Solo il lupo mannaro ha paura del lupo mannaro…

Sono contenta di essere nata quando in Italia c’era ancora la Monarchia, sono contenta di aver imparato a leggere e scrivere piccolissima come gioco durante la guerra, sono contenta di aver avuto fin da piccola l’insegnamento di appuntare qualcosa di ogni giorno, qualcosa che mi avesse colpito, entusiasmato, fatta felice, resa triste ed arrabbiata , qualcosa di nuovo che mi avesse regalato un’emozione qualunque; sì, sono felice perchè i miei ricordi sono molto lontani nel tempo, ho vissuto tutta la storia di questa nostra repubblica, ancora prima che nascesse dopo un referendum vinto con un piccolissimo scarto, che mi ha lasciato sempre tanti dubbi, anche perchè, secondo le speranze dei comunisti, che spadroneggiavano allora la politica italiana, avrebbe consegnato alla Russia di Stalin uno stato nuovo di zecca. I ricordi che mi tornano alla mente in questi giorni si sovrappongono alla frenesia di quei giorni. L’ Italia tappezzata di migliaia e migliaia di Stalin con tanto di baffoni si contrapponeva a un bianco scudo crociato su fondo azzurro, che voleva farsi strada sfidando l’alterigia di chi sognava il comunismo, eppure l’Italia, sfiancata dal fascismo, evidentemente non era così traumatizzata da gettarsi tra le loro braccia e scelse diversamente. Per anni e anni quella sconfitta lasciò l’amaro in bocca agli sconfitti, che non riuscirono mai ad avere un loro governo, nonostante il sessantotto, il terrorismo, le varie scissioni di partiti, un amaro in bocca che incominciò ad addolcirsi colla creazione di questa Europa,in cui siamo dentro fino al collo economicamente e non politicamente, e ciò nonostante capace di influenzare i mercati finanziari al punto di indebolire talmente un governo da portarlo alle dimissioni. E l’Italia ha avuto il suo primo colpo di stato quando, dopo una rapida nomina a Senatore a vita di Mario Monti, cadde il governo Berlusconi e si insediò il governo Monti, che portò questo paese alla rovina, checche ne dica il buon Letta, abile mistificatore di fatti e parole. A proposito di parole tutti ora conoscono la parola spread, che fino allora si usava solo in ambito finanziario. In quei giorni gli amici delle sinistre italiane, ebbero il loro da fare a farlo salire tanto che stamattina Letta ha detto che l’Italia falli per colpa del governo Berlusconi. Ma qui non siano nei primi anni del novecento, e molti italiani, anche se distratti dai media e intendo tutti i media, ricordano benissimo come andò. Draghi era impegnato a far fallire la Grecia e diede qualche buon consiglio sicuramente al presidente Napolitano, il più famoso comunista italiano di tutti i tempi, per cambiare le cose, che finalmente portavano sugli scranni del governo coloro che mai furono eletti per occupare quei posti, e che proprio non vogliono abbandonare ed ora sono lanciatissimi a rincorrere una vittoria elettorale. La loro intellighenzia massima, il suprematismo culturale di cui si ritengono portatori, tuttavia non riesce a aprire i loro occhi, che cercano di sostituire quelli degli elettori affinchè vedano le verità che vogliono far vedere loro. Ma non siamo più nel quarantotto quando la gente non votò i comunisti perchè ” mangiavano i bambini”. Ora siamo nell’era dei media, dei social, dove non va perso neanche uno starnuto politico sia in onda che fuori onda, la gente è informata, si confronta, non vive più di ideologie, di cui non si nutrono più nemmeno i partiti, ma vive una vita grama ogni giorno e sa a chi attribuire la colpa dei suoi guai, delle sue privazioni, di tutto quello che non funziona. La gente ora sente Berlusconi parlare di presidenzialismo con parole ben diverse da come le ha presentate Letta stamattina a Rai1.” Berlusconi vuole togliere Mattarella come ha fatto cadere , insieme ai Leghisti, Draghi. Peccato che i fatti siano tanto recenti che solo i mistificatori come quest’uomo avrebbero il coraggio di descrivere in questo modo. Se dobbiamo goderci quaranta giorni di stronzate simili stiano a casa e risparmino energia elettrica consumata dal loro pulmino itinerante. Se ogni riforma costituzionale dovesse entrare in vigore all’istante, come mai alla Camera e al Senato i senatori e deputati son rimasti quelli che ora temono per la loro poltrona, e non sono decaduti al momento dell’approvazione della legge ?

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C’era una volta un re[….]raccontami una storia e la storia cominciò:C’era una volta un re…

Dire se sia meglio l’informazione giornalistica oppure quella di Radio e TV, è davvero un grosso dilemma, in questo clima preelettorale. Leggere la stampa, ascoltare i talck show, specialmente quelli allineati alla sinistra è un accapponare di pelle mai successa prima per quanto si evidenzia come la créme de la créme intellettualmente elevata per intelligenza e verità non si accorga di proporre un dietro la scena della politica veramente penoso. Il loro continuo sottolineare che l’elettore medio non capisce le sottigliezze della politica evidenzia doppiamente la poca considerazione di coloro che stanno penosamente inseguendo per una crocetta sulle schede elettorali. Mai come ora i giochi di palazzo sono chiari, semplici, evidenti, anche al più sciocco degli elettori. Ci si accorda per i collegi, per candidature certe tra persone che sono in contrasto tra di loro da anni, ognuno per motivi diversi comunque molto lontani come intenti di programmi gli uni dagli altri, in cambio di un ‘autonomia di programma, che , come spiega Letta non significa”liberi tutti”. Come può il liberismo di Calenda allinearsi alle tasse di successione, patrimoniali varie, alla sudditanza estrema alla finanza di Letta, scordando come si produce ricchezza in un paese, e soprattutto come questa ricchezza possa essere toccata con mano dai cittadini? I diktat Europei hanno distrutto il nostro paese e continueranno a farlo fintanto che avremo leader capaci solo di sottomettersi invece di cercare di portare davvero fuori il paese da una crisi gravissima, voluta non soltanto dal mercato , ma da una leadership incosciente, incapace di vedere le vere necessità del nostro paese, che è da sempre, il più bel paese del mondo, ma dipendente per i suoi bisogni vitali e crescita dagli altri paesi. Non abbiamo nulla in Italia se non una tracotanza che ci portiamo dietro di un paese, culla della cultura, e di questa portatrice nel mondo. Ma la gente, che andrà a votare a settembre, sta già facendo i conti con un caro vita in continua crescita, col prezzo energetico insostenibile, colle piccole aziende che chiudono fagocitate dalle multinazionali, alle quali i nostri ultimi governi, non so se proprio legali dal punto di vista democratico, hanno svenduto tutto quanto ci fosse di appetibile nel nostro paese, se persino le poche risorse energetiche del nostro sottosuolo sono sfruttate da altri paesi e noi paghiamo prezzi esorbitanti. E il teatrino a cui siamo costretti ad assistere non è altro che un tiro alla fune per vincere le elezioni. Ammucchiate molto simili a quelle che avvengono in certi club privati per il divertimento di personaggi molto per bene, raffinati, colti e portatori di verità. Alla fine di questa storia saranno i poveri elettori medi, che non comprendono, secondo loro, i sottili giochi della politica , a  votare un governo, che potrà governare solo se gradito ai DEM Americani e a Bruxelles.Ci sarebbe da invocare l’osservazione attenta internazionale per queste nostre difficili elezioni, ma sappiamo già chi siano gli osservatori per cui mi pare di raccontare quella storiella che un tempo si raccontava ai bambini noiosi ” C’era una volta un re, seduto sul sofà, che disse alla sua serva-raccontami una storia – e la storia cominciò-c’era una volta un re…[all’infinito].

