciono queste (sue parole)57; ma non ho voluto fargli capire che ne soffro.

Quell’uomo, infatti, è (fatto) così: ogni volta che voglio calmarlo, mi ci metto di punta e lo smonto, tuttavia egli a stento sopporta pazientemente (le mie parole); se però io facessi crescere o se anche assecondassi la sua furia, senz’altro impazzirei con lui.

D’altra parte Eschino in questa faccenda un pò di torto verso di noi ce l’ha58.

Quale è la cortigiana di cui egli non è stato l’amante o a cui non abbia dato qualche (dono)?

Infatti, poco fa [credo che si sia ormai stancato di tutte] mi ha detto di voler prendere moglie.

Speravo che fossero ormai sbolliti (gli ardori della) giovinezza: ero contento.

Invece, eccolo (cominciare) da capo!

Ma, qualunque cosa ci sia, voglio vederci chiaro ed incontrarmi con lui, se si trova nel foro.

ADELPHOE”, vv. 636/712

ATTO IV – SCENA V

Metro

636-637 settenari trocaici; 638-678 senari giambici; 679-706 settenari trocaici; 707-711 settenari giambici; 712 ottonario giambico

Il chiarimento di Eschino con Micione

MICIONE: Fate come ho detto, Sostrata; io andrò da Eschino per fargli sa­pere come si sono messe le cose.

Ma chi ha bussato qui alla porta?

ESCHINO: Per Ercole! E’ mio padre: è finita per me.

M: Eschino…

E: Che affari ha costui qui?

M: …hai bussato tu a questa porta?

[Tace. Perché non prendermi gioco di lui per un pò? Lo merita, dal mo­mento che non ha mai voluto confidarmi questo (suo segreto)].

Non mi rispondi nulla?

E: In quanto a me, per quel ch’io sappia, non (ho bussato) a codesta (porta).

M: Sicuro? Infatti mi domandavo con meraviglia che cosa tu avessi a che fare qui.

[E’ arrossito: la cosa si mette bene59].

E: Per piacere, padre, dimmi, che cosa hai tu da fare in questa casa?

M: Per conto mio nulla. Poco fa mi ha trascinato qui dal foro un amico per­ché lo assistessi (in una sua questione).

E: Quale?

M: Te lo dirò: abitano qui alcune povere donnette; tu non le conosci; anzi so bene (che non le conosci); infatti sono venute ad abitare qui da non molto tempo.

E: E poi che altro c’è?

M: C’è una ragazza con la madre.

E: Continua.

M: Questa ragazza è orfana del padre: il parente più stretto a lei è questo mio amico: le leggi60 le impongono di sposarlo.

E: Per me è finita!

M: Che c’è?

E: Niente, bene, continua.

M: Egli è venuto per portarsela via con sè; infatti abita a Mileto.

E: Eh! Per portar via con sè la ragazza?

M: Proprio così.

E: In nome del cielo, fino a Mileto?

M: Si.

E: Mi sento male. Ma esse, che cosa, che cosa dicono?

M: Che cosa pensi che esse (possano dire)? Nulla davvero.

La madre, però, ha inventato una storia, che cioè (alla ragazza) è nato un figlioletto da un altro uomo, non so da chi, ma non ne ha fatto il nome; (dice) che quello ha la precedenza e che (perciò la ragazza) non deve essere data in moglie a questo (suo parente).

E: Oh, bella! Insomma, non ti pare questa una buona ragione?

M: No.

E: Perché no, di grazia? Forse, padre, costui se la porterà via da qui?

M: Perché non la dovrebbe portar via?

E: Avete agito con troppa durezza e senza pietà, anzi, o padre, e lascia che te lo dica, con troppa franchezza, (avete agito) in modo sconveniente61.

M: Perché?

E: E me lo domandi? Quali sentimenti insomma pensate che proverà quell’infelice che è stato il primo a far l’amore con lei e che, poveretto, forse l’ama ancora perdutamente, quando sotto i propri occhi se la vedrà strappar via e portar lontano? Che brutta azione, padre!

