La Fata Turchina al governo…

Se andasse al governo la fata turchina con un golpe di seta e di raso, metterebbe all’incanto il patrimonio immobiliare di Stato, dimezzerebbe la corte, allungherebbe la vita lavorativa e poi farebbe una dorata magia. Anziché limitarsi al pareggio in bilancio, già con gli enormi beni venduti, raddoppierebbe le entrate necessarie. E metà le userebbe in difesa, per coprire il debito; l’altra metà le userebbe all’attacco, per rilanciare il paese, l’occupazione, le grandi opere, senza il peloso sussidio europeo. Perché se giochi solo in difesa, pensa la soave fatina, alla fine stai al punto di prima e ricadi nella miseria passata. La gente rattrappisce, la vita si mummifica, il paese si ritira in una risacca di depressione e perde fiducia, non osa il futuro ma si barrica a difendere il passato e i beni che ha, gli uni contro gli altri. E invece qui si deve aprire il castello, slanciarsi nei prati e non alzare il ponte levatoio né preparare l’olio bollente. La fata turchina, scendendo dalla sua carrozza di zucca condotta da alati cerbiatti, lancerebbe sulla punta stellata della sua magica bacchetta messaggi di oro e di miele: lavoro ai ragazzi, fiducia nel legame sociale, tuteliamo i più deboli e premiamo i migliori, osate l’impresa, mangiate più frutta e sognate la vita. È solo una favola, direte voi che siete già adulti. Ma chissà che le favole a volte non insegnino, come a Pollicino, a ritrovare la strada. (Ma a Draghi non dona il velo turchino e la veste di tulle, Letta e Brunetta stan male da alati cerbiatti e Mattarella narcotizzerebbe sul posto la leggiadra fatina).

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fata turchina

Quando i sentimenti sono veri…

Quante volte dobbiamo soffocare ancora un sentimento vero, vero a tal punto da non poterlo negare a noi . Un sentimento che esplode dentro noi e che, non implica un corpo nell’altro..

La vita è assurda per certi versi, si parla d’amore così spesso che quasi ci si dimentica di cosa sia in realtà. Si sente parlare di questo sentimento a tal punto da vedere che poi è una grande illusione . Amare che sarà mai ? Non si definisce nelle parole e in quei modi semplici  che dicono  che amare è  semplicemente tenere la mano di qualcuno ,che poi nel tempo  ritroverai  su un divano con un giornale e in una cucina a vedere telenovelas, nè   volere ricreare un senso  per quell’ amore  quando questo è già finito. Amare è un libertà talmente grande che non include due soggetti ma include un mondo intero. I sentimenti potranno anche avere scale che indicano il valore, ma questo è solo un modo impaurito di definire un sentimento vero. Amare non conosce uomo e donna ,conosce solo l’universo e noi in quello che siamo indipendentemente da cosa siamo . Ma come spesso devo vedere tutto deve essere ordinario perchè uscire da questo è l’incubo di un mondo intero. Che non è pronto a questo, non è adattato a dire qualcosa che non sia racchiuso in due persone all’interno di un concetto chiamato famiglia.
Sentimenti veri ,quelli che invece vivono in coloro che sanno dare e ricevere amore e io, dico amore non dico un volere bene che sminuisce solo un sentimento diverso, ma che piccolo non è. Perchè come si piange per amore si piange pure per un tvb . Quindi la scala meglio vederla in salita  piuttosto che nelle parole che non diciamo .

Sentimenti veri ,quelli che al di là della coppia ci fanno volare ,quelli che al di là di mille persone ci fanno sentire bene , quelle carezze innocenti che ricevi da qualcuno, come una madre verso un figlio. Amore vero quello che non conosce solo il sesso che unisce per poi  denigrare qualcuno, per poi portare a merce da mercato uomini e donne e che, se visto in contesti diversi, parla  invece d’amore. Il sesso è un fusione totale tra due persone che con un sentimento trovano una meditazione totale nel vivere il corpo in estasi .. Ma questo è il miraggio che rimane per molti . Amare è la semplice via di una libertà che fa abbracciare colori diversi, con parole diverse, con mondi  dissimili, uomini e donne ,animali, piante e Dio stesso. Quando non temi più il sentimento e non gli dai un nome per darlo sei Tu Dio, L’amore è Dio ,il sentimento vero, chiamalo come vuoi . Ma pensa a una cosa: è l’unica religione dell’universo intero che non lotta contro un diverso e che unisce tutti sempre.