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New York Times: la caduta di Draghi? Un trionfo della democrazia.

Dal New York Times arriva una lezione di democrazia alle élite culturali italiane rimaste orfane dopo la caduta del governo Draghi, essendo la sua caduta un vulnus insanabile e i responsabili della sua caduta degli irresponsabili, se non addirittura criminali (tale l’implicito nell’accusa di “draghicidio”).

Questo il titolo dell’articolo di Christopher Caldwell: “La caduta di Mario Draghi è un trionfo della democrazia, non una minaccia per essa”.

Nella nota, Caldwell richiama appunto come la dismissione di Draghi sia stata definita una “catastrofe”, con la JP Morgan che è arrivata addirittura  a parlare di “un colpo di stato populista” (sic) e ricorda come i suoi oppositori siano bollati come “filo-putiniani”. Secondo Caldwell è arduo identificare il Governatore d’Italia come “simbolo della democrazia”, in quanto non è stato eletto, ma scelto dal presidente Mattarella per presiedere un governo tecnico. E, “per quanto onorabile e capace possa essere Draghi, le sue dimissioni sono un trionfo della democrazia, almeno per come è stata tradizionalmente intesa la parola democrazia”.

“Il problema dell’Italia – continua Caldwell – è che i suoi governi ormai servono due padroni: l’elettorato e i mercati finanziari globali. Forse questo è vero per tutti i paesi dell’economia globale. Ma non è così che dovrebbe funzionare la democrazia, e l’Italia è in una situazione particolare” che aggrava tale dipendenza a motivo dall’elevato debito pubblico e di altre criticità.“Più volte negli ultimi decenni la politica ordinaria in Italia è stata sospesa e governi ‘tecnici’ come quello Draghi sono stati chiamati a realizzare misure di emergenza. Ciò significa che il governo italiano ascolta meno i cittadini, anche se li invita a fare grandi sacrifici”. Quindi, dopo una digressione sul populismo di alcune forze politiche italiane che hanno di fatto sfiduciato il governo, ricorda come Draghi sia andato al potere per stabilizzare una situazione difficile, in quanto si diceva che il banchiere centrale “aveva la ‘credibilità’ per calmare i mercati”. “Ma in cosa consiste la credibilità di Draghi? – si chiede Caldwell nel passaggio più importante della nota -. In una democrazia la credibilità deriva da un mandato popolare. In un ‘governo tecnico’, la credibilità deriva dai collegamenti con banchieri, autorità di regolamentazione [finanziaria] e altri addetti ai lavori. Quando una persona nella posizione di Draghi prende il potere, può non essere chiaro se la democrazia stia cercando l’aiuto delle istituzioni finanziarie o se le istituzioni finanziarie abbiano messo la democrazia in un angolo”.

Il rischio insito in tale situazione è che ciò che “i gestori del rischio tecnocratici stanno gestendo potrebbe essere la democrazia stessa”.

Quindi, dopo aver richiamato alcune riforme del governo Draghi che avrebbero irritato gli italiani, spiega come l’irritazione di fondo più che altro era per “l’affronto” portato alla stessa democrazia dalle istituzione finanziarie e dagli ambiti internazionali a esse correlate.

E conclude: “Agli italiani è stato essenzialmente detto: puoi avere i soldi per salvare il tuo paese solo se il tuo primo ministro è Draghi, altrimenti non ne avrai. Date le circostanze, non c’è nulla di ‘populista’ né di filo-putiniano o di irragionevole nel preoccuparsi delle conseguenze per la democrazia”.

Articolo lucido e intelligente, mentre registriamo con qualche sconcerto le parole del leader del partito democratico, Enrico Letta: ““Vogliamo la verità e sapere se è stato Putin a far cadere Governo Draghi”. Dichiarazione che nasce da un documento più o meno tossico pubblicato su un giornaletto italiano.

In politica, anche quella con la p minuscola, servirebbe un po’ di igiene verbale. Questa, in particolare, indulge ad aggiungere anche l’igiene mentale.

Il poveretto, evidentemente, si vuole accreditare presso Washington come atlantista di vaglia, riecheggiando polemiche che hanno dilaniato la politica americana. Ma ciò che oltre Atlantico è tragedia lacerante, qui risuona come grottesco teatro dell’assurdo. Una teatro del quale il nipote del più noto Gianni appare prigioniero, condizione che indulge alla compassione.

Chiediamo scusa ai lettori per la digressione, era solo per accennare alle prospettive che si sono aperte dopo la caduta del Drago: se la campagna elettorale inizia così, ne vedremo delle belle. Per fortuna sarà breve e balneare.

Dopo i gattopardi, sciacalli, iene ,i Draghi, torneranno gli umani o le cavallette?

Dopo la pazzia di questi giorni infuocati e prima del delirio per la campagna elettorale d’agosto, un ragionamento sui fatti accaduti.

Dunque, Draghi era stato chiamato come commissario straordinario per affrontare un’emergenza eccezionale. Il sottinteso era che presto sarebbe stata ripristinata la politica e la dialettica tra poli antagonisti. Il coronamento di questa chiamata sarebbe stato Draghi al Quirinale dove avrebbe potuto svolgere il ruolo di garante a livello internazionale ed economico, mentre l’Italia tornava a essere governata dalla politica, dopo il voto del popolo sovrano.

