Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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Messaggi di Novembre 2014

 

Gli studenti di fisica (III)

Post n°244 pubblicato il 28 Novembre 2014 da je_est_un_autre

Non ero il migliore degli studenti, nè il peggiore. Mi mettevo là nel mezzo, e lì stavo.
Più benino che bene, in una mediocrità sonnolenta protratta per anni.
"Potrebbe fare di più" è stato il leit-motiv ampiamente condiviso di un'intera carriera scolastica. Secondo me la responsabilità di questo torpore va assegnato, almeno in parte, alla bruttezza dei libri di testo di un po' tutte le materie, invero poco seducenti.
I libri di fisica ad esempio avevano un aspetto oscuro, scritti in piccolo com'erano, con un tratto lieve, quasi invisibile. Segni misteriosi decifrabili solo da una ristretta schiera di eletti: dovevano esserne consapevoli anche i presumibilmente sadici autori. Quei volumi avrebbero potuto essere scritti in tedesco e sarebbe stato lo stesso, per me.
Meglio, molto meglio i libri di meccanica. Almeno doppi nel formato, con  disegnoni grossi così - quasi fossero volumi per bambini o album da colorare - e con le lettere A, X, Y, BETA, scritte bene in grande. Li trovavo più comprensivi che comprensibili, indulgenti nei confronti del mio acume meccanico piuttosto ristretto.
Che poi si cambia, nel tempo. Adesso per esempio mi sembrerebbe bellissimo poter studiare la storia, ma allora uno come poteva appassionarsi? Bastava guardare il libro per sentirsi spaventati, con quella copertina color rosso sangue che già faceva paventare quale orgia di ammazzamenti e congiure e genocidi e pene capitali si nascondesse là dentro. Se poi aprivi il volume, le pagine da subito ti urlavano addosso una quantità impressionante di nomi e date, tutti in un neretto aggressivo che sembrava dire: imparami a memoria o altrimenti ti risucchio in una guerra condotta a colpi di lance avvelenate!
Sì, ci sarebbe stato sempre il libro di italiano, ma, adesso lo posso confessare, ecco, secondo me il Pazzaglia non era proprio un granchè, come critico, o come storico della letteratura. In una ideale formazione in cui i grandi critici giocano sempre titolari, secondo me Pazzaglia sta in panchina. Magari adesso arriva uno e mi dice: stai bestemmiando, non ne sai nulla, il Pazzaglia era formidabile, per questo e per quest'altro motivo. Può darsi, io se ci ripenso la prima cosa che mi viene in mente è il lessico non brillantissimo, la scarsa aggettivazione, sempre un po' uguale a se stessa. C'è stato un periodo in cui io e Pez ci divertivamo a sottolineare quante volte l'autore tirasse fuori l'aggettivo "arcano" nelle sue spiegazioni. Scoprimmo che era arcano Cino da Pistoia, ma anche Lorenzo De' Medici e anche Manzoni. Per non  dire di quanto fossero arcani Leopardi e Renato Serra e Palazzeschi, non parliamo poi delle arcane lettere di Papini. Tutto arcano.

Che poi è facile dare la colpa alla bruttezza dei libri, se non si ha avuto gran successo scolastico. Ma che volete che vi dica: per me il libro è anche un oggetto da annusare, manipolare, guardare (eh, mica solo "leggere"!). Ricordo ad esempio che in quegli anni dell'adolescenza lessi "La storia infinita" e vi giuro che quel libro aveva un profumo pazzesco. Per non parlare di quella bellissima invenzione delle pagine scritte in due colori.
Sai come ti seduce, un libro così?
Avrebbero dovuto pensarci alla Hoepli, prima di far stampare "Meccanica e macchine".

 
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I Dialoghi Impossibili: Io & Arturo (XVIII)

Post n°243 pubblicato il 21 Novembre 2014 da je_est_un_autre
Foto di je_est_un_autre

ARTURO: ...ma se sei stato tu a dirmi di non entrare nella serra.

IO: E l'alternativa secondo te è andare sulla serra?

ARTURO: Ma quassù si sta bene. Si respira aria buona. Si domina lo spazio circostante e posso anche tenere d'occhio Merda e Culo (*). Non so se ti rendi conto dei vantaggi.

IO: Quante sciocchezze. Una di queste volte me la sfondi. Non lo senti che il telo è sottile?

ARTURO: Ma io sono leggero. Hai notato che linea?

IO: Scendi immediatamente da lì.

ARTURO: Ma è possibile mai? Sempre e solo divieti. E' così che vuoi passare la vita, il resto dei tuoi giorni, borbottando e vietando? La vita è già di per sè così noiosa, così insulsa, e tu invecchi perdendo il tuo tempo a vietare e a vietarti. Passi le giornate a lisciarti la barba incattivito rimuginando fra te a quale nuovo divieto promulgare. Chissà quante cose ti stai perdendo, anche in questo momento, ci pensi mai? Dimmi, da quanto tempo non ti fermi ad ascoltare uno stormire di betulle?

IO: "Stormire di betulle"?

ARTURO: Mi è venuto così.

IO: Hai aperto la mia copia di "Zio Vanja"?

ARTURO: Come no. Mi ci vedi a girare le pagine?

IO: Per l'ultima volta: scendi subito da lì.

ARTURO: Ma come? Nemmeno a un gatto cechoviano, concedi una piccola deroga? Giusto quei dieci minuti, un piccolo sonnellino qui sulla mia serra, magari mentre tu metti su il samovar? Eh?


(*): i gatti dei vicini, come è noto.

 
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Ultima conversazione. Dialogo. (II)

Post n°242 pubblicato il 05 Novembre 2014 da je_est_un_autre

 

LUI: A me i santoni non sono mai piaciuti. Mi ricordo che c’era uno, una volta, che si credeva un santone. E invece era solo uno di questi fatui cantanti pop. Una mattina si svegliò, si guardò allo specchio e si disse: ehi, ma io sono un santone. Io fino a quel momento credevo mi piacesse, avevo tutti i suoi dischi, poi andai a vederlo ad un concerto. Non sorrideva mai, studiava il pubblico con lo sguardo serio e faceva pesare i silenzi più delle sue mediocri canzoni. Così andai a casa e tentai di spaccare un vinile, e scoprii in quell’occasione che si tratta di un’impresa difficilissima.
Ma sì, forse sono io che manco di spiritualità, di profondità.
E così ti eri innamorata di un aspirante santone. Non lo sapevo. Com’era, aveva una gran barba? Una gran barba è un accessorio fondamentale per essere dei mistici di buon livello. Non lo so, naturalmente non lo posso sapere com’era il tuo santone. Lo vedi che non è un caso se ti faccio tutte quelle domande sul tuo passato? Mi mancano un mucchio di pezzi. C’è un buco qui, un altro là, un’enorme falla laggiù. Pazienza.
Certo potresti cercare di essere più delicata con le mie delicatezze. Delicatezze che si rincorrono, non è una bella immagine? Perché, intendo dire, non è forse una delicatezza stirare una piccola ruga di preoccupazione? E poi ci sto attento, i miei polpastrelli si posano morbidi, non li trovi morbidi? Mi hanno sempre fatto i complimenti per la morbidezza dei miei polpastrelli, sono sicuro che non lo sapevi.
Ci mancano un mucchio di pezzi l’uno dell’altra, e tu ti muovi nella vita come se questo non volesse dir nulla.

 

 
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