Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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Messaggi di Dicembre 2014

 

I comunisti che furono

Post n°246 pubblicato il 19 Dicembre 2014 da je_est_un_autre
Foto di je_est_un_autre

Qualcuno era comunista.
Da queste parti in parecchi, per dire. Poi più niente.
All'improvviso è sparito tutto, inghiottito come da un enorme sbadiglio. Ci fosse almeno stato qualcosa di appena somigliante a una fine tragica, non so, ultimi drappelli di combattenti che vendono cara la pelle sotto un livido tramonto, un sipario che cala sulle macerie fumanti tra lacrime e applausi, qualche sparo, un petardo. Macchè. Niente.
Ci siamo scrollati da dosso questa specie di forfora e siamo ripartiti come nulla fosse, ma verso dove? Non si sa.
A livello locale non meno che nazionale.
A Chinatown, quando mi ritrovo per caso assieme a Silvano, Acume e Guido, non sappiamo fare altro che balbettare livorosi ipotizzando qualche responsabilità, e alle volte ho la netta sensazione che guardino tutti me.
Ma io l'avevo detto, che non avrei mai preso l'iniziativa di candidarmi a consigliere, se non me l'avesse chiesto prima il sindaco uscente (naturalmente di sinistra) e poi quello che si dava per scontato (troppo per scontato evidentemente, ma che ci volete fare, eravamo abituati così) sarebbe divenuto il nuovo sindaco. In qualche modo grato della fiducia e rassicurato sulle mansioni ("tranquillo Lorenzo, non ti si chiederà niente al di là delle tue specifiche competenze", dicevano, e immagino intendessero l'attività diplomatica nei confronti della comunità cinese, specie con gli elementi addetti al ramo bar, campari e velduzzo di Quingtian) avevo detto sì, mai immaginando che dopo settant'anni e per la prima volta un'inaudita piroetta avrebbe tolto l'antico e glorioso drappo rosso a questo piccolo comune, mostrando una faccia nera che qualcuno pur presentiva, ma poi a dire il vero più pretesca e chiesastica che nera. Per dire, adesso il giornalino del comune sembra quello della parrocchia, con una dolente madonnina in prima pagina, e all'interno una foto del sindaco, una del prete, una del prete e del sindaco insieme, una eccitante galleria fotografica di presepini e sangiuseppini e gesùbambinini, e a far da corollario una ridente immagine del cimitero, vuoto, inondato di sole.
Bah. Se mi devo accollare 'sta patente, me la prenderò. Ma qui dei portafortuna, all'interno di quel pallidissimo fantoccio che era ormai diventato il PD locale, ne possiamo trovare a bizzeffe e tutti impegnatissimi (ve lo giuro) solo a tirarsi coltellate nella schiena l'un l'altro. Ormai da anni. E che l'autentico talento di 'sto partito, nel piccolo e nel grande, sia esattamente questo, non è neanche una scoperta mirabolante, anzi.

E' una di quelle storie in cui ti viene da chiederti: ma cosa ci hanno messo nell'acquedotto in questi anni?

 
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Ultima conversazione. Dialogo (III)

Post n°245 pubblicato il 08 Dicembre 2014 da je_est_un_autre

LEI: D'accordo. Ne parliamo un'altra volta.

LUI: No, dimmi. Sono con le spalle al muro.

LEI: Sono stanca. Non ho più voglia di parlare.

LUI: Senti, ho sbagliato, d'accordo. Da adesso parlerò seriamente, ok? Mi hai preso alla sprovvista, avevo solo bisogno di scaldarmi. Devi darmelo, un po' di tempo.

LEI: Ti stai scaldando da anni, è una vita che non fai altro che scaldarti, ma tanto è inutile, non cambi mai.

LUI: Non cambio mai? Ma se un tempo non facevi altro che chiedermi di non cambiare mai. "Non cambiare mai, ti prego" dicevi "promettimelo, dimmi che non cambierai mai". Ecco fatto, ti ho accontentata. Dovresti essere felice.

LEI: Ricordi male.

LUI: Ricordo benissimo invece. Mi imploravi. Ecco, pensa, c'è stato un tempo in cui contemplavi la possibilità di implorarmi. Mi guardavi da sotto con gli occhi lucidi e mi imploravi di non cambiare mai.

LEI: "Da sotto"? "Imploravi"? Sei pazzo.

LUI: Sì, mi arrivavi fin sotto al mento e ti facevi piccola. I tuoi occhi scintillavano.

LEI: Ommioddìo, per favore, anche questo lirismo da quattro soldi.

LUI: Scegliere le parole con cura non è lirismo da quattro soldi.

(Pausa)

LEI: Comunque io non la vivevo così.

LUI: Lo dici tu.

LEI: E comunque io dicevo un'altra cosa, ti chiedevo di esserci, di essere presente: invece no, te ne stai sempre ai margini, guardi gli altri, non partecipi. Questo fai.

(Silenzio)

LUI: Ricordo che una volta, da bambino, avevamo l'abitudine nella bella stagione di andare a casa di un amico, fuori dal paese. Era una casa grande, gli antenati del mio amico dovevano essere stati dei nobilotti di campagna, poi decaduti. La casa era grande e io mi ricordo questo camino enorme, questa sala, le pareti scrostate, e fuori una imponente fontana con una grande vasca che non ho mai visto piena, bella ma un po' sbrecciata: ma poi chissà com'era veramente, si sa come ingannano i ricordi dei bambini. Ci trovavamo là perchè c'era un sacco di verde e nella casa potevamo nasconderci per i nostri giochi. Era un momento atteso e pregustato per giorni. Poi c'è stata quella volta. Una volta in cui non ci andai. Avevo preferito andare a una specie di festicciola di compleanno. Quando fui alla festa lo dissi che avevo scelto loro e non gli altri, ma chissà, forse mi era uscita una nota sbagliata, una nota di rimpianto, e attorno a me vidi solo espressioni di rimprovero, e desiderai non essere più lì. Ma ovviamente a quel punto andarmene non era più possibile, e anche raggiungere la casa di campagna del mio amico sarebbe stato un errore, mi avrebbero guardato male anche là. Non so perchè mi è rimasto così impresso quel giorno, quell'occasione. E' un episodio minore, una cosa di bambini, eppure mi ricordo tutto con una precisione spaventevole. Ti sembrerà assurdo ma io ho sempre pensato che quel giorno, ecco, mi sono riconosciuto.

(Pausa)

LEI: Una seconda possibilità non ci viene data.

(Pausa)

LUI: E' il nostro dramma. Non poter fare le prove.

(Pausa)

LEI: Non è una buona ragione per non fare le cose.

(Silenzio. Continua)

 
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