Ogni cosa ha la sua storia,anzi deve averla per forza… E

Nella vita di tutti i giorni è difficile accettare le cose per come si presentano; dobbiamo avere una spiegazione, quasi la vita fosse  un teorema matematico da dimostrare. Non per niente mi affascina questa poesia di Wislawa Szymborska dove, con l’acume ironico che  é una delle sue solite prerogative, analizza la molteplicità dei casi della vita , quasi per darci un misura di analisi.

Ogni caso
Doveva accadere.
È accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
È accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’attimo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì?
Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

Wislawa Szymborska

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Il potere della parola…

Una parola muore
appena è detta
dice qualcuno-
Io dico che comincia
appena a vivere
quel giorno

.Emily Dickinson

Le parole cambiano il loro senso in relazione allo stato d’animo col quale le ascoltiamo, cambiano secondo la sintonia che si crea con le persone a cui ci rivolgiamo. Esse sono sempre l’espressione del momento che stiamo vivendo, nell’ambiente in cui ci troviamo. Soprattutto le parole sono rivolte ad altre persone il cui stato d’animo dovremmo conoscere. Le parole, prima di essere dette hanno bisogno sempre di essere filtrate dalla mente e dal cuore per essere le parole giuste per quel momento. Questa poesia rende chiara la fragilità della parola e la sua misteriosa durata nel tempo. La parola può essere insegnamento,persuasione, conforto, augurio, speranza, memoria, felicità così come può essere peggio di una coltellata nel cuore. E ricordiamoci che una parola detta non si cancella mai più, ma anche che una parola non detta potrebbe diventare un enorme rimpianto.

Lo sfogo di una persona , che non ne più di virologi, infettivologi, medici pro, medici contro, ma soprattutto dei media . Viviamo di tante notizie ,ma non più di buon senso e intelligenza.

Leggo sui giornali di stamani che sono in programma nuove proteste contro il green pass, naturalmente supportate da certi partiti che trovano conveniente cavalcare l’onda di questi scontenti. Non invitano a non vaccinarsi, ma pretendere che chi non lo fa abbia gli stessi diritti dei vaccinati mi pare discriminare quelle parte ,largamente maggioranza, degli italiani che ,assumendosi la responsabilità, ha compiuto il suo dovere civico di cittadino , in primis nei suoi confronti, poi verso la salute pubblica. Ora, viviamo in un paese libero, è giusto che non si obblighi al vaccino, ma chi è vaccinato deve essere libero di pretendere intorno a se persone vaccinate. Allora mi pare giusto il green pass e sarebbe ora che si accettasse quello che questo comporta come diretta conseguenza. Se la vita è fatta di scelte, ognuno dovrebbe viverla secondo la propria . Il Covid purtroppo continuerà la propria corsa per moltissimo tempo, dovremo abituarci e ben vengano i vaccini, che ci permettono di vivere una quasi normalità, finalmente senza chiusure, restrizioni assurde, che continuerebbero a distruggere molte attività , che già faticano a riprendersi. Non dimentichiamo poi, che ci sono moltissimi malati, il cui numero sorpassa di gran lunga i colpiti da covid, che sono i malati oncologici, i cardiaci, i tanti malati bisognosi di interventi ortopedici, i tanti bambini che affollano gli ospedali pediatrici, per non parlare di una normale patologia, che potrebbe colpire chiunque e portarlo ad aver bisogno di cure. Io credo che anche i media dovrebbero smetterla di inseguire il covid, di terrorizzare la gente con numeri ridicoli ,perchè letti così ,come ce li presentano ogni giorno, non hanno senso .La gente ha bisogno di fare le sue scelte in tranquillità , non sulla scia dell’emotività o della paura; la gente deve potersi recare dal proprio medico quando ne ha bisogno, deve poter accedere agli ospedali e alla loro offerta in tranquillità, mentre invece ormai le liste d’attesa si sono prolungate non di mesi, ma di anni. In quali condizioni di salute ci ritroveremo fra qualche mese, se non si smette di privilegiare il Covid?- Lo Stato ci ha messo a disposizione un ottimo servizio di vaccinazione, il vaccino pare essere l’unica arma contro questa disgrazia, e allora lasciate che la gente torni a vivere in serenità, senza guardare in cagnesco qualsiasi persona sconosciuta, che possa trovarsi al suo fianco.