M: Per quale ragione (dici) ciò? Chi gliel’ha promessa? Chi gliel’ha data? A chi è andata sposa lei e quando? Chi ha dato il consenso62? Perché sposò (una donna) destinata ad altri?

E: Doveva forse ammuffire in casa una ragazza (come lei) in età da marito attendendo finché questo suo parente venisse di là (da Micione) qui (da lei)?

Queste cose, caro padre, avresti dovuto esporre e sostenere.

M: E’ proprio curiosa! Avrei dovuto parlare contro colui in difesa del quale ero venuto come avvocato? Ma che ci importa di queste cose, Eschino? O che interessi abbiamo con essi? Andiamocene; ma che hai? Perché piangi?

E: Ascoltami, padre, te ne prego.

M: Eschino, ho udito tutto e so (tutto)63; io ti amo davvero e perciò maggior­mente mi sta a cuore (tutto) ciò che fai.

E: Vorrei che tu, o padre, finché vivrai, mi amassi così, per i miei meriti, per come mi addolora moltissimo di aver commesso questa mancanza e perciò provo vergogna davanti a te.

M: Lo credo veramente; infatti conosco la tua indole onesta; ma temo che tu sia troppo trascurato.

Insomma; in quale città credi di vivere? Hai sedotto una ragazza che non avevi il diritto di toccare. Questa (è) la prima colpa, (colpa) grave, sì, tuttavia nella natura umana: l’hanno spesso commessa anche altri (che pur sono) galantuomini.

Ma dimmi un pò: dopo che l’hai commessa, hai forse considerato la cosa in tutti i suoi aspetti? O hai forse pensato a ciò che dovevi fare ed in che modo? (Hai pensato) come avrei potuto saperlo, se tu stesso ti vergognavi di parlarmene?

E mentre continuavi ad essere incerto, son passati dieci mesi.

Per quanto almeno è dipeso da te, hai rovinato te, quella poveretta ed il bambino.

Credevi forse che gli dei avrebbero fatto tutto per te, mentre te ne stavi a dormire64?

E che essa ti sarebbe stata condotta a casa, nella tua camera da letto, senza che tu ti dessi da fare?

Mi auguro che tu non sia allo stesso modo imprevidente (anche) nelle altre cose. Sta’ tranquillo, la sposerai65.

E: Eh?

M: Sta’ tranquillo, te lo ripeto.

E: In nome del cielo, padre, (perché) ora vuoi prenderti gioco di me tu?

M: Io di te? Perché?

E: Non lo so: temo di più appunto perché desidero così fortemente che sia vero (tutto) quello (che dici).

M: Va’ a casa e prega gli dei che ti venga in casa la moglie: va’.

E: Che? Di già la moglie?

M: Di già.

E: Di già?

M: Ma si, al più presto.

E: Possano maledirmi gli dei tutti, o padre, se non è vero che io ora ti amo più dei miei occhi.

M: Che cosa? (Mi ami più) di lei?

E: Quanto lei.

M: Troppa grazia.

E: Ebbene, dove è l’uomo di Mileto?

M: Non esiste più, se ne è andato, si è imbarcato. Ma perché non ti muovi?

E: Va’, padre, pregali tu piuttosto gli dei; infatti so bene che essi daranno tanto più retta a te in quanto sei molto più buono di me.

M: Io entro in casa a far preparare ciò che occorre: tu, se hai giudizio, fa’ come ti ho detto.

E: Che affare è questo66? Questo significa essere padre o essere figlio? Se fosse un fratello o un amico, come potrebbe essere più compiacente verso di me67? Dovrei non voler bene a lui, ad un uomo tale, dovrei non averlo nel cuore? Oh! Appunto perciò con la sua indulgenza mi ha messo addosso un grande scrupolo68 che io possa per caso fare imprudentemente ciò che egli non vorrebbe (che io facessi): sapendolo mi guarderò (dal farlo).

