Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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Messaggi di Giugno 2018

 

Ricordarsi di ricordare

Post n°333 pubblicato il 24 Giugno 2018 da je_est_un_autre

Io, ho passato molte estati della mia infanzia in un piccolo paesino sui monti Sibillini. C'era questa grande casa, di proprietà dei miei zii, affascinante e labirintica, su due piani, piena di angoli segreti e con un grande orto fuori, dove tutto era perfetto per i giochi miei e dei miei cugini.
Ogni cosa, allora, era un'avventura. Ricordo l'odore umido della legnaia, buia e minacciosa e che un po' ci terrorizzava, soprattutto dal giorno in cui ritrovammo, tra i ceppi, un enorme scorpione nero. E certi temporali improvvisi, al pomeriggio, che ci costringevano nella grande cucina in cui in fretta mio zio accendeva il camino. E le corse nel lungo corridoio, fino fuori, dove mio cugino, col naso a terra, sfogava una sua curiosa passione per gli insetti. Immagini, odori, sensazioni, ancora così vive.
E poi mi ricordo un giorno. Era un sabato. Sabato 2 agosto 1980.
Tutti riuniti a tavola per il pranzo. Il telegiornale che manda delle immagini, e pian piano l'allegro chiasso che sempre riempiva quella sala si affievolisce, e tutti si mettono a guardare. Immagini come di guerra. Cumuli di macerie, fumo, ambulanze, e qualcosa di familiare che mette paura agli adulti, volti atterriti, espressioni come di pietra.
Nessuno parla più. Qualcuno ha già capito. Ricordo mio padre che impallidisce, quando lo speaker dice "...a Bologna, forse l'esplosione di una caldaia..." e mio zio che comincia a bestemmiare "Caldaia un cazzo!", e io che a tredici anni capisco il giusto, ma sento che è una cosa enorme, terribile.
Lo è stata ancora di più di quanto potessi immaginare.
In quei giorni in cui noi dicevamo addio all'infanzia, ai giochi, ai sogni, una città violentata cominciava a capire che sarebbe cambiata per sempre.
Ci hanno davvero rubato un sogno.
Per questo, non  smetteremo di ricordarlo. Magari anche con un teatro semplice e povero, fatto da non professionisti.
Sì, perchè anche un piccolo spettacolo sulla strage può essere importante.
Per ridare al teatro un senso più profondo.

Devo ricordarmi di ricordarmelo, da qui al 2 agosto.


 
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A vlìva dìr un quèl (*)

Post n°332 pubblicato il 17 Giugno 2018 da je_est_un_autre

(*): Volevo dire una cosa.

Qui, il dialetto non lo parla quasi più nessuno. E' un peccato. A me piace il nostro dialetto. La dolciona parlata bolognese assume da queste parti sentori più bruschi, più secchi, con echi modenesi, e con la particolarità, proprio qui al natìo borgo, di declinare tutto in "e", cosa che ci rende peculiari ma anche oggetto di celia da parte degli abitanti dei paesi limitrofi - come più volte mi è capitato di constatare nelle mie domeniche pomeriggio alla bocciofìla (con l'accento sempre sulla seconda "i"), lontana dal borgo appena 5 chilometri, che linguisticamente però hanno il loro peso.
Ma chissà se il santagatese lo parla ancora qualcuno, chissà se e quanto durerà. Viene un po' di malinconia a pensarci, ma del resto il mondo cambia. Solo che lo fa a una velocità pazzesca, non ci si sta dietro, come si dice qua.
Penso a tutte queste cose con un affetto inedito nei confronti della mia lingua, proprio oggi, mentre mi ritrovo a dover studiare alcune battute in dialetto reggiano. No, è che devo girare due scene di un film, questa settimana, e questo regista ama utilizzare i dialetti del luogo dove si svolgono i fatti. Non la racconto per tirarmela, questa cosa del film, sono davvero due scenine e poi c'è da aspettarsi di tutto: già un'altra volta ho girato con questo regista e mi tagliò di netto la scena (con Maya Sansa, maledetto! e gliel'ho pure detto con lui, che son cose che non si fanno).
E insomma mi hanno spedito il file audio di come si recitano queste parole e quindi ho questo sottofondo, proprio adesso mentre scrivo, e questa lingua reggiana, campagnola, rustica, nordica, con accenti quasi lombardi,  ha alle mie orecchie toni quasi barbari: provo a dire queste battute e mi si contorce la faccia, non è semplicissimo diventare conterraneo di Ligabue nel giro di tre giorni (Ligabue nel senso del pittore, che è la sua storia quella che si racconta nel film).
Che poi la mia paura è che martedì arrivo sul set e mi metto a declinare tutto in "e".
Vi faccio sapere.