gente normale

Coloro che si amano davvero sono le persone più libere al mondo…

Gli amanti sono le persone più libere che ci siano al mondo
Per secoli ti è sempre stato insegnato
che gli innamorati si arrendono l’uno all’altra.
Questo è una totale assurdità.
Deve essere stato detto da gente
che non sapeva cosa fosse l’amore.
Gli amanti non si arrendono
mai l’uno all’altra,
ma semplicemente si arrendono all’amore.
È vero che perdono l’ego,
ma non per darlo all’altro.
Gli ego semplicemente evaporano.
Gli amanti non diventano dipendenti l’uno dall’altro,
non diventano l’uno lo schiavo dell’altro.
Al contrario,
l’amore dà libertà.
Gli amanti sono le persone più libere che ci siano al mondo.
E si aiutano reciprocamente a diventare sempre più liberi,
perché la libertà porta la gioia,
e l’incontro con la libertà ha una bellezza immensa.
Quando due amanti s’incontrano non attraverso un legame,
ma attraverso la libertà,
è una benedizione.

Osho

amanti

Riflessioni sulla malinconia…

 

La malinconia è un albero ombroso che ti succhia linfa ma a volte dà frutti deliziosi: opere, poesie e a volte perfino trattati sulla malinconia medesima. Ho davanti a me due libri, uno poderoso e ponderoso, uscito pochi mesi fa in Italia e l’altro smilzo e acuto uscito invece tanti anni fa.

Il primo è L’inchiostro della malinconia di Jean Starobinski, medico, saggista e letterato. È un compendio filosofico-sanitario, una storia e fenomenologia psico-letteraria della malinconia, delle sue origini soprannaturali o patologiche e poi degli effetti sentimentali e caratteriali.

Una volta era localizzata nella bile nera o nella milza, e la religione la considerava peccato di accidia: l’acedia è un torpore, un’assenza d’iniziativa, una disperazione totale, senza scampo, acuita dalla solitudine, che produce mutismo, anzi «afonia spirituale»; quella che Marsilio Ficino indicava come perdita eccessiva dello spirito sottile. La voce dell’anima non parla più. Il rimedio classico era viaggiare.

L’espressione spirituale della malinconia è la letteratura della nostalgia, la passione del ricordo. Kant ritiene che il nostalgico non desidera in realtà i luoghi della giovinezza, ma lo stato della giovinezza, la propria infanzia legata a un mondo anteriore. Per Starobinski la nostalgia è una malattia morale.

La malinconia a volte si combina col sarcasmo e si mimetizza nel grottesco. Proverbiale è il riso di Democrito. Nell’ironia c’è lo sfogo, la terapia e forse la salvezza, lo notava già Søren Kierkegaard nel Concetto dell’angoscia. E poi la descrive nel Diario dicendo che è un Giano bifronte, con un volto rido e con l’altro piango, unendo il comico e il tragico.

Il malinconico è ritenuto per un verso posseduto dal demonio, ma per un altro è baciato dagli angeli o sorretto da Saturno che dispensa i doni della malinconia. Ma per cogliere quei doni sono necessari due ingredienti, il talento, se non il genio, e l’amor di gloria, se non il narcisismo. Il sacrificio della vita in nome dell’opera è il culmine del narcisismo, nota Starobinski, ma nasce dalla melanconica considerazione che la consolazione per la propria fine è la consacrazione esclusiva alla scrittura (o all’arte).

Si disse che il genio è malinconico, ma non tutti i melanconici sono geniali. A volte ci sono anche i cretini depressi. Quando la malinconia è diffusa si chiama depressione di massa, ed è quella che intride il nostro tempo. Il depresso non è necessariamente uno spirito sensibile, ma la malinconia si accompagna sovente a un’acuta sensibilità. Il depresso di solito è prigioniero del presente; il malinconico, invece, si strugge per il passato e il futuro. Non lo tormenta il presente o la presenza ma l’assente o l’assenza.

C’è pure la voluttà della malinconia, e perfino la civetteria di dirsi malinconici, figurandosi come l’artista geniale o il bambino triste che vuole attenzioni. La malinconia può essere innata o sopraggiunta, suscitata dagli eventi; c’è persino quella ereditaria, e talvolta quella etnica, attribuita come indole ad alcuni popoli (la saudade portoghese, la tetraggine russa, la murria spagnola, il cafard francese che è poi lo scarafaggio, lo spleen inglese che è poi la milza).