Il mondo e coloro che ci vivono dimenticano spesso cosa sia un sentimento vero, perchè  dimenticano il senso della libertà. Un sentimento non conosce limiti e barriere e nemmeno ha l’esclusiva di qualcosa e qualcuno. Se questo fosse i messo in una luce nuova il mondo sarebbe rosso amore per sempre……

Non serve oggi mentire alla verità, anche se la verità è oscurata dall’ipocrisia fatta per tutelare coloro che oltre al limite che conoscono non possono vedere altro. E’un comodo  che può diventare violento, perchè porta spesso a vincolare cose e persone, a porre una tristezza unica e dire non posso, non voglio , ma perchè? E’ solo negarsi un sentimento che fa vivere secondo la natura stessa e non contro di essa. La natura mostra la verità assoluta e l’uomo  la nasconde dietro il “valore”. Il valore è solo un vincolo che decide chi e come e perché e ci impedisce di ammettere che una relazione è finita , una banale giustificazione che ci fa sentire deboli nel non saper accettare una responsabilità vera: quella di porre fine a qualcosa senza un valido motivo , ma che,  coll’aiuto di pretesti nascondiamo il  desiderio e il diritto alla libertà.

Il mio pensiero potrà fare anche ridere, ma io che so piangere per poco e so ridere in un nulla, vedo una tristezza in questo. Perchè ammettere a volte di essere come si è , di pensarla diversamente da una massa ordinaria, è un gesto pericoloso che tende a isolare.
Ma penso che chi, non vive pericolosamente non ha mai iniziato a vivere davvero. Pianto e risate, estasi e solitudine sono solo un modo di vita nell’esperienza di una meditazione unica.

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Ciò che conta non è l’inizio o la destinazione .E’ il percorso che c’è tra l’uno e l’altra .Questo viaggio vive con le cose che dovrebbero essere viste ed ascoltate, respirando ogni cosa ,ed è necessario e importante voler imparare il suo ritmo…non sempre facile perchè  pur bravi in quello stato, che si chiama adattamento, combattere le ribellioni è una difficile esperienza.

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Occorre pensarla; la vita non va solo vissuta…

Non è sufficiente vivere la vita: bisogna pensarla

Vi racconto con un nome finto una storia vera, che non è storia singola e paesana ma una parabola epocale. Accade in provincia, che era il cuore antico e arretrato dell’Italia, ma ora vive le mutazioni in tempo reale, simultaneamente alle metropoli; anzi è un laboratorio a vista per le trasformazioni del costume. Vent’anni fa quando tornavo al paese, i miei amici al bar mi raccontavano il pettegolezzo hard del momento: sai che Pippo Mazzo se la fa con la moglie del capostazione? Ma non è un’eccezione e mi citavano subito dopo altri casi di sposati irrequieti che trescavano con le signore più mature. Dieci anni fa quando tornavo al paese i miei amici al bar mi raccontavano che Pippo Mazzo si era separato. Ma non è un’eccezione, e mi citavano subito dopo svariati altri casi di quarantenni separati o in via di separazione. Gioca pure al videopoker d’azzardo, beve tanto e visita i siti porno, ma qui lo fanno in tanti. Cinque anni fa quando tornavo al paese i miei amici al bar mi raccontavano che Pippo Mazzo era stato beccato in un locale di coppie scambiste e sniffava pure. Ma non è un’eccezione, a Milano avevano beccato altre coppie nostrane.

