L'atrabilioso

Con chi parlo la notte

Riemergo dopo un bel po' di assenza. Non che sia importante naturalmente: tutt'al più può esserlo per me, perchè mi dispiace lasciare inattivo questo posto che mi accompagna da un bel pezzo.
E' che tre spettacoli diversi in due settimane mi hanno prosciugato (e non è ancora finita), e non ho avuto nè tempo nè (soprattutto) testa per altro. I debutti poi portano con sè delle prevedibili tensioni, di quelle che ti fanno dormire con un occhio aperto e uno chiuso: che è poi quello che ho fatto.
Il sonno continuamente interrotto di questo periodo ha consolidato in me un'antica abitudine: il fantasticare su dialoghi con donne, o con uomini, che fanno o hanno fatto parte della mia vita - naturalmente dialoghi mai avvenuti, e che forse non avverranno mai, chissà. Mi viene in mente che c'è un esercizio che faccio fare nei miei corsi, si chiama "Le parole per dirlo" ed è semplice e teatralmente efficacissimo: sostanzialmente si mette un attore A davanti a un attore B, ed A dice a B tutto quello che avrebbe voluto dire a una terza persona X che conosce solo lui, e che per svariate ragioni non ha mai potuto dire (pudore, rapporti di lavoro interrotti, malattie, amori finiti); e se ne sentono delle belle, in questi esercizi.
Ecco, io faccio più o meno qualcosa del genere, la notte. Soprattutto nei confronti di un paio di persone (molto spesso arrivano quelle), limo e ripenso e correggo per settimane, per mesi, un dialogo che presumibilmente non avverrà mai. Un esercizio, questo mio, piuttosto sterile, ne convengo, forse più che altro una specie di vizio. Forse mi ci crogiolo perchè sono io che decido tutte le parti del dialogo, le mie e quelle altrui, e alla fine ne esco sempre facendo una figura fantastica, dovreste vedere che figo che sembro in quei frangenti. Sì, probabilmente è questo.
Del resto, che dire: bello se la vita fosse così, no?