A ragione Starobinski ritiene che la costituzione congenita pesi più dell’influenza esterna. Il malinconico vive il tormento di non passare dalla conoscenza all’atto e di non aderire alla realtà esterna; qualcosa lo allontana o lo rende inadeguato.

La malinconia è una vedovanza ma può essere anche un vuotarsi per ricevere la visita divina.

E qui ritrovo l’altro libro che citavo senza citare. È Ritratto della malinconia di Romano Guardini, filosofo, presbitero e teologo veronese vissuto in Germania (Morcelliana, pagg. 80). Un testo breve ma acuto e intenso. Per Guardini la malinconia è troppo dolorosa e tocca troppo le radici del nostro essere per abbandonarla nelle mani degli psichiatri. Appartiene a un ordine di natura spirituale. La sua nostalgia divorante si unisce a un bruciante ardore spirituale.

La malinconia per lui consiste in un’oppressione dello spirito, un peso che grava su di noi e ci schiaccia mentre i nostri sensi e impulsi si paralizzano. L’uomo malinconico non padroneggia più la vita. Avverte un vuoto metafisico. La vita per Guardini è dominata da due impulsi opposti. Una volontà di esistere, affermarsi ed elevarsi e una volontà di sparire, di sottrarsi.

Il baratro ci attrae mentre ci fa paura. Un’indole malinconica, a suo parere, è molto sensibile ai valori più alti, ma patisce la tendenza all’autodistruzione. È la grande tristezza di cui parla Dante, la nostalgia di evadere dalla dissipazione, raccogliersi nel tutto, e «ricoverarsi nel mistero delle cause ultime, la nostalgia dei grandi malinconici verso la notte e le Madri».

Malinconia è connettersi al fondo oscuro dell’essere. Guardini acutamente distingue tenebre da oscurità: la tenebra è cattiva, nemica della luce, l’oscurità invece appartiene alla luce, è la sua ombra. Verso l’oscurità tende nostalgicamente la malinconia. Il malinconico è in rapporto profondo con la pienezza dionisiaca dell’esistenza.

Ma il cuore della malinconia è Eros, il desiderio d’amore e di bellezza. Da qui Guardini coglie lo spunto per l’ascesa mistica verso Dio, amore e bellezza assoluta. La malinconia gli appare il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo, nel paragone con la vanità del tutto. L’uomo, scrive Guardini, è un confine e sperimenta il mistero di una vita di confine, non è decisamente di là o di qua, vive nella terra mediana dell’inquietudine, dove riconosciamo anche la nostra inquietudine.

Chiudo i due libri e gli occhi e rivedo davanti a me la Melencolia ritratta da Dürer e il cielo apocalittico di Melancholia , il film di Lars von Trier dove il disastro torna al suo significato originale, astrale: Melancholia è un pianeta che distruggerà la terra e s’accompagna alla malinconia degli ultimi abitanti nei loro ultimi istanti sulla terra prima della collisione. Byung-Chul Han dedica sagaci pagine al film e alla gioia estrema sull’orlo della catastrofe (Eros in agonia , edizioni Nottetempo, pagg. 96).

Il narcisismo aveva cancellato il mondo per vedere solo l’immagine di sé. Dopo una vita senza mondo verrà il mondo senza vita. La malinconia è la collisione dolorosa di passato e futuro, nostalgia per ciò che si perde e angoscia per ciò che finirà. Chi aderisce al presente non è malinconico; la malinconia è sempre un disagio, un presagio e un lutto.

Il malinconico non sa vivere solo di presente e di realtà, ha la tentazione della vita ulteriore e dello sguardo oltre il visibile. La malinconia è occhi pensanti.

M.V.

 

malinconia

Perchè ci piace la bellezza di un paesaggio, perchè vivere nella natura ci fa star bene?

