Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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Messaggi di Maggio 2018

 

Il mistero delle cose che succedono

Post n°329 pubblicato il 26 Maggio 2018 da je_est_un_autre

Io non lo so perchè succede così, evidentemente non ho la competenza o la preparazione o la sensibilità per capire perchè certi gruppi di allievi di teatro funzionano meravigliosamente bene, altri invece procedono come frenati da una qualche misteriosa zavorra e chiudono l'anno col fiatone, come se fosse un sollievo, quasi senza gioia. L'insegnante è lo stesso, il metodo è più o meno quello, eppure così vanno le cose.
In questo ho certamente una qualche responsabilità - negli anni sono cambiato, all'inizio non stavo davvero mai fermo sulla sedia, facevo vedere (o almeno ci provavo) come si recitavano tutti i personaggi, raccontavo un mucchio di sciocchezze per farli ridere; l'età, è inutile negarlo, inaridisce, irrigidisce  nella ripetizione degli schemi, ed è difficile combattere questa sensazione di stanchezza.
Eppure succede che certi gruppi (sarà anche il materiale umano di cui sono composti, non è che non sappia che questo ha il suo peso, è che so che non è solo questo) mostrino, quasi all'improvviso, una incredibile coesione, una scioltezza sulla scena, una serenità nell'affrontare la replica di un saggio di fine d'anno, da lasciare senza parole.
E' così che è andata col gruppo di ieri sera, al punto tale da farmi restare quasi più stupito che orgoglioso. Per me tutto questo resta un mistero.
Loro, domande non se ne fanno. Stanno vivendo il loro magic moment ed è giusto che sia così.
Io vivo invece questa condanna eterna di ripensare al passato cercando di decifrare le cose, con la sensazione di non  lavorare abbastanza per ottenere una risposta e quindi sovraccaricando questa elaborazione di un oscuro senso di colpa.
Ma sono così con tutto, mica solo col teatro. Forse anche per questo continuo a dormire maluccio.

 

 
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Nelle case

Post n°328 pubblicato il 20 Maggio 2018 da je_est_un_autre
Foto di je_est_un_autre

Ormai lo abbiamo fatto dappertutto e non solo, appunto "nelle case": lo abbiamo fatto in una fabbrica di materassi, in diversi salotti borghesi, nell'aia di una casa di campagna, in un circolo per anziani, in un piccolo cortile all'aperto stretto tra gli alti palazzi del centro. Manca giusto la sala d'aspetto dell'aeroporto di Fiumicino. Ieri, per dire, l'abbiamo fatto in un'azienda vitivinicola, precisamente nella sala degustazione. Il paradosso è che io nella pièce faccio quello astemio, e vabbè.
E' curioso come cambi la percezione da parte del pubblico, quando il teatro esce dai teatri ed entra nelle case: l'atmosfera svagata e leggera, un po' da gita scolastica che precede lo spettacolo, si risolve in una attenzione acuta e forse timorosa (con gli attori così vicini che li puoi quasi toccare) durante la recita. Alla fine, ci sono domande od osservazioni ricorrenti che ci fanno sorridere, come ad esempio le annotazioni sulla forte espressività (ma anche lì, noi sappiamo che eliminare tutta la distanza che separa spettatore e palcoscenico mette in evidenza quello che di solito sparisce alla vista, rughe e sudore e respiri); oppure la domanda curiosa "Ma siete sposati per davvero?"; e noi due che ci conosciamo da un sacco di tempo (il primo spettacolo insieme lo mettemmo in scena quasi vent'anni fa e insomma siamo diventati quasi come due fratellini) non possiamo fare altro che sorridere, appunto.
Poi c'è quel momento fondamentale, in cui si gustano tutte le prelibaglie che i padroni di casa preparano per ospiti e attori (solitamente assai affamati) alla fine dello spettacolo.
E insomma concludere la serata tra tigelle e salami e formaggi, seduti nel cortile dell'azienda agricola con vista sui colli e sul vigneto che si arrampica fino alle pendici di una rocca medievale, e pensare che tutto questo è il mio lavoro mi fa dire che sì, tutto sommato ci sono certi giorni che ne vale davvero la pena.

 
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Reazioni

Post n°327 pubblicato il 05 Maggio 2018 da je_est_un_autre

Quando la mia fisioterapista (calma, piano, non è che io abbia una "mia" fisioterapista, quella è una roba da campioni dello sport o chissà che altro, no: è solo che soffro di schiena e ho deciso di non fare più ricorso a punture e cortisoni - che, è vero, ti danno sollievo immediato - ma è anche vero che non risolvono un bel nulla se nel giro di un paio di settimane basta uno sforzino in più per ricascare dentro quel gorgo di fitte e dolori lancinanti col prevedibile corollario di madonne e cristi; insomma, ho provato ad affrontare il problema alla radice con qualcuno che se ne intende, cercando di sconfiggere la mia pigrizia e anche il mio scetticismo), dicevo, quando la mia fisioterapista mi fa sdraiare a faccia in giù e mi pianta i pollici nella schiena (pollici inopinatamente potenti se si pensa a quanto lei è minuta, ma insomma è anche un'atleta, una schermidrice di buon livello, pare, e lo dimostra) ecco, io lì sento un male cane ma rido, rido a crepapelle, è una reazione involontaria, non  posso farci niente, rido che non mi tengo proprio.
Sento male e rido. Io stesso non me ne capacito.
Le ho detto: immagino di essere l'unico che reagisce così. Ha ammesso che in effetti di solito urlano. Ecco, devo dire che li capisco. Quando ti conficcano nelle carni due pollici seriamente allenati, l'urlo di dolore è una reazione pienamente comprensibile.
E invece niente, io rido come un matto.
Non si è mai finito di conoscersi.

 
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