Ma al Pd non conveniva andare al voto, e nemmeno a tanti altri, da Renzi ai grillini e a Berlusconi. Sicché puntarono su Mattarella bis, garante del Pd e dei superpoteri e trovarono il folle consenso di Salvini e di Berlusconi. Quello fu l’errore d’origine, pagato in questi giorni. Sarebbe stato meglio arrivare allora a un muro contro muro o convergere sulla soluzione Draghi al Quirinale.

Invece è successo oggi, con una commedia avvilente in cui sono usciti a testa alta la Meloni e lo stesso Draghi, a testa bassa gli sconfitti Pd e Renzi, a testa mozzata Conte, e piuttosto ammaccati Salvini e Berlusconi per la giravolta. Bisogna pur dire che Draghi un po’ se l’è cercata: per restare ha preteso di avere più poteri. Non dico che l’abbia fatto apposta, ma mostrandosi sprezzante verso i grillini e incurante del centro-destra, li ha indisposti e li ha spinti a fare quel che molti di loro avevano gran voglia di fare da tempo: sdragare il governo. Comunque, per lui è stata una fortuna risparmiarsi un autunno di rincari, rinunce e restrizioni da lui stesso annunciate; e restare incompiuto nel mito.

Alla sua caduta, è partito il coro sulla catastrofe e la fine del mondo. Ma, a rifletterci, la sua caduta ha anticipato solo di un semestre la scadenza obbligata: anziché votare in primavera si vota in autunno. Qual è l’orrore, cosa sarebbe cambiato? Draghi avrebbe salvato l’Italia in quei pochi mesi e sarebbe stato riposto nel suo astuccio? Sarebbe stato maturo il tempo per un nuovo governo dei migliori? Meloni e Salvini si sarebbero estinti e avremmo così sventato il pericolo dei mostri al governo? Assurdo quel grido d’angoscia. A meno che qualcuno, dal Pd ai centrini sparsi, pensava di commutare la pena di Draghi in ergastolo, dichiarare cioè che dopo Draghi ci sarebbe stato ancora Draghi, a vita; l’emergenza non finisce, anzi si passa da un’emergenza all’altra, ergo dobbiamo tenerci il commissario straordinario al potere for ever.

È quello che diranno adesso, in campagna elettorale, con il culto feticista dell’agenda Draghi, una specie di reliquia sacra o di Corano, scoprendo il volto oligarchico e antidemocratico del fronte drago-sinistro. Ma poi non  si capisce la paura: se come si dice, tutta l’Italia, anzi tutto il mondo, eccetto Putin e i putiniani, è dalla parte di Draghi, avremo elezioni che spazzeranno via a furor di popolo gli anti-draghiani e riporteranno al governo i devoti del dio Mario. Di che vi preoccupate? In realtà, sapete bene che questa narrazione da ex voto di Draghi, amato dai potenti ai barboni, dalle cancellerie ai cinghiali, era finta perché il paese reale, in gran parte, vuole ripristinare la democrazia. Può stimare Draghi o detestarlo; ma l’idea di vivere perennemente questa sospensione della democrazia e della politica nel nome dell’emergenza non piaceva a tanti, anche senza avercela con il banchiere centrale. Vogliono tornare alla realtà, finirla con lo stato d’eccezione.

Ora vivremo in forma accelerata la convulsione del quadro politico, perché metà dei politici dovrà velocemente riaccasarsi, ricollocarsi, riconoscere nuovi alleati nel giro di pochi giorni. Da Di Maio a Brunetta, da Gelmini a Carfagna, a Toti, più sciami di peones  ormai homeless; ad essi si aggiungeranno  Calenda e Renzi, e poi Casini, Mastella e Bonino alla ricerca di un fronte compatto, pur detestandosi a vicenda. Saranno uniti dall’antisovranismo e questo li porterà, inneggiando a Draghi, a incamminarsi sulla via del Pd (vale anche per Renzi che reclamando un fronte unito contro l’area Putin, implora d’imbarcarsi come una scheggia o ascaro del Pd). Ma è difficile che si uniranno in un solo fronte vagamente centrista, giacché si schifano, si pongono veti fra loro; al più si accoppieranno, si accorperanno in mini-agglomerati ma non daranno vita alla Grande Coalizione dei Sette Nani o alla Casa Comune degli scappati di casa.

Il tono della campagna elettorale sarà doppio: nostalgico (“Quando c’era Lui”, il Superdraghi e l’Agenda-Bibbia) e apocalittico (“se arriva la Meloni con i barbari finiremo all’inferno”).

A proposito, e il centrodestra? Resterà unito per le elezioni, subirà un attacco concentrico e intensivo senza precedenti, visti i tempi ristretti del voto. Avrà mille nemici, in più saprà largamente farsi del male da sé. In fondo Salvini ha cercato lo strappo dal governo in competizione con la Meloni, più che in accordo con lei, per arginare la sua vittoria e riconquistare gli elettori. Nonostante uno sciame di dubbi che si uniscono a mille riserve sulla sua linea, i suoi uomini, la sua classe dirigente, il centro-destra resta ancora favorito. Anzi diciamo pure che da queste elezioni o esce vincente il centro-destra o non ci saranno vincitori con una vera maggioranza, si riproporrà il caos e usciremo dalle elezioni peggio di come vi siamo entrati  .Intanto vediamo Draghi allontanarsi dalla riva come una tartaruga liberata dopo lunga cattività.  Vedremo se strada facendo depositerà delle uova e dunque si riprodurrà, o se tornerà nei fondali della finanza, in attesa di nuovi incarichi sovranazionali. Dopo i gattopardi vennero gli sciacalletti e le iene; dopo i draghi verranno le cavallette o gli umani?.

MV

La democrazia è nociva, abroghiamola!

Cade la Dragocrazia, s’intravede malconcia la democrazia che torna con la politica e col popolo sovrano, con grave scorno dei poteri alti, di Mattarella e del Pd. Ma andiamo con ordine.