Che stare in mezzo alla natura faccia bene alla salute lo sappiamo da tempo, e ora gli studiosi stanno cominciando a capire cosa succeda davvero nel nostro cervello quando siamo di fronte a bellezze naturali. Una ricerca realizzata al Max Planck Institut di Francoforte, da poco pubblicata sulla rivista Frontiers in Human Neuroscience, spiega il passaggio dalla semplice visione di un’immagine piacevole alla percezione del suo impatto estetico.
I ricercatori hanno usato la risonanza magnetica su un gruppo di volontari per verificare le reazioni del cervello di fronte ad un paesaggio, mostrando loro dei filmati, che sono più vicini alla realtà di una fotografia:”Siamo rimasti sorpresi osservando che non si registravano reazioni solo nelle aree cerebrali relative al sistema della ricompensa – quelle che ci fanno provare piacere quando osserviamo qualcosa di bello o viviamo un’esperienza piacevole – ma anche in alcune aree collegate alla visione”, spiega Aise Ilkay Isik, una delle autrici dello studio. E’ possibile che i i nostri occhi siano in qualche modo programmati per ammirare la bellezza. ? “Un risultato importante”, osserva Antonio Cerasa, neuroscienziato e ricercatore dell’Istituto per la Ricerca e l’Innovazione Biomedica IRIB-CNR , “perché ci aiuta a liberarci dell’idea che queste esperienze siano concentrate in una singola area del cervello, e a comprenderne la complessità.
Questo studio ci aiuta a capire che un’esperienza estetica è legata al cambiamento, all’incertezza e alla sorpresa: ecco perché le immagini in movimento sono così importanti – spiega Cerasa – la meraviglia, la novità sono fondamentali per un’esperienza estetica: se vedo ogni giorno il Colosseo, come Jep Gambardella ne La grande bellezza, finisco per non notarlo”. E questa è un’esperienza, quando siamo abituati alla sua vista. E questo può succedere anche in altri contesti come la musica
L’esperienza estetica piacevole attiva diverse aree del cervello, tra cui quelle collegate alla visione, ma anche aree coinvolte nei processi di memorizzazione, come il paraippocampo: “Una conferma fisiologica del fatto che la novità è un elemento importante dell’esperienza estetica”, spiega ancora Cerasa. “Ma attenzione: parliamo di estetica, ossia della nostra reazione a ciò che vediamo, non di bellezza che è un concetto matematico legato alla proporzione delle forme”.
Oltre a comprendere come il nostro cervello reagisca alle bellezze naturali, è importante capire in che modo le interazioni con l’ambiente possano farci stare bene. “Sappiamo da tempo”, spiegano gli autori dello studio, “che la natura e il piacere estetico che ne traiamo sono preziosi per la nostra salute”. E vari studi mostrano che la reazione a uno scenario naturale è più spontanea e meno conflittuale rispetto a quella di fronte a un’opera d’arte, un elemento che potrebbe contribuire a spiegarne gli effetti salutari. Di cui già abbiamo diverse conferme. Alcune ricerche mostrano i vantaggi di un contatto più stretto con la natura: dalla diminuzione dello stress all’abbassamento della pressione sanguigna e di vari parametri metabolici, che portano a una generale riduzione di varie patologie, soprattutto ma non solo cardiovascolari, e di conseguenza della mortalità. “E non ci sono solo i vantaggi legati alla contemplazione delle bellezze naturali”, ricorda Cerasa, sappiamo per esempio che l’ortoterapia, il lavoro manuale in un orto o un giardino, è particolarmente benefica soprattutto per chi soffre di dipendenze che compromettono i sistemi di ricompensa, e ha bisogno recuperare la capacità di godere del piacere che nasce dal contatto con la natura ma anche dal modellarla e trasformarla”. Comunque la natura pare essere la panacea per molti mali, in particolari quelli legati allo stress della vita convulsa delle grandi aree metropolitane- Ci sono prove che ascoltare suoni ‘naturali’ mescolati a rumori portati dall’uomo è comunque più salutare rispetto a una situazione dove sono presenti solo rumori che non provengono dalla natura – ha detto Buxton – “.Non sappiamo perché accade questo ma possiamo fare delle ipotesi. Penso che da un punto di vista dell’evoluzione un ambiente acustico con molti suoni naturali rilassi, dia una percezione di sicurezza e permetta di riposare la mente”. E allora via alla ricerca di paesaggi naturali inaspettati, avventurandoci magari in un bosco, attenti a percepire lo scroscio delle acque di un ruscello, tra il cinguettio degli uccelli e il suono del vento che racconta alle foglie il mondo-

Fonte : La Repubblica P

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L’amore è un dono, non solo; l’amore è un diritto di tutti…

