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Date la colpa alla mia insonnia

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Finale di Partita (una specie di recensione)

Post n°86 pubblicato il 21 Aprile 2010 da je_est_un_autre

Comincio da una considerazione personale: ebbene sì, ho la soglia del riso bassa.

Per me, le pietre di paragone nel valutare le soglie del riso sono due, ma proprio nel senso di due persone, di due tipi umani: uno è il Dir e l'altro è Marco.
Il Dir potrebbe assistere a, per esempio, un film di Totò o di Woody Allen senza muovere un muscolo facciale e alla fine giudicarlo "spassoso ai limiti del sostenibile", ed è sincero!
Marco sta al versante opposto. Se gli raccontate una storiella divertente potete star sicuri che comincerà a ridere ancora prima che questa abbia inizio, agitandosi convulsamente e diventando completamente rosso in faccia, continuando a sghignazzare anche nel caso in cui la storiella si riveli assolutamente mediocre. Essendo una persona intelligente, credo sia una questione di timidezza, o forse di ansia, non so. Ecco, io sto lì nel mezzo, ma sicuramente più dalla parte di quest'ultimo.

Mi è capitato di riflettere su questa cosa andando a vedere uno spettacolo a teatro: "Finale di Partita" di Samuel Beckett.
La trama è la seguente: non c'è trama. Due personaggi, uno cieco sulla sedia a rotelle (Hamm) e l'altro impossibilitato a sedersi (Clov) che parlano. Fine.
Ah, in scena ci sono anche i bidoni della spazzatura che contengono i genitori di Hamm. Vivi.
Ho cominciato a ridere alla prima battuta di Clov, anzi di più: alla prima didascalia. Spettatori centocinquanta, risate una. Pudore, riservatezza, l'idea che con Beckett non ci sia niente da ridere, chissà. Poi il pubblico ha preso coraggio - diciamo così - e timidamente hanno cominciato a lasciarsi andare anche gli altri.
Ho pensato, che miracoli fa il teatro: una commedia che è un deserto di solitudine e di incomprensione, un crogiolo di di meschinità e di cattiveria, ebbene questo ci fa ridere tutti, soglie o non soglie.
Certo Castri (il regista) ci ha messo del suo, spingendo a fondo questa chiave.
Chissà, magari lo ha fatto per una tenerezza dovuta all'età. Non sono ironico.

Quando, più giovane, mi capitava di leggere frasi come "Beckett, autore (anche) comico" non riuscivo a capire come si potessero trovare divertenti quelle scene scheletriche, quei personaggi assurdi, quelle parole grandi ma cieche, quell'assenza di senso. E' possibile che gli anni portino con sè quel disincanto necessario ad apprezzare una scena come quella dove Hamm e Clov tentano di pregare in silenzio e alla fine il primo chiede all'altro:
"E allora?".
E Clov "Zero. Zero assoluto"
E Hamm "Che carogna. Non esiste"
O quell'altro scambio di battute che è un manifesto della commedia e forse del teatro beckettiano e di un pensiero, e di uno stile (vado a memoria):
Hamm: "Clov! Può essere che noi si abbia, ecco, si abbia...qualche significato?"
Clov: "Qualche significato! Ah, questa è buona!"

Comunque lo spettacolo è bello, e per gli appassionati penso che sia da vedere.
(E anche per gli altri, perchè no? Magari uno si appassiona proprio quella sera lì).
Vittorio Franceschi dà una lezione di teatro col suo Hamm. Affettato e cerimonioso, poi disilluso e dolente, a volte soffuso e a volte stizzoso, offre una serie di registri variegatissima. Per me, un grandissimo. Senza rivali.
Milutin Dapcevic (Clov) è buona spalla. Atono e marionettistico, una faticaccia, credo.
Bravissimi anche gli altri due attori.

Alla fine begli applausi.
Forse un po' incongrui, dopo quelle parole e quel teatro.
Ma come fai a non applaudire?
Non siamo ancora pronti, a metterci a ridere alla fine.

 
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