Ma (perché) indugio ad entrare? (Forse temo) di far ritardare proprio io le mie nozze?

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1E’, leggiamo in Garbarino, la commedia più matura e più riuscita di Terenzio: l’ultima da lui composta, derivata da un originale menandreo e rappresentata durante i giochi funebri in onore di Lucio Emilio Paolo, padre di Scipione Emiliano, nel 160 a.C.. Dopo un prologo la commedia si apre con un monologo di Micione (sicuramente “portavoce” dell’Autore), che vive in città e già per questo rappresentante di una mentalità più aperta (secondo la visione di Menandro condivisa da Terenzio), uno dei due vecchi protagonisti, in cui il personaggio presenta se stesso, il suo metodo educativo (che punti non sulla paura della punizione, ma sull’indulgenza, la comprensione e la generosità) e la sua visione della vita, contrapponendola a quella del fratello Démea; e imposta in modo chiaro il tema centrale della commedia: il problema dell’educazione dei figli.

2Nei primi vv. 25 della commedia parla “il prologo”: a differenza di Plauto, che nel prologo espone l’antefatto della commedia, questo in Terenzio è polemico. In esso il poeta si difende contro i suoi detrattori, specialmente contro chi lo accusa di plagio e contro chi sostiene che nel suo lavoro è aiutato da illustri personaggi.

3Il tema della commedia, ci dice il Sandbach, è quello del contrasto tra due metodi per educare un figlio, l’uno permissivo e l’altro restrittivo. Nessuno dei due si dimostra del tutto privo di inconvenienti, ma Micione, il padre che pratica il primo sistema, è, fino all’ultimo atto, presentato in una luce favorevole come generoso, realista ed uomano; quando egli ha occasione di impartire al figlio un comprensivo rimprovero, il giovane lo accetta riflettendo sul fatto che la loro relazione è più simile a quella tra amici o tra fratelli che a quella abituale tra padre e figlio, e decide di non far nulla che possa andare contro i desideri del vecchio. L’altro, Demea, fratello di Micione, aspro e privo di gioia di vivere, viene a trovarsi in situazioni ridicole ed è indeciso di fronte ad un problema morale a proposito del quale Micione non ha esitazioni: pur non essendo quello il matrimonio che personalmente avrebbe scelto, egli non dubita neppure per un momento che il figlio debba sposare la fanciulla povera che ama e che gli dato un erede.

4Storax: è uno schiavo che avrebbe dovuto rientrare con il figlio: non ottenendo risposta, ha la conferma che Eschino è ancora fuori casa; il nome è un grecismo e corrisponde ad un albero resinoso da cui si estraeva un profumo: lo schiavo, evidentemente, era profumato!

5servulorum: è diminutivo di “servus

6advorsum: = “obviam”; si riferisce agli schiavi “adversitores” (uno è Storace) che scortavano con fiaccole accese i loro padroni

7aut: non ha valore disgiuntivo, ma indica una “gradatio” rispetto alla proposizione precedente

8satius: = “melius

9quam: secondo termine di paragone

10tete: accusativo del pronome di seconda persona rafforzato da “-te

11potare: intensivo di “bibo

12quom: = “cum”, con valore avversativo

13Sono frequenti nella lettura alcuni fenomeni linguistici: l’aferesi, cioè la caduta di un fonema o di un gruppo di fonemi ad inizio della parola, in “es” ed in “est” ed il loro appoggiarsi al termine precedente [es.: “comoediast” = “comoedia est”]; l’enclisi, cioè la caduta della “s” finale che viene sostituita da un apostrofo [es.: “quibu’” = “quibus”]; fusione di aferesi ed enclisi [“usust” = “usus est”]; associazione di enclisi ed apocopi nell’enclitica successiva [“sanun” = “sanus” + “ne” apocopato].

