Qual è l’effetto Meloni sulla diffusione della stampa in Italia? Una vecchia tendenza dell’informazione di solito premiava in modo particolare i giornali all’opposizione dei governi in carica. E’ più facile e più esaltante fare un giornalismo contro; fa più notizia, capitalizza la critica permanente verso il potere. Stavolta invece il calo è generale e si accanisce con i giornali più ostili al governo Meloni. Ma c’è da aggiungere in tutta onestà che il calo dei lettori non risparmia nemmeno i giornali che sostengono il governo Meloni. Come leggere allora questa flessione ulteriore e trasversale nelle edicole? Si potrebbe spiegare, al di là degli umori e delle opinioni politiche, con la marcia irreversibile verso il tramonto della stampa, a partire da quella cartacea (l’informazione sul web si difende), che coincide con la sostituzione anagrafica degli anziani con le giovani generazioni, refrattarie alla lettura dei quotidiani acquistati nelle edicole. Ma è una spiegazione solo in parte vera. Se vogliamo dare una chiave di lettura “politica” di quel che succede dobbiamo piuttosto considerare una mutazione “atmosferica” in atto nel nostro paese: dopo la partecipazione attiva alle vicende politiche, all’indomani del covid e con le ultime elezioni politiche, che sancirono la svolta netta verso un governo di destra, premiando l’unico partito d’opposizione che c’era in quel momento, è sopraggiunto nei mesi il torpore, un certo disincanto e un crescente disinteresse, come se si fosse entrati in una specie di stallo generale. Non è dunque una perdita di fiducia nei confronti della Meloni e nemmeno del suo governo, che pure non suscita entusiasmi almeno a leggere i sondaggi; quanto una sorta di disilluso consenso o un tacito assenso al governo, ma senza adesione attiva e positiva, come un accettare la situazione esistente perché non si intravedono alternative né vie d’uscita. E’ come se l’orizzonte di aspettativa si fosse ristretto, ci si rende conto che i margini e gli argini di manovra consentiti al governo sono in effetti molto ridotti rispetto all’unione europea, alla Nato e al sistema delle alleanze, dei vincoli e delle pressioni internazionali. E dunque, pur senza passare al dissenso o al Partito degli Scontenti, la maggioranza del nostro paese è per così dire in sonno o in stand by, parla meno di politica e meno è interessata a sentirne parlare. Di conseguenza legge meno i giornali che hanno comunque ancora una prima motivazione politica, polemica e civile che ora pare sopita. Il discorso naturalmente non riguarda solo la Meloni ma si estende alla politica in generale; anzi bisogna dire che la “fortuna” della Meloni, che spiega in parte la persistenza del suo alto consenso nel paese, è il paragone vincente con i suoi avversari (e anche, vorrei aggiungere, con i suoi competitori interni o alleati). Obiettivamente Elly Schlein è una polizza per la Meloni, ma anche Giuseppe Conte, che pure si sta muovendo meglio della segretaria del Pd, non riesce a catalizzare grandi consensi. Dall’altro versante Salvini e Tajani non destano particolari preoccupazioni per la Meloni. Che se vogliamo, è più impensierita da eventuali fattori esterni, come per esempio la discesa in campo del generale Roberto Vannacci, piuttosto che dagli altri alleati e concorrenti. Negli ultimi tempi la Meloni ha ulteriormente personalizzato la sua leadership; si fida sempre meno di chi le sta attorno. Ma sul disincanto verso la Meloni e sull’ulteriore ondata di disaffezione verso l’informazione, non solo scritta ma anche televisiva, contano anche le vicende recenti. Per esempio quel che sta succedendo dal 7 ottobre a Gaza. A un bestiale massacro compiuto da Hamas è seguito ed è ancora in corso da più di cento giorni un genocidio della popolazione palestinese, tra migliaia di morti, di feriti e quasi due milioni di sfollati. L’intenzione di eliminare e non solo sconfiggere Hamas, è comprensibile e legittima, ma considerare migliaia di bambini, donne e vecchi palestinesi come puri ingombri da eliminare o da sgombrare pur di bruciare il terreno intorno ai terroristi di Hamas non può essere accettato dalla pubblica opinione e dalla ipersensibilità a lungo alimentata per quanto riguardava l’Ucraina e altre tragedie umanitarie. Non si può improvvisamente silenziare o sottorappresentare quel che sta avvenendo. Nessuno mette in discussione la rabbia e il dolore di Israele, il diritto alla sua esistenza e incolumità e l’oggettiva ostilità che lo circonda da cui deve difendersi; ma non si possono nemmeno tacere le catastrofi umanitarie in corso, dopo averne enfatizzate altre. L’opinione anti-establishment è ormai molto forte in Occidente, dopo la vicenda del Covid, la guerra russo-ucraina e le posizioni della Ue, della Nato e degli Stati Uniti; lo dimostrano, tra l’altro, i successi tornanti di Donald Trump e di Marine Le Pen, come lo aveva dimostrato lo stesso successo della Meloni in Italia. E i dubbi assai diffusi che quest’Occidente, e l’Amministrazione Biden in particolare, stiano gestendo male questa situazione internazionale, facendosi tanti nemici e aprendo fronti di conflitto un po’ ovunque, acuiscono questo disagio. Ma di tutto questo c’è scarsa traccia nei regni dell’informazione occidentale, da destra a sinistra. Da qui la tendenza a disertare la piazza dell’informazione, a darsi alla macchia nella prateria dei social, a scomparire dai radar della pubblica opinione e a rifugiarsi ancor più nella dimensione privata e individuale.
Marcello Veneziani