Ora, tornato al paese, i miei amici mi raccontano che Pippo Mazzo ha un amante, senz’apostrofo perché maschio. Ma non è un’eccezione, ce ne sono tanti altri, e mi citano altri cinquantenni, separati e no, con figli grandi, che se la fanno con ragazzi o vanno a trans. E cresce anche qui in paese l’uso tardivo di pasticche, erbe e cocaina. Ammazza la provincia dal cuore antico e un po’ arretrato, vecchia credenza dei nostri ricordi puerili…Ma noi siamo moderni e non condanniamo nessuno. Siamo uomini di mondo e ci ripetiamo col catechismo in uso che ognuno è libero di vivere la sua vita come meglio crede. O vuoi fare l’omofobo, il bigotto, il moralista? Nziamai, dicono al mio paese, contrazione di «non sia mai». Chi è senza peccati scagli la prima pietra. E poi, perché fermare le trasgressioni al primo stadio o consentirle fino al secondo, e non ammettere anche il terzo e oltre? Perché chiudere un occhio allo spinello e non ad alcol e pasticche? Bastano i motivi di salute per stabilire i limiti e i divieti? Cos’è quest’etica sanitaria, ‘sta morale ospedaliera…Conosco pure casi inversi rispetto a Pippo Mazzo: ho un amico sessantottino che era un tossico depresso, gay e single libertino; alla mia età si sposò, ora spinge il carrozzino di suo figlio e vive appassito in adorazione di lui. Prima aveva l’occhio fritto, ora ha l’occhio lesso… I progressi della vita.

Per carità, non voglio fare il moralista né ho i titoli per farlo. Però come la chiamate questa parabola generazionale, arrivata pure in provincia? Evoluzione, involuzione? No, implicherebbe un giudizio positivo o negativo. Semplice mutazione biologica? Mi dà tanto di animali. Non la chiamo e mi sbrigo.

Però guardiamoci negli occhi e chiediamoci: ma che razza di vita stiamo vivendo? Ho capito, il mondo di ieri è finito. Ma questa variazione continua di vita, di sesso, di affetti, cos’è, dove porta? Questa vita fondata sul cesso, prima persona del verbo cessare… cessare d’essere in un modo per diventare un altro. Lascio il piano morale, non entro nel piano religioso, mi fermo sul piano esistenziale. Il dogma assoluto della nostra società è semplice e categorico: la vita va vissuta. Ogni lasciata è persa, ogni desiderio negato è una perdita di libertà; niente e nessuno ti ridarà o ti compenserà quel che perdi o rinunci a fare. Cogli l’occasione, prova, divertiti. Vivi pienamente più vite; se non c’è l’eternità, datti alla varietà, e alla variabilità. È questo il canone universale, arrivato pure in provincia, come il digitale terrestre.

Ma possibile che non ci sia nient’altro, nessuna alternativa; che razza di libertà è questa se c’è una sola risposta in automatico e il resto è considerato solo regressione-repressione-restrizione?Allora provo a tracciare una linea e a dire che accanto al dogma «la vita va vissuta» ci può essere anche un’altra scelta: la vita va dedicata. Ecco, dedicare è la parola giusta. Dedico la vita a qualcosa, a qualcuno, a qualcosa e qualcuno insieme, a Qualcuno. Come si dice per le canzoni, questa la voglio dedicare a… così, una vita dedicata a persone, a imprese, a creazioni, arti e mestieri, a paesi e mondi, dedicata a valori e ricordi, al sole e al mare, agli dei o addirittura a Dio. Non una vita dedicata a se stessa, ma a qualcosa che la riempia. Perché non bastano una o più vite vissute, ci manca una vita dedicata. Una vita senza dedica, senza dedizione, è una vita fessa, oscura, che alla fine nemmeno è vissuta, ma è quasi subìta, decisa dalle occasioni e dagli impulsi. Per dedicarla devi essere convinto di una cosa: ciò che facciamo lascia comunque un segno, non scivola e sparisce tutto, ma di tutto resta invece una traccia. Niente va perduto. Accanto agli esiti visibili ci sono pure quelli invisibili. È fesso vivere senza progettare la vita, senza tendere a un amore, a un disegno intelligente. Certo, una vita dedicata può essere anche una vita vissuta. Ma in quel continuo vivere e cessare dov’è l’unità della persona, in quel farsi vivere dai desideri dov’è finito il cuore della vita, e l’anima, cosa resta alla fine di noi? Non dico quando si muore, perché qualcuno potrebbe dire chi se ne frega dopo morti; dico di noi adesso, a fine serata, quando pensiamo la vita anziché viverla soltanto. Che pippo sei?