14ne: dipende dal verbo “sollicitor”, inteso come “verbum timendi”: da qui il “ne + cong.” perchè si teme che accada ciò che non si vuole

15alserit: perf. cong. da “algeo, es, alsi, ere, 2

16praefregerit: perf. cong. da “praefringo (prae + frango), is, fregi, fractum, ere, 3

17instituere: infin. esclamativo a cui il “-ne” dà anche un tono interrogativo

18parare: = “ut paret

19Si riferisce al figlio, che Micione è andato a cercarsi, perchè l’ha adottato, e poi gli si è affezionato tanto da stare in ansia per lui: Micione scopre quasi con stupore l’affetto enorme che ha nel suo cuore per questo giovane che non è neanche suo figlio e per il quale è disposto a preoccuparsi e soffrire; l’”humanitas” trova in lui un esempio assai valido di come l’uomo si faccia coinvolgere dai senti­menti per gli altri.

20Atque: = “atqui

21Nota lo Schiesaro: I personaggi di Demea e Micione agitano l’uno contro l’altro temi che sono rilevanti per la società romana di allora: tradizionalismo ed apertura, parsimonia e lusso, legalità formale ed ideali di giustizia, educazione permissiva ed educazione tollerante.

22Is: nella traduzione il pronome dimostrativo è risolto in relativo

23studio: compl. di qualità

24adeo: = “nimium

25La città in cui si svolge l’azione della commedia è Atene

26agere…habere: infin. storici

27inde: = “ex his

28maiorem: il comparativo perchè i figli sono due

29mihi: dativo etico

30parvolo: = “parvulo”, diminutivo di “parvus

31All’affermazione di un ideale di educazione liberale ed umana, nota il Casali, ed alla creazione di un personaggio che si presentasse non solo come il banditore di questo ideale, ma come un esemplare di umanità aperta, cordiale, sensibile, Terenzio era indotto, oltre che dalla sua indole, dai suggerimenti che gli venivano dall’ambiente colto e raffinato nel quale viveva (il Circolo degli Scipioni), dove i valori della tradizione romana si fondevano, attraverso la mediazione di filosofi e filologi greci, con l’eredità spirituale dell’Ellenismo, ed i modi del vivere si conformavano ad una nuova concezione dell’uomo come libera personalità aperta ad ogni esperienza di vita, di pensiero e di arte, capace quindi di intendere meglio se stessa e gli altri, e perciò più disposta alla tolleranza ed alla comprensione.

32Secondo l’inglese Goldberg il monologo di Micione avrebbe fiunzione simile a quello della “Sàmia” di Menandro, lacunosamente giunto fino a noi. In questo, il giovane Moschione racconta d’esser stato allevato dal padre adottivo con grande liberalità, cioè nel modo in cui Micione ha tirato su Eschino. Ma mentre rende di sè l’immagine complessivamente positiva di un giovane bene educato, insinua nello spettatore il dubbio che non sia tutto oro quello che luccica: c’è un accenno fuggevole al fatto che ha messo incinta la figlia del vicino, che poi sposa (proprio come farà Eschino). E poi si avverte, nell’enumerazione compiaciuta dei meriti personali, l’egocentrismo del figlio di papà. Sono segnali sufficienti a far dubitare della positività del personaggio, a inaugurare l’attesa di un esito della sua azione che potrebbe anche risultare, come di fatto risulterà, deludente. Nelle due commedie, dunque, il monologo serve a preparare il rovesciamento del finale, che in parte è a sorpresa, in parte prevedibile a partire da alcuni indizi.

33Cioè quello conseguente alla “patria potestas”, che Micione ha assunto adottando Eschino

34clanculum: diminutivo parlato di “clam” e l’accusativo è comune nei comici

35E’ il sentimento di vergogna che trattiene dal fare il male, mentre “liberalitas” è la nobiltà del cuore che nasce da un’educazione saggia. E’ da notare che Terenzio ha messo uno vicino all’altro due termini che hanno la stessa radice: “liberalitate” e “liberos”, ad indicare che una delle prerogative del figlio è proprio di essere un uomo libero e nobile, a differenza dei servi.