Caterina Storti è nata per il cognome che porta. Ha la sindrome di Down, ed è per questo che ha gli occhi di mandorla: anche il loro colore è uguale. Ogni giorno li sfuma con dell’ombretto rosa e quando la scorgi mentre spinge il carrello della biancheria dell’ospedale sembra che due petali le carezzino lo sguardo. A mezzogiorno, prima di andare in mensa, si riassetta il lucidalabbra perché, dice, una donna deve sempre essere in ordine. Fa bello. Linda, la coordinatrice in lavanderia, la schernisce affermando che è una civetta e Caterina prima ride, poi, la prende sottobraccio e le risponde: come te!
Mario Loda, invece, non sa perché è nato così. Non è per colpa del cognome, e neanche gli occhi a mandorla gli sono stati fedeli; i suoi sono azzurri, come i nontiscordardime. Però ha lunghi ricci castani che gli contornano il viso e Piero, il suo capo in magazzino, lo chiama Rubacuori. Quando va a consegnare le merci nei reparti o negli uffici, tutte le donne lo vezzeggiano e gli fanno piccoli regali, ma lui non sa se è contento; sa solo che diventa tutto rosso e che sente qualcosa che non sa spiegare, come un groppo nella pancia. Allora corre via e torna in magazzino, passando per il parcheggio perché l’aria gli piace e gli porta via il nodo che ha dentro.
Ė lì che è diventato amico di Caterina: la lavanderia è un prefabbricato vicino all’ospedale, a ridosso del parcheggio. Con lei Mario non ha mai il groppo e non diventa rosso; e poi gli piacciono i suoi occhi marroni.
«Ma i tuoi sono più belli», gli aveva detto Caterina un giorno, «guarda, sono come questi nontiscordardime». Caterina ne aveva raccolti cinque dall’aiola e glieli aveva regalati. Lui li aveva messi nel portafoglio anche se gli dispiaceva stropicciarli, ma così non li avrebbe mai persi.
Il giorno dopo Mario era andato in lavanderia, invitando Caterina a bere un caffè al bar. Gli sembrava giusto, dopo il regalo dei fiori. Forse è lì che è cominciato tutto. Piaceva a tutti e due bere il caffè insieme e chiacchierare un po’. Veramente parlava soprattutto Caterina, e Mario ascoltava; lei gli raccontava di come era brava a piegare le lenzuola, sempre dritte e con gli orli tutti a posto. Poi, quando aveva finito il lavoro, andava a fare la spesa per tutta la famiglia e le piaceva dipingere fiori. Gli aveva anche portato i suoi disegni, una volta. Mario, invece, era un vero esperto di musica. Le aveva fatto conoscere il jazz, il blues, la musica classica e tante altre bellissime canzoni! Sapeva tutto degli autori e le raccontava le loro vite come se avesse studiato l’enciclopedia della musica del mondo.
«Oggi è San Valentino», aveva esclamato Caterina quel giorno. «Il mio papà regala sempre alla mamma un mazzo di rose uguale al numero degli anni che si conoscono. Non so come fa, ma quando ci alziamo c’è già il mazzo sul tavolo della colazione. Per me butta giù dal letto il fioraio».
Si erano messi a ridere, e Mario, insieme al caffè, le aveva comperato anche un bacio perugina.
Caterina aveva letto a Mario il biglietto trovato nell’involucro del cioccolatino: Il vero amore è una quiete accesa (G. Ungaretti).
«Cosa vuol dire?» aveva chiesto Mario, dopo averci pensato un po’.
«Non lo so», aveva risposto lei. Ma dopo le si erano illuminati gli occhi e aveva detto: «Forse vuol dire che l’amore è come quando c’è il sole a giugno. Sai quando non fa mica troppo caldo, con il cielo tutto azzurro e il paese che sembra colorato con le tempere!». Poi gli aveva dato un bacio, lungo, sulle labbra.
Mario era rimasto fermo come un salame. Era diventato tutto rosso e poi era corso via, per colpa del nodo nella pancia. Ma questa volta era diverso: non voleva che l’aria se lo portasse via.
Caterina, invece, era tornata in lavanderia saltellando, con un caldo dentro che anche se era febbraio sembrava giugno.
La sera, a casa, la mamma l’aveva presa in disparte e le aveva fatto un lungo discorso. «Hai capito, Caterina, perché non puoi continuare a incontrarti con Mario?», aveva concluso, accarezzandole la testa.
«No», aveva risposto lei, con gli occhi pieni di lacrime.
Anche al lavoro Linda non la lasciava più uscire da sola. La accompagnava dappertutto, anche a consegnare la biancheria nei reparti. Un giorno avevano persino litigato e Caterina le aveva urlato tutto il suo odio. Ma non era servito a niente.
Erano passati diciotto mesi e sei giorni, quando sua madre l’aveva raggiunta al lavoro, un pomeriggio; lei e Linda le avevano raccontato che Mario era morto, per la leucemia. Quel giorno c’era il funerale; potevano andarci, se voleva.
Caterina rispose di sì.