S’i fosse Drago arderei lo governo. Mettetevi nei panni, anzi nelle squame, di Mario Draghi: perché restare ancora al governo? Accettò di guidare un governo d’emergenza con la prospettiva finale di andare dopo un anno di graticola al Quirinale. Dove avrebbe potuto svolgere il suo ruolo extra partes e la sua missione umanitaria di rappresentare l’Italia nel mondo e tra i poteri che contano.
Un anno fa era acclamato dal Paese, ci liberava da un governo e un premier insopportabili, offriva una tregua politica a un paese lacerato, pur essendo riconosciuto come la longa manus dei Poteri Alti. Ora, invece, la situazione si è fatta difficile perché dopo essersi accollato le conseguenze della pandemia, Draghi è accorso ad accollarci le conseguenze della guerra in Ucraina, dove abbiamo fatto davvero poco per ribaltare le sorti del conflitto e neutralizzare Putin, ma abbiamo fatto davvero tanto per inguaiarci noi, indebitarci, veder schizzare l’inflazione e mettere a repentaglio le forniture energetiche.
I consensi nei confronti suoi e del suo governo erano calati molto con l’aria condizionata; tante ironie si sprecavano sul governo dei migliori e in autunno s’annunciava la catastrofe economico-energetico-sanitaria; era il momento giusto per tagliare la corda, e i grillini gliene stavano offrendo una mezza possibilità. Era anche un modo per restituire la pariglia a Mattarella, ai dem e ai loro soci di minoranza che non lo hanno voluto al Quirinale ma solo a tirare le castagne dal fuoco. Invece è partito il pressing mondiale, dal più grande leader al più piccolo sindaco, da Mattarella ai Dem, dalla grande finanza ai clochard, mancavano solo l’Onu e la Croce Rossa per bloccarlo a Palazzo Chigi. Perché un uomo di 75 anni, che ha già ottenuto i maggiori incarichi di potere, avrebbe dovuto lasciarsi friggere in padella e giocarsi il nome costruito in una vita? Il suo interesse era andarsene, ma non poteva, perché doveva rispondere a un’entità superiore che non è lo Stato, la Democrazia, l’Interesse generale, ma una cupola di poteri intrecciati che non passano dalle urne e che sono dietro la sua luminosa carriera. E che consideravano un imperativo categorico restare a ogni prezzo al governo e non andare al voto. Allora Draghi ha deciso di andare avanti all’infinito, magari restando poi il Santo Protettore di un campo largo filodraghiano dopo l’inevitabile voto del ’23. O in alternativa, aspettarsi altri incarichi prestigiosi a livello internazionale, più la vigile attesa con tachipirina fino a che Mattarella lasci in un modo o nell’altro il Quirinale. Ma la strada di quest’autunno era tutta in salita e piena di burroni. Poi Draghi in Parlamento ha bistrattato i partiti, fingendo di lusingarli, ha maltrattato i grillini pur lanciando occhiate dolci, e ha chiesto un governo più suo, con più ampi poteri. E lì qualcosa si è interrotto, qualcosa è saltato. Salvini e Berlusconi che avevano compiuto l’errore madornale di mandare Mattarella anziché Draghi al Quirinale, accettando la linea del Pd, vista ora la deriva oligarchica che voleva imbrigliare il paese, si sono ricongiunti alla Meloni, anche per non dare solo a lei i consensi degli scontenti. Ed è venuto fuori il papocchio di ieri in Parlamento.
Per carità, sarà sbagliato andare di corsa a votare, è un salto nel buio, quando invece nel buio ci stavamo andando seduti nel treno guidato da Drago Draghi. Ma se è per questo tra un anno circa, diciamo tra nove mesi per essere ostetrici, quando cioè si doveva andare a votare per forza di scadenza, cosa sarebbe cambiato? Ci avrebbero detto ancora di non fare salti nel buio e qualcuno avrebbe ripetuto quel che dice oggi e diceva un anno fa: o Draghi o morte. Dopo aver ripetuto pochi mesi fa: o Mattarella o morte.
Ma come sono responsabili, loro, vogliono preservarci dall’avventurismo e dalle cadute nel buio… Faccio solo osservare, sommessamente, che quella catastrofe da voi prefigurata, quel precipizio tremendo che ci aspetta, un tempo si chiamava diversamente: il suo nome era democrazia, alternanza di governo, libertà di voto e sovranità di popolo. Ora voi direte: ma il rischio è troppo alto, e perciò vogliono tenerci ancora sotto tutela, come ai tempi della pandemia, come ai tempi di Berlusconi da cacciare, come ai tempi di Monti, Napolitano, Gentiloni, e via dicendo…
Nei prossimi manuali di scienza politica si definiranno ottimi i governi che non passano dal voto, pessimi quelli che ne scaturiscono; poi si definiranno responsabili i governi che contengono i dem, irresponsabili i governi senza di loro. E si aggiungerà che i migliori politici sono per definizione coloro che non lo sono, cioè i tecnici, gli oligarchi, i commissari internazionali.
Condivido tutte le riserve sull’armata brancaleone della politica e non nutro fiducia per nessuno di loro, sia esso tribuno della plebe o affiliato della Cupola. Però vi dico, a questo punto perché tenere ancora in vita la democrazia, pur nella forma ipocrita di democrazia delegata o parlamentare? Perché non dichiarare ormai superata quella fase chiamata della sovranità popolare e libero voto in libero Stato? Non vediamo che o vincono i suddetti emissari della Cupola o la democrazia corre gravi pericoli, e martellanti campagne già si attrezzano per demolire in partenza governi con Meloni indigesti? E allora anziché cominciare prima con le campagne, poi con le intimidazioni, quindi con le minacce internazionali, gli assalti giudiziari e i ricatti economici, e infine boicottare i governi non allineati alla Cappa, perché non dichiarare ufficialmente che siamo nell’era delle oligarchie e dei governi calati dall’alto? Perché inventarsi un’emergenza dopo l’altra se possiamo più lealmente dichiarare che siamo passati a un’altra forma di governo e non sono più ammesse defezioni da parte del popolo sovrano alla linea imposta dai Grandi Poteri che contano? Avete anche un magnifico alibi a vostra portata, l’esempio disastroso dei grillini al governo e in parlamento, e dunque potete ben dire: vedete dove porta e come finisce il populismo e il voto sovrano?
Allora dichiarate che abbiamo eterno e infinito bisogno dei Draghi come dei Mattarella, e quel bisogno si abbrevia semplicemente in bis. Bene bravi bis, for ever. L’Italia senza di loro è una terra abitata solo da cinghiali, da incapaci e da dementi: per fortuna che abbiamo loro, Drag Queen e King Mattarel, i nostri sovrani a vita, come la Regina Elisabetta, ma loro non si sono limitati a regnare, come lei, ma sottogovernano con i poteri conferiti dalla Cupola internazionale. Mario per sempre, con Papa Sergio. Poi è arrivata la ventata di pazzia e ci siamo ritrovati, ma guarda un po’, in una situazione analoga a quella della Gran Bretagna: senza un governo in piena guerra, ancora in pandemia, in grave crisi economica ed energetica. Ma se cade Johnson eletto dal popolo sovrano è cosa buona e giusta, se cade Draghi, non eletto, è una tragedia. Salvo colpi di coda, si andrà a votare nel primo autunno. Torna malconcio e in vesti grottesche quel mostro chiamato democrazia, o perlomeno un suo parente o sosia.