36Il frequentativo “clamito” esprime sia l’iterazione sia l’intensità delle rozze proteste del fratello villano

37nobis: dativo etico

38sumptum suggeris: allitterazione

39In effetti, afferma il Tumscitz, nel finale ambiguo e problematico Micione rivelerà i limiti del suo carattere e della sua ideologia progressista. Fin da questo monologo iniziale egli non convince del tutto. La sua accondiscendenza al limite del permissivismo, la rinuncia alla “patria potestas” per un rapporto paritario basato sull’”amicitia” dovevano lasciar perplesso lo spettatore romano, il quale, alla fine della commedia, non si sarebbe poi stupito che, seguendo questi precetti, si potesse andare in rovina.

40I due termini indicano il primo l’equità giuridica, il secondo la norma morale. Ora, se è vero che Dèmea con la sua severità applica la norma giuridica della “patria potestas”, non tiene conto però di altri principi che rientrano nella concezione dell’”humanitas” sostenuta da Terenzio.

41Secondo il Barchiesi, la nascita di un’ideologia dell’imperialismo romano è un dato importante nell’età di Terenzio: si fa luce l’idea che il potere è più efficace se si fa amare, quindi se è temperato ed illuminato.

42Si consideri la consonanza delle idee di Terenzio con la pedagogia più attuale; ma queste teorie in Roma dovevano risuonare assai pericolose, perchè mettevano in discussione il principio dell’educazione severa e dell’autorità paterna.

43La triplice anàfora del pronome scandisce l’esposizione del modello pedagogico di Micione, per il quale “dominus” e “pater” non coincidono, ma si oppongono. Questa contrapposizione era piuttosto rivoluzionaria nel mondo romano.

44Entra in scena Demea. Provenendo dalla campagna è passato per il foro, dove ha saputo del rapimento della cortigiana da parte di Eschino e per questo è infuriato.

45E’ una comune formula di saluto.

46 Del carattere e delle idee di Demea, riassume il Piazzi, ci ha informato Micione nel monologo precedente; quindi non ci stupiamo nel vederlo irrompere in scena tutto imbronciato verso il fratello che accusa della pessima educazione di Eschino, uno scavezzacollo senza freni inibitori. Ecco l’ultima bravata del giovane, di cui Demea ha appena saputo: è entrato in casa altrui sfondando la porta, ha picchiato a sangue il padrone ed i servi e ha rapito la donna che amava. Un’azione da codice penale, anche se poi si verrà a sapere che il luogo lasciava a desiderare e la donna era una “meretrice” che Eschino rapiva per conto del fratello Ctesifone, innamorato di lei al punto da arruolarsi mercenario, se non l’avesse sposata. Micione minimizza però la gravità dell’accaduto: il passo è fondamentale perchè contiene un’implicita definizione di “humanitas”, intesa come capacità di comprendere con indulgenza e tolleranza le esigenze altrui diverse dalle proprie, senza assolutizzare il proprio punto di vista. Ma, uscito Demea, Micione esprime in un soliloquio la sua preoccupazione. Da buon filosofo egli ha il senso del relativo, della poliedricità e complessità delle cose umane, dunque sa bene che dopo tutto una parte di ragione ce l’ha anche Demea. Il ragazzo qualche pensiero glielo sta dando da tempo: non sarà che la pedagogia permissiva è buona solo in teoria?

Sempre sul concetto di “humanitas” ai tempi terenziani così continua l’Alfonsi: La consapevolezza individuale e morale del loro compito direttivo, come loro “dovere” anzi, fu nei Romani rafforzata, qualche anno dopo la morte di Terenzio, da Panezio, il filosofo mediostoico. Panezio crea un’etica che è un’estetica di vita: per cui ognuno deve realizzare in sè il proprio impegno morale. Ogni uomo diventa così una “persona”, quasi una maschera nobile di dignità, e l’insieme delle persone un’umanità eletta che deve attuare nel mondo l’ideale ellenico della “filantropìa”. Nasce così nel circolo scipionico il concetto di “humanitas”, destinato a tanto alto avvenire, per cui il “civis Romanus” si trasforma in “homo humanus”. E’ idea che implica non solo la “filantropìa” greca, ma anche giustizia verso gli altri e solidarietà con i propri simili in nome di un comune limite e di una comune dignità. Di quest’idea è largamente permeata tutta la commedia di Terenzio; da questa “humanitas” nasce in Roma la satira morale di Lucilio, la prima autobiografia di uomini politici di Rufo, anche la reazione polemica di Catone che contrappone all’ideale umanistico del circolo scipionico uno suo.