Ora può di nuovo uscire da sola. Finito il turno di lavoro, si riassetta il lucidalabbra e, prima di andare a casa, passa dal cimitero a chiacchierare con Mario.
Quando sono fioriti, gli porta ogni giorno cinque nontiscordardime.
«Vedi», gli dice mentre li cambia nel vasetto ai piedi della lapide «questi non si possono stropicciare».
Poi, prima di andar via, bacia sempre le sue labbra nella foto. E sente un caldo che, per un attimo, giugno sembra durare un anno intero.

Lara Gregori, nontiscordardime
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Basta col covid…Cambiamo nome al ministro della Salute…Speranza non ha più senso.

Basta col Covid

Accorata supplica urbi et orbi, ai militanti tutti della vaccinocrazia e ai loro avversari, disertori e latitanti: finiamola con quest’infinita coda alla vaccinara. Lo dico a prescindere dalle singole convinzioni e dalle scelte in tema di vaccino. Abbiamo avuto la pandemia, abbiamo avuto la ricaduta, non se n’è ancora andata, temiamo che torni virulenta. Sono diciotto mesi, dico diciotto, che ne parliamo in maniera esagerata e ossessiva, che viviamo all’ombra del contagio e dei suoi rimedi. Perfino durante una guerra, eccetto i momenti più tragici, non si vive così sotto psicosi come facciamo noi con questo maledetto covid. In guerra si convive con le bombe, con le notizie dal fronte, con gli attacchi aerei e i combattimenti. Ma si fa anche altro, la vita continua. Il covid, invece, è diventato cronico ma resta il fatto del giorno, di ogni santo giorno. Sappiamo che il virus fa male, ha mietuto migliaia di vittime tra milioni di abitanti, ha generato pubbliche profilassi e drastici cambiamenti di vita e si rigenera con le varianti; ma diamine, non riusciamo proprio a considerarlo un male con cui convivere, come facciamo con l’infarto, il cancro, l’ictus, l’alzheimer e le altre malattie? Badate che non sto dicendo di prenderlo sottogamba, di “abbassare la guardia”, rassegnarsi o chiudere un occhio davanti ai dati e alle notizie; e non sto nemmeno assumendo una posizione ostile, minimalista o neutrale sui vaccini e sulle misure che si minacciano di continuo per ossequiare la Bestia e tenerla sì a distanza ma incombente con la sua ombra gigantesca su di noi. Non possiamo ridurre l’umanità a una fila permanente da e per gli ospedali, da e per le farmacie e gli hub, con tutta l’informazione e perfino l’intrattenimento che da un anno e mezzo ci perseguitano con questa piaga, amplificandola e drammatizzandola. Diciamo che se il danno reale equivale a dieci, il danno che ci siamo procurati ingigantendolo equivale a cento, anzi a mille.

Non ci rendiamo conto di quante altre cose ci sono in cielo e in terra, nelle nostre vite e nei nostri corpi, nelle nostre anime e nelle nostre menti, che vengono sacrificate, accantonate per far posto al Moloch sanitario e alle sue paure. Ogni volta che l’umanità ha un solo tema al centro della vita, una sola ossessione e un solo culto a cui è vietato sottrarsi, s’incarognisce, s’invigliacchisce, si avvilisce. Ripiega su se stessa, si attorciglia intorno ai propri incubi come alle proprie visceri, vive in una bolla di narcisismo sanitario, ultimo grido del narcisismo; grido di dolore e d’angoscia per l’ego in pericolo.