MV

L’età dell’impotenza…

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Il ghiacciaio si scioglie e genera una tragedia sui monti, sulla Marmolada. Il clima impazzisce e genera disastri atmosferici nel pianeta. Il contagio del covid riprende a correre per il terzo anno. In Ucraina la guerra continua e nessuno riesce a fermarla. E aspettiamo la solita, inevitabile catena di incendi d’estate, che di solito partono da errori o colpe ma si ripetono sempre, e non c’è efficace prevenzione e dissuasione.

Per completare il quadro e aggiungere benzina sul fuoco, non c’è giorno che la follia di un uomo non si scateni su vittime innocenti, dagli Stati Uniti al mondo. I sistemi di sorveglianza e controllo nulla possono davanti all’imprevedibile follia, alla malvagità senza movente. Si pensa che il rimedio sia solo vietare le armi, e può essere un mezzo per limitare le occasioni e il numero delle vittime, ma non estirpa certo il male.

Eventi disparati, atmosferici, sanitari, storici, delitti ambientali, umane follie ma che rivelano una cosa: siamo entrati nell’Età dell’Impotenza. Qualcuno dirà che siamo rientrati nell’Età dell’Impotenza e altri, più accorti, diranno che in realtà non ne siamo mai usciti. Da sempre ci dominano fattori ingovernabili, che un tempo chiamavano Sorte, Fato, Necessità. E ad essi si aggiunge il fattore ineliminabile che potremmo definire con tono biblico malvagità, umana o non solo. Ma quel che più colpisce è la percezione della nostra Impotenza rispetto agli accadimenti, in un’epoca che invece è culturalmente dominata dalla Volontà di Potenza e dai desideri illimitati. Ci hanno allevato alla libertà e ai diritti come principi assoluti, ci hanno insegnato che la modernità si distingue dall’antichità perché l’uomo domina e non subisce il destino e gli eventi, e invece ecco rivelata tutta la nostra impotenza. In che senso nostra? In senso personale, prima di tutto. Poi in senso sociale. Nulla possiamo da soli, ma anche insieme, pur essendo preziosa la solidarietà e pure il conforto comunitario. Ma anche riferita agli Stati, al Potere delle Istituzioni, della Scienza, della Tecnica, della Terapia, la condizione impotente non cambia. Nessuno riesce a fermare queste emergenze, e non dico solo quelle impreviste, ma anche – e soprattutto – quelle previste, annunciate da tempo o temute da anni. Non c’è possibilità di prevenzione, non ci sono protocolli e misure per frenare e nemmeno per rispondere agli eventi che si abbattono su di noi. I vaccini non bastano, o forse non servono, si insinua perfino il dubbio che siano la principale causa delle varianti e della ripresa dei contagi. Ovvero il rimedio non frena o estingue il male, e forse addirittura lo provoca (senza considerare gli inquietanti e rimossi effetti collaterali). I discorsi sull’ecosostenibilità, sul riscaldamento del pianeta, sul tracollo climatico sono montagne di parole che partoriscono topolini, impotenti rispetto al funesto evento di un ghiacciaio che si scioglie e trascina gli uomini nella rovina. Grandi mobilitazioni, piccoli risultati. Anche perché per sperare di ottenere risultati sensibili, ammesso che si sia ancora in tempo, si dovrebbe rimettere radicalmente in discussione il modello di società in cui viviamo. Non solo arrestare lo sviluppo, ma arretrare perfino. Anche i più scalmanati sostenitori della svolta ambientalista non riuscirebbero ad accettare le implicazioni e le limitazioni enormi al nostro attuale modo di vivere.

Vanamente i media, i poteri, cercano di colpevolizzare i popoli e i cittadini, e quasi scaricare sulla loro incuria e refrattarietà a seguire i protocolli di sicurezza, se la pandemia riprende, se la terra impazzisce, se accadono incendi e se non si sopportano le conseguenze delle misure per dissuadere i malvagi e i guerrafondai. In realtà la responsabilità dei singoli è morale più che reale. Il raggio d’incidenza dei singoli comportamenti è quasi impercettibile. E comunque agisce in minima misura sugli effetti ma è del tutto inerme rispetto alle cause, ai processi in corso, alle minacce incombenti. Il senso di impotenza scatena inevitabilmente l’ansia fino all’angoscia che non è uno stato provvisorio, limitato nel tempo e alle circostanze, ma coinvolge interamente la nostra mente, la nostra persona e il nostro tempo presente e futuro. L’ansia ci avverte di un pericolo, l’angoscia ci dice che non c’è scampo. Dunque, lo stato dell’angoscia è legato alla percezione dell’impotenza. Che è poi il senso proprio della tragedia, dove non c’è rimedio, non c’è via d’uscita. È l’età dell’Impotenza.

Ma si può vivere con questa spada di Damocle pendente sulle nostre teste, si può essere cittadini leali e osservanti delle norme se il potere non ci garantisce la prima delle fonti su cui sorge lo Stato, ossia la sicurezza o l’argine alla paura? Ecco il pericolo che si aggiunge a quelli legati agli eventi: che si possa allentare o sciogliere il patto su cui regge l’alleanza tra potere e popolo, tra governanti e governati, visto che gli Stati non garantiscono effettivi argini ai cataclismi e alle tragedie. E allora, non ci resta che convivere con la catastrofe? Dobbiamo comunque reagire, prevenire, aumentare la soglia di attenzione e di sicurezza, ma dobbiamo cambiare mentalità. L’uomo non è il signore dell’universo, la nostra vita non è assoluta e permanente, ricacciamo la volontà di potenza e i desideri illimitati, recuperiamo il senso del limite, accettiamo il nostro destino con amor fati. Siamo fragili, mortali, esposti al pericolo. Solo un dio ci può salvare. O peggio, solo un dio si può salvare.

(Panorama n.29)

Ucraina: la propaganda della Nato è alla corda.