Bene sintetizza questo concetto in Terenzio lo Schadewaldt: Ciò che gli uomini sulla scena sentono e fanno, lo spettatore sente e fa con loro, e quello che dicono sembra provenire dalle profondità dell’animo ed è rivolto soprattutto al suo cuore.

47 dissignavit: il verbo, secondo il Del Corno, ha il doppio valore di compiere un’azione straordinaria, nel bene come nel male: l’esclamazione di Demea ha un tono amaramente ironico.

48 in effetti Demea non dice che si tratta di una casa equivoca e, quindi, il reato ha l’apparenza d’essere ben più grave

49 La difesa di Micione, dice il Barchiesi, ricalca la pacatezza illuminata e filosofica che abbiamo imparato a conoscere. In questa flemma c’è qualcosa di sorprendente, perchè le novità portate da Demea non sembrano irrilevanti scappatelle, e certamente il pubblico trova un pò leggerina questa pronta assoluzione

50 Un’interpretazione suggestiva che si attaglia bene all’intera commedia ce la offre il Lentano: Nella commedia latina il ratto o l’esposizione delle fanciulle, il conseguente stato di cortigiana o schiava, l’agnizione finale simboleggiano tre fasi di un rito di passaggio dall’adolescenza alla condizione adulta, rispettivamente: la separazione anche violenta (rapimento, naufragio) dallo statuto di partenza; il momento di “marginalità”, di sospensione o rovesciamento delle regole vigenti, in cui la fanciulla sperimenta una condizione (meretricio, schiavitù) opposta a quella alla quale si viene preparando; il momento del reingresso, segnato dall’agnizione, nella società ad un livello qualitativamente superiore (matrimonio). La commedia, quindi, rispecchierebbe anche il passaggio del maschio dalla fase adolescenziale e presociale della marginalità a quella dell’integrazione nella società degli adulti.

51 leggiamo in un saggio del Vitali: Che il problema del metodo da seguire nell’educazione dei figli, problema antico e moderno e sempre attuale, agitasse gli spiriti dei contemporanei di Terenzio non c’è naturalmente da dubitare; e c’è da credere anzi che esso fosse, più che in qualunque altro luogo, dibattuto in Roma, ove la “patria potestas” era tanto vasta e rigida, e, più che mai, nel tempo di Terenzio, tempo già ormai nuovo rispetto ai primi cinque secoli della vecchia età repubblicana, per effetto appunto delle nuove condizioni di vita del nascente impero. Ad una gioventù che aveva dato prove sì mirabili su tanti campi di battaglia, allargando l’orizzonte politico romano non soltanto oltre l’agreste Lazio ma anche oltre le Alpi e oltre i mari, a una gioventù che aveva espresso dal suo seno comandanti supremi, per non citare altri, quale il poco più che adolescente Scipione l’Africano, l’inflessibile rigore della patria potestà doveva ormai apparire assurdo; e le affermazioni di diritto d’emancipazione dovevano sonare alte, perentorie, insistenti.