E dai, su, non possiamo vivere così per così lungo tempo. E non possiamo, grazie allo show h24 dei virologi-star e delle truppe televisive di complemento, accettare senza colpo ferire questa colonizzazione dell’immaginario e del lessico quotidiano. Alla lunga, la colonizzazione delle menti si fa coglionizzazione delle genti, istupidite da un solo tema e ridotte al bio-meccanismo paura/salute, minaccia/sicurezza. Sembra uno di quei test che si fanno in laboratorio alle cavie, ai topi o altri animali, per misurare i riflessi condizionati, le reazioni agli stimoli, agli aghi e alle sirene. Per l’esperimento sull’umanità si usano pure i colori: il giallo, arancione e rosso nelle zone proibite, il verde del pass, il bianco della salvezza o del camice.

Ammesso pure che tutta la campagna sanitaria sia necessaria e inevitabile, e che tutte le procedure conseguenti lo siano altrettanto, mi chiedo: ma perché dopo diciotto mesi, dico diciotto, non possiamo smantellare o almeno ridimensionare l’indotto, i sistemi aggregati e derivati, l’ammaestramento permanente, la mobilitazione etico-liturgica, ideologico-sanitaria, l’enfasi mediatico-culturale, la narrazione globale incessante?

La monotonia uccide più di ogni altra cosa, la riduzione dell’uomo a una sola dimensione, lo diceva Herbert Marcuse, è la peggiore alienazione e schiavitù. Di una persona non si dicono più le qualità e i difetti, la professione e le passioni, le amicizie e gli amori; ma si giudica solo se è vaccinato o no, se sostiene o boicotta le inoculazioni, se ha il green pass o lo ha comprato al mercato nero, se è credente, ateo o agnostico del vaccino. O in subordine, se ammette o no la dose ai ragazzi e ai bambini, ritenendo per opposte ragioni che sia un Erode se vuole vaccinare anche i minori o se vuole sottrarli al battesimo sierologico. Pure la filosofia ormai si pronuncia e si divide solo in merito alla questione sanitaria e sposta su quel terreno la libertà e la democrazia, la ragione e l’etica, la fede o la scepsi. Da tempo tento invano di scrivere d’altro e se talvolta torno sul Tema, come oggi, mi assumo la quota di colpa.

Parliamo d’altro, per favore, facciamo altro, magari mentre osserviamo le regole sanitarie, vaccino incluso. Ma risparmiamoci di dividerci e intrattenerci sempre e solo sul “bucato” personale e universale. Tu dai il braccio per il vaccino e si prendono tutto il corpo, testa inclusa. Siamo in overdose da letteratura, psicologia e sociologia da contagio. Vorremmo tanto che negli organi d’informazione la pagina sanitaria tornasse ad essere una dentro il giornale e non il giornale intero dentro la sanità, allestito come un ospedale da campo. Ci sono giornali-ambulanza, le loro pagine sono corsie, si vendono non in copie ma in flaconi…

E poi, visto che da così tanto tempo ne parliamo senza venirne a capo e intravedere uno sbocco, non sarebbe il caso del silenzio stampa, o perlomeno la sordina, come si fa durante le trattative coi rapitori per i sequestri di persona? Così magari gli addetti ai lavori hanno meno distrazioni e lavorano meglio, indisturbati; la gente si cura senza tante chiacchiere, moine e manie; il virus stesso non si monta la testa, stando sempre in vetrina da protagonista. E il mondo riprende a vivere, a pensare, a pregare, a sognare, a gioire, a patire e a morire d’altro. Fatti non fummo per viver come buchi…

MV, (29 luglio 2021)