 
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I Dialoghi Impossibili: Io, Arturo & la Veterinaria (XXIV)

Post n°331 pubblicato il 10 Giugno 2018 da je_est_un_autre
Foto di je_est_un_autre

Sì, lo so, sto diventando monotematico, ma che ci posso fare se l'ambulatorio della veterinaria è diventata ormai la nostra seconda casa? Di Arthur soprattutto, che ormai passa là almeno una notte a settimana. Si può immaginare la sua soddisfazione. Anzi, sentiamola proprio:

IO (entrando nell'ambulatorio): Sono qui, dottoressa. Sono venuto a riprendere Arturo.

ARTURO: Te la sei presa comoda. Qui sono almeno un paio d'ore che gira gente avanti e indietro.

LA VETERINARIA: Oh, bene, Lorenzo. Andiamo meglio, sa? Certo è un po' irrequieto, adesso. Ha stracciato tutta la carta che c'era sul fondo della sua gabbia.

ARTURO: Non era carta e basta. Era Il Sole24Ore, io odio quel giornale e ha un colore orribile.

IO: Mi dispiace. Comunque non è mai stato un gatto molto tranquill...Arturo! Dove vai? vieni qui!

ARTURO: Sto cercando una via di fuga, non faresti lo stesso anche tu?

LA VETERINARIA: E' sempre così, non appena lo prendo fuori dalla gabbia mi scappa dappertutto, apre anche le porte.

ARTURO: Se potessi farlo chiamerei anche un taxi, pur di andarmene da qui.

IO: Ma senta, dottoressa. Con le cure come procediamo?

LA VETERINARIA: Direi che possiamo andare avanti col Plasil. Non ha una diretta attinenza col suo problema, ma ho provato e ha funzionato.

ARTURO: E' rassicurante avere una dottoressa che decide la cura arraffando le medicine a caso nell'armadietto.

IO: La ringrazio molto, dottoressa, allora noi adesso andiamo.

LA VETERINARIA: Se può, mi riporti Arturo lunedì, gli dò un'occhiata volentieri.

ARTURO: Come iniziare la settimana col botto.

IO: D'accordo, allora a lunedì!

ARTURO: Guarda che puoi tornarci anche da solo, se ci tieni tanto.

IO: Ehm...andiamo.

(escono.
Continua. Non si sa come)

 

 
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Invettiva

Post n°330 pubblicato il 03 Giugno 2018 da je_est_un_autre

Un bel giorno, si fa per dire, è arrivato facebook e ha scombinato le carte. Prima, se eri ignorante, se non sapevi le cose, avevi però quel giusto pudore che ti consigliava di star zitto. Oppure ci pensavano gli altri a ridimensionarti: un po' come quella cosa che diceva Umberto Eco (ovviamente molto meglio di come faccio io, ma vado a memoria): prima di facebook c'era il bar, si è tutti lì a cazzeggiare e magari a qualcuno scappa di dire una puttanata, e lì che succede? succede che tutti si girano e zittiscono l'improvvido avventore, che se la cava con un rimbrotto e magari una risatella di scherno e tutto torna come prima; poi appunto, è arrivato fb.
E le cose sono cambiate.
Più sei ignorante e più hai diritto di parola, pare. E hai pure un tuo pubblico.
Ma non è finita qui. Perchè ci sono i tronfi. I tronfi. Che son  più numerosi di quanto avresti mai potuto ipotizzare. I tronfi non vedono l'ora di propinarti le loro sentenze su tutto, in particolare sulla situazione politica, sbandierando ovunque idee aberranti in un italiano zoppicante (e più zoppica più è considerato, in questa trista era demenziale). Sono sicuro che qualche tronfio lo conoscete anche voi, è una tipologia assai diffusa. Il mio tronfio ha un cranio piuttosto tarchiato, probabilmente pieno solo di osso. In questi giorni - che resteranno scolpiti per sempre nella sua memoria, giorni splendidi da raccontare un giorno ai nipotini - dal suo profilo fb, come nulla fosse, ha dispensato consigli severi a Mattarella, ha spiegato il pensiero (?) di Salvini, ci ha chiarito le idee sulla costituzione e ha esultato per la formazione del "miglior governo degli ultimi vent'anni".
Ecco, forse è il momento di dirglielo, che ci stiamo rompendo le balle non solo delle sue immonde parole ma anche dei nostri stessi modi gentili, forse è il momento di dirglielo a muso duro che la sua voce non è indispensabile ma solo fastidiosa, che è odiosa questa sua mancanza di dubbi, questa sua onnipresenza, questa vanagloria, questa ostentazione del suo nulla.
Ma ci avete mai provato, a parlare ad un cranio pieno di osso?

 
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