 

Gli obiettivi dichiarati dalla Russia nella sua invasione dell’Ucraina rimangono il cambio di regime a Kiev e la fine della sovranità ucraina in qualsiasi forma essa sopravviva all’attacco russo, nonostante le battute d’arresto dei militari russi e la retorica che allude a una riduzione degli obiettivi della guerra dopo tali sconfitte”. Questo sarebbe il significato delle dichiarazioni rese ieri dal segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev, secondo l’Institute for the Study of War, il think tank dal quale i media mainstream Usa, e a ricasco quelli europei, dipendono per le loro notizie e analisi di guerra.

La nota dell’ISW, fedele al suo obiettivo guerrafondaio, conclude così la sua analisi: “La dichiarazione di Patrushev aumenta notevolmente l’onere per coloro che suggeriscono che sia possibile un cessate il fuoco tramite compromesso o addirittura una pace basata su limitati guadagni territoriali russi, anche se fosse accettabile per l’Ucraina o desiderabile per l’Occidente (e non è questo il caso)”. Così, quindi, il think tank guidato dai noti guerrafondai neocon sotto la guida di Kimberly e Frederick Kagan, Bill Kristol e i loro compagni di merende.

In realtà, alla notizia della conquista di Severodonetsk, Putin ha dichiarato esplicitamente che l’obiettivo della campagna russa è il Donbass (AdnKronos), facendo seguire a tali parole il ritiro da Snake Island, la porta di Odessa, confermando con i fatti le parole.

Ma alla follia neocon non c’è limite, né si riscontra un limite, se non in via eccezionale, nella dipendenza dei media mainstream dalle loro direttive (a proposito di autoritarismi e democrazie).

Si può riscontrare tale dipendenza da un particolare: per mesi i media hanno accusato la Russia di bloccare il grano ucraino nei porti del Mar Nero (con riferimento specifico a quello di Odessa) e, in tal modo, di essere responsabili del dilagare della fame nel mondo.

Dopo il ritiro da Snake Island, cioè la liberazione del porto di Odessa, questo tema è stato semplicemente rimosso dalla narrazione, nulla importando che, nonostante lo sblocco della situazione, nessuna nave ucraina sia partita col suo carico di grano dal porto in questione per sfamare il mondo; né si hanno notizie di uno sminamento da parte degli ucraini delle acque antistanti, che loro stessi hanno disseminato di tali ordigni… Tant’è.

Intanto, la Russia annuncia che ha distrutto due batterie di lanciamissili HIMARS nella regione di Lugansk… La Nato aveva assicurato, tramite politici e media, che tali sistemi d’arma avrebbero ribaltato le sorti del conflitto (vedi ad esempio AdnKrons: “Lanciarazzi Himars in Ucraina: perché possono cambiare la guerra”).

E su tale assunto hanno fondato la necessità di continuare questa guerra che, se invece è persa, sarebbe inutile, anzi controproducente, proseguire (inutile strage, inutili le sofferenze globali causate delle sanzioni, sprecati i soldi dati alle industrie delle armi).

Ad oggi pare siano stati inviati in Ucraina una decina di HIMARS, otto americani e due britannici (almeno stando agli annunci, troppo spesso caotici). Ma alcuni di essi potrebbero non essere ancora arrivati o, se giunti, non ancora pervenuti al fronte, da cui la possibilità che siano distrutti prima ancora di essere usati in battaglia, come capita ad altri armamenti Nato,

D’altronde era ovvio immaginare che, se anche fossero stati risparmiati dal fuoco preventivo, una volta che fossero giunti destinazione e avessero iniziato a sparare venissero subito individuati, diventando così il target più rilevante per i missili russi.

Invano abbiamo cercato la notizia della distruzione di tali armamenti su fonti d’Occidente, essendo stata rilanciata solo dall’ignoto bulgarianmilitary.com.

Tale oblio può essere spiegato facilmente: non si tratta solo di un rovescio sul piano militare, ma del crollo dell’intera narrativa sulle magnifiche sorti e progressive di questa guerra per procura, che gli HIMARS hanno rilanciato.

Se vera la notizia (e tale sembra), c’è da inventarsi un’altra narrativa sulla vittoria ucraina, ma dopo mesi passati a contrabbandare quella legata all’invio dei magici lanciarazzi, è davvero arduo.

Così trattare col nemico resta l’unica via per evitare un’inutile ulteriore distruzione dell’Ucraina e che la frustrazione di neocon e compagni spinga la Nato a interventi più diretti e incisivi, cioè all’escalation. Non si tratta di essere pacifisti a oltranza, ma semplicemente realisti, come nel caso di Henry Kissinger.

Chi ha vinto davvero le elezioni amministrative?Elezioni, come facciata, per una democrazia, che non esiste più, se non nelle parole.

 Ha davvero vinto la sinistra , con un exploit eccezionale, come scrivevano ieri  molti dei  principali quotidiani? Si è davvero consunta la destra, il populismo estinto ?  Per me ha vinto l’astensionismo, ossia il partito di chi non si riconosce più in nessuna organizzazione politica e  poi quelli, che vo terebbero volentieri centro-destra, ma sono stufi di vedere i loro voti buttati regolarmente tra quelli nulli. Gli ultimi governi sono stati tutti espressione di altro che non fosse la volontà popolare e l’andazzo mostra di non volersi fermare, se si analizzano gli intenti dei partiti al governo, volenti o nolenti, per la prossima legislatura. Vi propongo al proposito un articolo del mio giornalista preferito, vecchio di qualche anno, ma attualissimo.

Ma che fine ha fatto la destra? La risposta più immediata e un po’ subdola è: sta lì, dirimpetto alla sinistra. Già, ma la sinistra è sparita in un imprecisato altrove. Nello stesso altrove è la destra.

La sinistra è in liquidazione, anzi in liquefazione. Renzi è stato il san Gennaro della sinistra italiana: ha compiuto il miracolo di liquefarla, scioglierla come accade al sangue del santo. Forse l’ha fluidificata per consentirne poi l’espettorazione, come un catarro. Se la sinistra è passata dallo stato solido allo stato liquido, adeguandosi alla modernità liquida descritta da Zygmunt Bauman, la destra ha fatto di più, si è sublimata, passando allo stato gassoso. La destra sublime, secondo Pasolini.