speranza

Tanto tuonò che piovve…

Tanto tuonò ..che piovve. Così si diceva un tempo per indicare la conseguenza di un’azione; in questo caso pioveva goccioloni di una pioggia impetuosa: sotto di lei ribolliva il terreno rilasciando vapore , l’asfalto schiumeggiava ad indicare che il temporale non sarebbe terminato troppo presto. Era questo il temporale di mezza estate, che quando si incattiviva al massimo ricopriva il terreno di una fitta grandinata. Era come se fosse tornato l’inverno ad imbiancare tutto e scurire il volto degli agricoltori, preoccupati per i danni al raccolto danneggiato. Da stamattina nuvoloni neri correvano per il cielo spinti da un vento impetuoso, che , se mitigava il caldo non prometteva niente di buono…per aprirsi improvvisamente ad un azzurro abbagliante, un sole piacevolmente mitigato da una inattesa frescura. Poi, come la sorpresa nell’uovo di Pasqua il cielo, si scuriva come la pece, lampi squarciavano l’oscurità accompagnati da tuoni che parevano il passaggio di uno stormo di bombardieri e , invece dei portelloni , si aprirono le cateratte del cielo e le conseguenze furono le stesse di un bombardamento. I più piccoli blocchi di ghiaccio avevano la dimensione di palline da golf a salire come grandi mele e meloni. In tutta la mia vita non ricordo una grandinata di simili proporzioni e pensare che negli anni scorsi ho visto la sistematica distruzione del mio giardino, nubifragio dopo nubifragio. Questo di oggi è stato l’ultimo atto, che chiude il capitolo più importante della mia vita. Cinquant’anni di amore infinito per la natura intorno a me, che viveva con me, che mi regalava quella poca felicità che la vita mi elargisce ancora. Angoli pieni di ricordi sbriciolati dalla furia di una natura incattivita come mai l’avevo vista o potessi immaginare. E sotto cataste di rami, fogli, tegole, tre auto distrutte. C’è chi vince alla lotteria e chi , in pochi minuti perde un patrimonio. Ebbene la cosa migliore è fare una bella risata. Tutto il resto sarebbe solo inutile sangue cattivo, che non risolverebbe nulla. Forse si avvicina il tempo della Fine. Così Giovanni, nell’Apolicasse , preannuncia la fine dei tempi. Forse Dio si è stufato di vedere come si è ridotto l’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, di quali oltraggi alla vita, alla decenza sia favorevole, forse si è pentito di aver creato il mondo, per come è diventato , forse si è stufato di vedere come si è ridotta la Chiesa, con tutti i suoi scandali, incapace di trattenere i fedeli. Ormai è un continuo susseguirsi di catastrofi che si abbattono sul nostro pianeta, forse il riscaldamento globale non c’entra prorio nulla . Comunque c’è da pensare e non poco!

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Nella ben nota serie LBGTqr+ quale consonante potrebbe stare per nudismo?

 

La tanto discussa legge Zan a tutela della transomofobia non è ancora stata approvata in parlamento. Tuttavia pare che, tacitamente ,i milanesi si comportino come se questa legge fosse già in vigore. La notizia non gira solo sui social, ma incominciano a parlarne anche i giornali locali con tanto di fotografie. Pare siano già alcuni giorni, che una donna, di mezzà età vaghi senza meta nel centro di Milano, da piazza del Duomo, a piazza della Scala, senza che nessuno si preoccupi di lei. Probabilmente la gente pensa che i nudisti ora facciano parte a tutti gli effetti e con tutti i diritti di quel novero di persone che va sotto la sigla LGBTqr+ alla quale forse si è aggiunta una consonante per identificarli( non so quale , sono inesperta). Tutto può essere tranne che solo fino a poco tempo fa costei sarebbe stata fermata dalle forze dell’ordine e costretta a coprirsi o portata in questura. Ora ,o quella che un tempo si chiamava carità cristiana non esiste più , o la gente ,talmente imbonita dal politicamente corretto, dall’uguaglianza, dai diritti di ognuno a vivere la propria vita come meglio crede, temendo di incorrere in un infrangimento di legge, non si espone più, tanto è il rischio di emarginazione per chi oggi va contro il pensiero dominante. Mi pare di vivere in un altro mondo, poichè si confina chi sta benissimo , sano di corpo e di mente,solo perchè disgraziatamente è risultato positivo al famoso Covid 19, e si lascia circolare una donna nuda, indisturbata, senza controllare perchè si trovi in quelle condizioni. Ebbene, se non s’interessa nessuno per carità, almeno sia la sanità pubblica ad accertare se questa donna stia esercitando un suo diritto o se sia malata o abbia problemi che la costringano ad una condizione di non sua libera scelta. Mi pare che questo potrebbe essere il minimo da fare in uno stato che si dice essere uno stato di diritto. Comunque , col cambiamento climatico e le estati di fuoco che già viviamo e pare diventeranno la norma, ben venga il nudismo nelle normalità. Estati calde, ma indubbiamente meno costose per quanto riguarda le spese di abbigliamento. In alternativa, per i più pudichi , si accettino i tatuati, senza discrimine!

donna nuda