Meglio dedicare la vita. Ma chi glielo dice al bar ai miei amici e a Pippo Mazzo? E come glielo dici, mancano le parole adatte a loro e al nostro tempo. A proposito, prevedo che con gli anni i miei amici mi diranno che Pippo Mazzo, se non diventerà nel frattempo pedofilo, avrà una badante giovane, una slovacca molto vacca, di quelle che fanno perdere la testa oltre che i mondiali.

Quando morirà, magari d’overdose di viagra, sulla sua lapide scriveranno, perdonatemi l’epigrafe ma è la più veritiera: Visse a c***o.

MV da Panorama

pensare la vita.

A Indianapolis è già futuro…

Indianapolis, sulla griglia di partenza due monoposto aspettano di scatenare tutti i loro cavalli all’accensione del semaforo verde. Una scena consueta, cristallizzata da numerosi film e videogiochi ambientati nel celebre autodromo americano.

Ma il 23 ottobre tutto sarà diverso dal consueto: per la Indy Autonomous Challenge i piloti saranno sostituiti da un’intelligenza artificiale che guiderà al posto loro una monoposto sfidandosi in una gara testa a testa su 20 giri per un primo premio di un milione di dollari. La Indy Autonomous Challenge, organizzata dal circuito di Indianapolis e da Energy Systems Network, porterà in pista delle Dallara IL-15 di Indy Lights, opportunamente modificate per ospitare sistemi di guida autonoma. Una gara senza piloti in carne e ossa e con un ricco montepremi, da 1,5 milioni di dollari.

A partecipare saranno squadre universitarie provenienti dai migliori istituti Tech negli Stati Uniti e nel mondo, e comincerà a tutti gli effetti con un test di qualificazione a maggio. Cioè nello stesso periodo nel quale si troveranno a Indy anche i veri piloti della Indycar per la 500 Miglia tradizionale. Più di 500 studenti universitari, laureati e ricercatori, esperti nello studio e nella progettazione dei software di intelligenza artificiale, hanno risposto alla sfida, rappresentando 39 università in 11 paesi su quattro continenti e 14 stati degli Stati Uniti.

Il telaio Dallara modificato sarà dotato di un computer di bordo ad hoc, che consentirà le comunicazioni tra veicoli, e di sensori per regolare la posizione in pista rispetto alle altre vetture. i controlli drive-by-wire e la gestione dell’intelligenza artificiale saranno elementi fondamentali per vincere la corsa

.Il circuito di Indianapolis ha presentato la gara in una conferenza tenuta nell’ambito del Consumer Electronics Show 2021, nel quale è intervenuto anche Giampaolo Dallara. Il quale ha detto che questa nuova sfida “combina la sua passione per l’automobilismo da corsa e quella per l’innovazione” e che le auto a guida autonoma “saranno qualcosa di normale nel futuro della mobilità“.

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Io, tu, noi …nella natura!

Sarà l’Autunno coi suoi cieli azzurri, coi suoi mille colori dei quali si adorna questa stagione, cangiando ogni giorno la scena su cui muoviamo i nostri passi quotidiano, sarà il venticello leggero che aiuta gli alberi a spogliarsi piano piano, pudicamente conservando le ultime foglie, che si imbellettano ogni giorno di più, saranno gli uccellini che si stringono nei nidi, che perdono piano piano la loro protezione, la nostalgia malinconica si ritrova nei giorni di questa stagione, che nella sua bellezza porta il ricordo di quello che è stato, la primavera e la calda estate della vita, che fa di noi parte della natura e delle sue regole eterne.

Alla natura
Può essere in effetti fantasia, quando io
Cerco di estrarre da tutte le cose create
La gioia interiore, profonda, sincera, che aggrappa attentamente;
E seguo nelle foglie e nei fiori che attorno a me giacciono
Lezioni di amore e onesta pietà.
Allora lascia che sia; e se l’ampio mondo ruota
Nel simulato di questo credo, esso non porta
Né paura, né dolore, né vana perplessità.
Allora costruirò il mio altare nei campi,
Ed il cielo blu sarà il mio duomo preoccupato,
E la dolce fragranza che il selvaggio fiore produce
Sarà l’incenso che io produrrò a te,
Te unico Dio! E tu non disprezzerai
neppure me, il sacerdote di questo povero sacrificio.