In termini zodiacali, la sinistra è un segno d’acqua, la destra è un segno d’aria. La parabola chimica della destra è stata la seguente: fu pastorizzata a Fiuggi, poi fu sterilizzata da Fini, infine è stata polverizzata negli ultimi tre anni. Si è così tradotta in un pulviscolo atmosferico che si vede solo in controluce. Resta il frammento di Fratelli d’Italia, i cui corpuscoli sono leggermente più grandi e dunque più visibili, ma quell’area d’opinione in Italia è ormai da tempo allo stato gassoso.

È uno stato d’animo anche diffuso, una nube anche estesa, comunque un gas, si spera non tossico né intestinale. La destra invisibile si è ritirata tra le nuvole, come capita agli angeli, ai defunti e ai volatili d’alta quota. La destra è nell’aria.

MV

Il mostro fresco, di giornata …

Pestatelo, è lui la Bestia sacrificale del giorno, lo ha decretato l’Accademia dei Linciaggi. È un meccanismo che ormai procede con cadenza quotidiana, senza soluzione di continuità. Dal nemico politico e ideologico all’outsider ribelle, dal no vax al no war, dal “putiniano” all’antiamericano, dal difforme al non abbastanza conforme.
Ogni giorno sui grandi giornali italiani e in tv si prende di mira un bersaglio e si procede a mazziarlo. In branco, magari in giorni diversi, ma con acredine progressiva. L’obbiettivo può essere non solo quello scontato, il Salvini o la Meloni di turno, il Berlusca in versione centro-destra o un Conte, un Grillo o un Renzi quando sgarrano rispetto alla Cupola di Sinistra, ma può essere anche il Cacciari o l’Agamben, il Montaigner o il Santoro, il Capuozzo o l’Orsini di turno, il Briatore e perfino il Giorgino sfrattato dalla conduzione del tg1.
Non succede mai che un detentore di potere effettivo, un funzionario organico della sinistra diffusa o un suo conduttore televisivo, un membro della cupola politico-mediatica-finanziaria, sia soggetto a critica e attacco corale fino al disprezzo e al pubblico ludibrio. Ma succede sempre e solo a quelli che non sono dalla parte giusta, che non hanno forti protezioni o che le hanno perse, o che si sono a un certo punto liberati dai tutori e dalla casa madre e ragionano con la loro testa.
Ci sono alcuni critici televisivi (citiamo il decano, Aldo Grasso) che colpiscono sempre, senza eccezioni, coloro che sono già stati colpiti e sfiduciati, coloro che versano in difficoltà, in caduta libera, che hanno perso il loro potere o la loro protezione o che sono sul versante opposto alla cupola. Ci sono corsivisti che fanno altrettanto (il capofila è Massimo Gramellini ma ogni giornalone ha i suoi cecchini di riferimento): la loro funzione è codificare lo sberleffo, la riprovazione e l’umiliazione di chi è reputato mostro, anomalia, fuori dal giro o senza il bollino di cosa nostra.
Un tempo il giornalismo di regime si vestiva d’aplomb e davanti al difforme preferiva tacere e guardare altrove. Pratica ipocrita ma almeno educata. Da quando siamo entrati nell’epoca sgangherata del livore, il contrasto ideologico è sostituito dal disprezzo antropologico, lo stile è cambiato e il cordone sanitario per isolare chi è controcorrente si è fatto cappio al collo per trascinare alla gogna l’infame di turno, con tanto di cartello denigratore appeso al collo. E appena si comincia la mattanza, a turno gli sferrano un calcio, una mazzata, uno sputo e una scarica di pomodori. Appena la vittima perde sostegni, viene scaricato e risulta isolato, viene azzannato, esattamente come fa la mafia.
Il silenzio si riserva semmai al Nemico Assoluto, che non va nemmeno citato, in modo da condannarlo al silenzio-assenza, cioè alla finzione che non esista, non sia mai nato o sia morto da tempo. Ma il Nemico di passaggio e di vetrina, il Nemico relativo e in vista, va colpito e duramente.
Con una variante antropologica: se è uno un tempo considerato dei loro, viene giudicato come uno che ha perso il senno, la lucidità, è rimbambito o impazzito. Non può aver cambiato idea e giudizio, è solo uscito pazzo. Un po’ come i regimi comunisti che chiudevano nei manicomi i dissidenti.
Se invece il Nemico è sin dall’inizio del campo sbagliato, viene vituperato come populista, nazionalista, conservatore, cattolico tradizionale, fascionazista, xenofobo e via dicendo di fobia in fobia. Va deriso e discreditato, è di una razza infame.
Del pestaggio di branco agli Orsini di turno si è già detto abbastanza negli ultimi tempi. Ed è fin troppo facile parlare dei leader politici di destra massacrati. Ma la distruzione-derisione si applica anche a figure miti e prudenti che mai hanno espresso opinioni forti e divergenti. Prendete l’ultima vittima, il morbido e serafico Francesco Giorgino, che conduceva da anni con garbo e moderazione il tg1 della sera. È stato epurato con due brave e fascinose conduttrici, Emma d’Aquino e Laura Chimienti, da Monica Maggioni, una che si crede Napoleone. Appena lo hanno fatto fuori, gli hanno rovesciato a mezzo stampa una serie di insulti sul piano umano e professionale tanto forti quanto generici che si possono estendere senza difficoltà a interi stock di conduttori televisivi: scialbo, banale, perfino phonizzato nella chioma; e opportunista, servile, pronto a cambiare casacca e bandiera. A leggere quei giudizi sprezzanti, sembra la biografia collettiva di un ceto intero di zelanti lacchè dell’informazione, come ce ne sono in tutte le reti e tg: e invece il vomito viene rovesciato su uno solo, che ha il torto di risultare più o meno di centro-destra, di avere un fratello ex-sindaco leghista e di essere caduto in disgrazia nella nomenklatura del potere televisivo; ergo si può colpire senza pietà e disputarsi il suo scalpo e la sua carotide.
Ma è possibile che non ci sia mai nelle loro stroncature uno che faccia il conduttore del tg3 o di un altro tg o di un programma di sinistra, oppure un direttore di quelli che hanno cambiato tante bandiere ma alla fine sono tornati all’ovile giusto, in quota alla sinistreria diffusa di Palazzo? Possibile che tra vagoni di parrucconi lottizzati, pacchi di giornalisti vuoti, tromboni e vanesi, di conduttori biascicanti o rintronati, si colpisca solo uno e solo da lui si pretenda che la sua conduzione abbia un valore aggiunto, e lo si sbertucci sia quando fa scelte pop con una particina in un film d’evasione, sia se insegna comunicazione all’Università? Non va dimenticata la premessa: l’attacco scatta appena il suddetto è caduto in disgrazia e ha ricevuto l’interdetto, la fatwa, dalla sua direttora o dal suo ex direttore. Non trovate questo sistema vigliacco e carognesco, manicheo e lievemente mafioso? Non trovate meschino che l’ironia e l’insulto si rivolgano verso chi è all’opposizione e si risparmi sempre chi sta al potere o nei palazzi alla sua sinistra?

