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Italia Anno Niente (Seconda parte)

Post n°73 pubblicato il 10 Febbraio 2010 da je_est_un_autre

Questo Paese perde i pezzi, i più giovani e migliori, e non si può negare che lo faccia con una certa allegria, o almeno spensieratamente.
Del resto, perchè stupirsi? Io stesso consiglierei a un giovane di andarsene di qui, se ne avesse la possibilità, e farsi un'esperienza altrove. Ma quella che si vede assomiglia sempre di più a una fuga.

Se la statura morale e civile di una nazione la si vede, fra le altre cose, dall'offerta culturale, stiamo a posto. Ancora peggio stiamo messi se diamo un'occhiata agli spazi.
C'è da sentirsi stringere il cuore, a mettere piede in certi teatri d'Italia. Va detto che almeno lì l'unità del Paese non è messa in dicussione. Da sud a nord c'è un'omogeneità nella fatiscenza che io giudicherei disperante, se non fosse che la sola parola "teatro" assonnolisce i più e quindi chissà, forse è anche vero che tutto questo è poco importante, e che i problemi veri sono altri. Del resto, non è molto che un noto ministro ha bollato come "parassiti" i lavoratori dello spettacolo, e a chi possono interessare le recriminazioni di un parassita?
E quindi se dobbiamo parlare al vento, facciamolo. Questo mi sembra un posto giusto per farlo. Una bella panoramica, volete?
La prima tappa è un'importante città dell'Italia Centrale. Il teatro si trova proprio sul corso principale, imponente sopra a certi negozi dal design molto curato. La facciata neoclassica trae in inganno, e racconta di splendori antichi e dimenticati. Dentro è come se uno strato di polvere avesse ricoperto tutto: i velluti rossi e gli specchi bruniti e i legni pesanti delle porte dei cessi (senza serrature e senza luce). Un po' peggio i camerini. I "camerini" sono uno stanzone immerso in un caldo soffocante, coi muri scrostati e senza uno straccio di tavolino dove poter posare le proprie cose. Sul palco, all'opposto, l'aria è gelida, specie dalle parti del proscenio. Ci spiegano che è per via del soffitto, danneggiato mentre veniva sistemata la struttura dello schermo cinematografico e mai più riparato.
La seconda tappa ci vede in una operosa cittadina nel sud della Lombardia, dove il benessere è più che diffuso. Il teatro è, ancora una volta, poco più che un cinema dall'aria dimessa, uno scatolone lungo e sordo. In platea, gli spettatori delle prime file sentono gli attori urlare come ossessi, mentre dalle ultime file li si capisce a stento. Nei camerini, una compagnia appena numerosa deve alternarsi a gruppi di due o tre per entrare a cambiarsi, perchè non c'è lo spazio materiale per muoversi. L'organizzatrice della stagione è una giovane davvero appassionata che organizza sempre un dopo-teatro, un rinfresco per attori e spettatori, in una sala adiacente.
"E' perchè mi rendo perfettamente conto che qui la situazione è quella che è, e io per quel che posso vorrei farvi stare bene" dice quasi scusandosi.
La terza tappa è quasi al confine con la Svizzera, in una località già premiata come virtuosa in quanto a raccolta differenziata, bella, ricca, pulita e civile.
L'auditorium, l'unico nella zona a proporre una stagione di prosa di qualità, è un buco microscopico con un palco corto e schiacciato, con  quattro bei termosifoni in bella vista sul fondale. E meno male che ci sono. In effetti tenerli accesi è d'obbligo nonostante il rumore che fanno, fuori il freddo morde sul serio, qui.
L'entusiasmo di un pubblico volenteroso ci contagia, e alla fine il Direttore artistico viene a salutarci con un abbraccio.
"State preparando un lavoro nuovo? Mandatemi tutto il materiale, nella prossima stagione dovrete essere qui, senz'altro. Anche se devo ammettere che non lo so, se ci sarà una nuova stagione. Qui è cambiata la giunta comunale, e i nuovi non ne vogliono sapere nè di costruire il teatro nuovo, nè di rinnovare la piccola sovvenzione accordataci fino ad ora. Ma io ce la metterò tutta: vi prometto che faremo il possibile".

Italia, anno 2010. Italia anno niente.

 
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