52Si notano: asìndeto (mancanza di congiunzioni), “climax” (un crescendo) e allitterazione (della “p”)

53 è una formula di giuramento

54 inizia qui una serie di aposiopesi (interruzione deliberata della frase) da parte di Demea per esprimere sdegno, nervosismo, minaccia

55 il pubblico saprà che Eschino ha agito per conto del fratello solo successivamente e, quindi, al momento non ha ragione di dubitare che l’elogio di Demea riguardo a Ctesifone sia fondato

56 Micione, lasciato solo, riflette sul suo modello educativo, della cui positività rimane convinto, anche se le ultime vicende insinuano nel suo animo qualche dubbio e perplessità

57 c’è in queste parole di Micione il riconoscimento della poliedricità delle vicende umane, dell’impossibilità di definire con un giudizio netto ed univoco il senso degli avvenimenti o la com­plessità di un comportamento

58 finchè era presente Demea, Micione ha dissimulato la sua preoccupazione per la condotta di Eschino, ora però che è solo manifesta la sua inquietudine e forse ha qualche dubbio sulla bontà di un credo pedagogico basato sulla fiducia e sulla tolleranza

59 Il rossore di Eschino è per Micione un segnale positivo: indica che il giovane non si è aperto con il padre non per paura, ma per pudore, per ritegno a dargli un dispiacere. Analogo concetto in Menandro.

60 La legge ateniese a cui si allude era attribuita a Solone e prevedeva che un’orfana fosse sposata dal parente più prossimo: a questa stessa legge si fa riferimento anche nel “Phormio”.

61 Ancora riferisce il Riverdito: Venendosi qui a scontrare la disumanità astratta del “ius” e la praticità problematica dell’”aequum”, Terenzio, per bocca di Eschino, attacca l’iniquità della rigida applicazione di ciò che è legge, cioè il fatto che il parente più prossimo voglia far valere il proprio diritto di prelazione matrimoniale sull’orfana senza mezzi materiali, in nome del sentimento di umanità e dei verdetti istintivi del cuore.

62 Perchè il matrimonio fosse formalmente valido i genitori avrebbero dovuto dare il loro consenso: Micione continua a simulare di attenersi ad una linea di correttezza giuridica, indifferente alle ragioni del cuore.

63 Garbarino: Quando finalmente il giovane si decide a gettare la maschera, il padre gli risparmia, con delicatezza e generosità, l’umiliazione della confessione; anzi, proprio nel momento in cui l’emozione del giovane culmina nelle lacrime, lo rassicura confermandogli il suo amore.

64 A questa scena cruciale della commedia, riferisce la Rampioni, si è soliti annettere un particolare significato in rapporto alle convinzioni pedagogiche di Terenzio. Secondo alcuni, Micione non intenderebbe fare una predica o una lezione al figlio, ma un semplice esperimento per saggiare se esiste in lui il “pudor”, il senso morale. A noi pare che dalle parole di Micione si enucleino almeno tre imperativi ai quali secondo Terenzio dovrebbe uniformarsi un’esistenza autenticamente morale: il rispetto per ogni norma di convivenza civile, la confidenza verso il genitore-amico, il dovere di rispondere delle proprie azioni di fronte agli altri ed alla propria coscienza. Questo, almeno in linea di principio.

65 Il Bo dubita che Micione anticipi più di tanto le moderne vedute pedagogiche: In realtà Micione non lascia neanche che Eschino chieda il suo intervento, interviene lui prima e provvede a tutto, diventa lui il suo dio protettore, ma approfitta della circostanza e dell’occasione propizia per farlo ragionare sui fatti, fargliene trarre degli ammaestramenti per l’avvenire.

66 Eschino, rimasto solo davanti alla porta di casa, sta riflettendo ad alta voce sul senso dell’esser padre e dell’esser figlio.

67 Del Corno: Nella commedia, e nell’esperienza della vita, in Grecia e soprattutto a Roma, il padre rappresentava l’autorità più che la solidarietà affettiva, offerta piuttosto dai fratelli e dagli amici: di qui lo stupore di Eschino, pure assuefatto alla tenerezza di Micione.

68 Micione con la sua indulgenza fa nascere in Eschino quasi un senso di colpa, che si esplica nel timore di commettere senza accorgersene qualcosa che il padre non voglia.

Resa in italiano e note di R. Andria 

5B L’antica Roma 1ultima modifica: 2021-04-28T15:54:26+02:00da masaniello455