MV.

Ucraina: la realtà oltre la propaganda.

 

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La guerra in Ucraina inizia ad affacciarsi nella sua cruda realtà, al di là cioè delle fantasie dei media, che in questi 100 giorni hanno descritto un conflitto virtuale. Così Pat Buchanan, in un pezzo su American Conservative, spiega come l’America abbia interessi divergenti rispetto a Kiev, che invano ha tentato di trascinare gli Stati Uniti in un conflitto diretto contro la Russia. Un pezzo lungo e articolato il suo, del quale riferiamo l’ultima parte, che prende spunto dall’invio di nuovi e più sofisticati missili a Kiev: “Il Cremlino ha avvertito che qualsiasi nazione che invii armi avanzate in Ucraina dovrà affrontare dure ripercussioni. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha accusato l’Occidente di aver dichiarato una ‘guerra totale’ alla Russia”. “Ciò che questo suggerisce è che la guerra sta ora generando rischi e pericoli maggiori per gli Stati Uniti rispetto a qualsiasi guadagno che potrebbero realizzare dall”indebolimento’ della Russia prolungando i combattimenti. Potrebbe essere il momento di dire a Zelensky non solo ciò che forniremo e non forniremo, ma anche quelli che riteniamo siano i termini accettabili per una tregua“.

Di interesse il cenno finale anche perché l’idea di una tregua lascia in sospeso le controversie territoriali, cioè il ritiro o meno dei russi, di difficile, forse impossibile soluzione, anche perché Mosca sta ormai offrendo la propria cittadinanza ai cittadini del Donbass e non tornerà certo indietro. Peraltro, come scrive Buchanan, tali controversie non interessano affatto agli Stati Uniti (come implicito nel discorso di Biden), i quali non combattono per l’Ucraina, ma per i propri interessi nazionali. Brutale, quanto veritiero.

Più articolato un articolo di William Moloney su The Hill. che spiega la realtà oltre la propaganda, che cioè l’idea di Putin di prendere il controllo del Donbass “non appare più così irreale, come riferito in precedenza”. E come l’opinione pubblica americana ed europea inizi a interpellarsi sulla guerra e ad assumere posizioni critiche verso la propaganda politico-mediatica. Non solo la guerra sul campo di battaglia, anche la guerra economica va diversamente di come avevano sognato le cancellerie occidentali: “Un altro elemento della convinzione comune che sta crollando è l’idea che le sanzioni paralizzanti imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea avrebbero presto messo in ginocchio l’economia russa”. “Invece, ci sono prove che potrebbe accadere il contrario, con sanzioni che fanno più danni alle economie occidentali che a quelle russe. Lungi dal registrare le ‘macerie’ previste dal presidente Biden, il rublo a maggio ha toccato il massimo da due anni e le esportazioni russe di energia e agricoltura hanno prodotto ricavi record, perché l’Europa e gran parte del resto del mondo non possono farne a meno” (sul punto rimandiamo a un più dettagliato articolo di Larry Elliot sul Guardian, dal titolo: “La Russia sta vincendo la guerra economica – e Putin non è più vicino al ritiro delle truppe”).“Collegato a tali fenomeni – aggiunge Moloney  – è l’assoluta irrealtà del mito fondamentale di questa guerra, vale a dire che gli Stati Uniti hanno radunato quasi il mondo intero contro la Russia, ormai quasi totalmente isolata. In verità, su 195 paesi del mondo, solo 65 hanno accettato di aderire al regime sanzionatorio americano, il che significa che 130 hanno rifiutato, tra i quali Cina, India, Brasile, Messico, Indonesia, la maggior parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, paesi che insieme costituiscono il stragrande maggioranza della popolazione mondiale”.“[…] Un esempio lampante del rifiuto dell’assunto del dominio degli Stati Uniti si è avuto nel corso” del recente G-20. Infatti, “quando la delegazione statunitense ha abbandonato la sala durante l’intervento del delegato russo, solo tre delle 19 delegazioni presenti l’hanno seguita. Ciò dice a qualsiasi osservatore obiettivo che non è la Russia la superpotenza più isolata al mondo, ma forse gli stessi Stati Uniti”.

Dismessi i feroci accenti propagandistici della prima ora, continua Moloney, – l’idea di assassinare Putin, il regime-change a Mosca etc – “gli Stati Uniti e i loro alleati sembrano aver assunto una posizione diversa e sembrano barcamenarsi per trovare un percorso accettabile verso un compromesso che ponga fine alla guerra”. “Con quasi tutte le nazioni occidentali che stanno affrontando lo spettro di una crisi economica più o meno profonda e il governo degli Stati Uniti sull’orlo di un massiccio rigetto da parte degli americani” – per i quali, come dicono i sondaggi, “la massima priorità è mettere a posto l’economia Usa e ripristinare il sogno americano” in rapida consunzione – “il mondo sta cambiando in modi inaspettati e profondi”. Non si tratta di esaltare le magnifiche e progressive sorti della Russia, che comunque uscirà ferita da questo avventurismo. Solo registrare che certe derive propagandistiche iniziano a mostrare la corda. E che nonostante i falchi continuino a alimentare una narrativa farneticante e a spingere per un approccio solo muscolare al conflitto, tanti iniziano ad abbracciare una posizione più realista, l’unica che possa chiudere questa maledetta guerra. Se ne parlerà sicuramente al Bilderberg, una sede decisionale alta dell’Occidente, che non a caso stavolta si è riunito a Washington. Presente anche Kissinger, che ha espresso posizioni più che realiste sul tema.

Infine, da registrare, di ieri, la visita del presidente dell’Unione africana, il presidente del Senegal Macy Sall, in Russia per tentare di sbloccare la crisi del grano che sta affamando il mondo. Putin ha ribadito la sua disponibilità ad aprire un corridoio sicuro nel Mar Nero per il transito di tale risorsa (Associated Press). Ma sul punto si attende la visita di Lavrov In Turchia che potrebbe aprire prospettive concrete (Anadolu). Vedremo.