Samuel Taylor Coleridge

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Il padre, la badante, l’abbraccio. Una notte d’ amore (a 95 anni)

Che dire di un uomo di novantacinque anni trovato nella notte nel suo letto abbracciato a una ragazza di 30 anni, che lo assiste? Che non merita ironie e rimproveri, ma sguardi delicati e tenere carezze. Vi parlo di un uomo che sente e vede la sua vita sempre meno e non solo per l’udito sordo e la cecità incipiente. Ma anche perché la sente allontanarsi giorno dopo giorno e compie a senso alterno i suoi esorcismi e le sue rese. E una notte, la temuta notte, lo trovano avvinghiato alla più giovane, alla più avvenente delle sue badanti.

Lei che spiega con disagio e meraviglia: non so cosa gli ha preso stanotte, non l’aveva mai fatto; lui scoperto dalla figlia che finge sorpresa e mostra torpore o forse il contrario. Di solito la notte si lamenta, dà voce per avere voce, come una sentinella sull’orlo del nulla che vede ombre di tartari all’orizzonte; chiede più volte di orinare, sarà la prostata, sarà il terrore della solitudine notturna; si alza, sospira, chiama la figlia, poi la badante, infine chiama la morte.

Vive la sua morte ogni giorno, la invoca e la teme, spavaldo per spavento. Vuol provare la sua presenza con la petulanza, vuol scacciare l’assenza, farsi vivo. Allestisce cerimonie notturne di egoismo per dimostrare che esiste, e vuol essere al centro del suo piccolo universo, mescolando teatro ad agonia. Ma quella era una notte tiepida d’agosto, c’era la luna piena, l’aria era calda e leggera e la sua dolcezza non escludeva nessuno, neanche i vecchi.

E così le ha chiesto di entrare nel suo letto matrimoniale, di mettersi al suo fianco, e l’ha cinta in un abbraccio, ha cercato pure la sua bocca. Il giorno dopo diceva di non voler più avere come badante quella ragazza, come se fosse stato molestato lui o come se si vergognasse per l’accaduto e volesse cancellare la prova vivente del misfatto; o forse no, quella richiesta è un capriccio e una vendetta, s’aspettava qualcosa in più da lei, un bacio, una carezza, un soffio di complicità.

Facile sorridere, facile deprecare. Si è bevuto il cervello, che figura.

Io invece ti capisco, padre, ti capisco. Non oso spiegare con la demenza senile il suo fittizio disperato amplesso, quel sussulto di giovinezza misto a carenza antica di maternità. In quell’abbraccio c’era il ragazzo di una volta, c’era l’uomo, ma c’era anche il bambino. Si cumulavano in quel gesto tante età. C’erano i vent’anni dei suoi primi amori, c’ erano i settant’anni dei suoi ultimi amplessi, c’erano gli abbracci infantili dei tre anni. E c’era la somma esatta di quelle età, che tutte le abbracciava, insieme alle loro pulsioni e al loro ricordo sfatto. Quel bisogno di sentirsi ancora un corpo e non una malattia, di sentire la vita e non solo la sua evanescenza.

Una vita che sbiadisce e cerca occasioni estreme e furtive, come ladri nella notte. Forse c’è la rivalsa involontaria contro la gioventù; tu nipote esci quando io vado a letto, per una volta torni a notte fonda e mi trovi sveglio che abbraccio una donna, perché la vita riguarda pure me, non vegeto soltanto. Nella vita ho ancora permesso di soggiorno e so che il letto non serve solo per il sonno e l’ infermità.

Però fa male vedere la dignità di un uomo ridotta in vecchiaia a mendicare un bacio.

Ti trattano come un ingombro, occasionali badanti ti danno del tu e ti riducono a pacco, bimbo demente, ti scansano i più giovani. Come finisce male una vita longeva, in quale imbuto.

La sua sobrietà di preside del liceo, di studioso di filosofia, di educatore, finita nei gesti estremi del suo mangiare con la testa nel piatto, nel suo digerire senza riguardi, nel suo spogliarsi senza ritegno.

Lo capisco quando se la prende col suo medico che col pace maker gli ha prolungato una vita che reputa ormai di troppo. Vorrei finire anch’io prima della notte; capisco le sue invocazioni di congedi, la vita sarà un valore ma se vissuta con dignità. Altrimenti è sopravvivenza animale che cancella in un’ appendice vergognosa biografie operose e rispettabili.

E pure l’ho immaginato quella notte nella sua vecchia camera da letto, con i morti tutti a vegliare sul comò, madri, padri, moglie e santi, con un lumino acceso moltiplicato per tre volte da altrettanti specchi ed un letto matrimoniale da tempo dimezzato, abitato da un ingombrante vuoto.

L’ho immaginato lì, tra le sue lenzuola sfatte, i suoi orinali intorno, qualche feticcio estremo di vita, come la radio, la sveglia sul comodino e le caramelle all’orzo. Ed un Sacro Cuore che esplode sul suo letto, un Cristo che si sporge con la testa e con la mano benedicente, e si affaccia quasi sul suo letto a curiosare.

L’ho immaginato lì, a far l’amore con la vita, a salutare il passato con l’ ultimo sorso rimasto nel presente, a far capire alla badante che lui non è vecchio da sempre; ma fu ragazzo e anche bel ragazzo, amò e fu amato. Voleva lasciar traccia di sé e cercava trasfusioni estreme di vita da una ragazza florida.

Trovo commovente quell’abbraccio di una persona che reclama dell’amore non il frutto ma almeno il torsolo. Tenera è la notte, tenerissima per un vecchio in cerca di resistere alla notte.

MV

ANZIANI-

Da”Il deserto di New York” , il pensiero di una donna ,Amal, chi sia e da dove venga a libera immaginazione .

Se pensate di farmi impressione con le vostre luci non sapete cosa sia la luce del deserto. Il sole che torna e non ci abbandona mai.

Se pensate di abbagliarmi con le vostre torri non avete idea di cosa sia una casa dove il vento porta gli odori della vita.

La vita che esiste dall’inizio dei tempi e non ci appartiene.

Se pensate di sedurmi con i vostri ritmi, ignorate la sacralità del tempo. Che è sacro soprattutto nei momenti della seduzione.

L’unica cosa che mi fa impressione è come mi guardate.

Come mi guardate oggi, in questo treno sotto terra, come mi guardate per strada, quando dite sottovoce ai bambini, guarda quella donna. Come mi guardate da quando sono arrivata all’aeroporto, con il signore della dogana che ha voluto a tutti i costi vedere il mio volto.

Le vostre leggi ignorano quelle della storia, quelle del Profeta. Ed un paese così è destinato a cadere.

Un giorno una donna mi ha indicato ad un’amica ed ha detto poverella. E l’altra ha risposto è una vergogna che la costringano a conciarsi così.

Vi proclamate aperti e tolleranti: dite di essere interessati, curiosi, pronti ad accogliere e a rispettare ogni diversità.

Ma in realtà lo fate per farci diventare impercettibilmente, e inesorabilmente sempre più uguali. E questo è l’opposto della libertà.

Voi non sapete come mi senta libera, con questo vestito.

A me i poverelli sembrate voi. Siete diventati numeri senza logica, ombre a cui manca la luce.

 

amal

La matita…

Da “Sono come il fiume che scorre” di Paolo Coelho

Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera. A un certo punto, le domandò:
“Stai scrivendo una storia che è capitata a noi? E che magari parla di me.”
La nonna interruppe la scrittura, sorrise e disse al nipote:
“È vero, sto scrivendo qualcosa di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita con la quale scrivo. Vorrei che la usassi tu, quando sarai cresciuto.”
Incuriosito, il bimbo guardò la matita, senza trovarvi alcunché di speciale.
“Ma è uguale a tutte le altre matite che ho visto nella mia vita!”
“Dipende tutto dal modo in cui guardi le cose. Questa matita possiede cinque qualità: se riuscirai a trasporle nell’esistenza, sarai sempre una persona in pace con il mondo.
“Prima qualità: puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una Mano che guida i tuoi passi. ‘Dio’: ecco come chiamiamo questa mano! Egli deve condurti sempre verso la Sua volontà.
“Seconda qualità: di tanto in tanto, devo interrompere la scrittura ed usare il temperino. È un’operazione che provoca una certa sofferenza alla matita ma, alla fine, essa risulta più appuntita. Ecco perché devi imparare a sopportare alcuni dolori: ti faranno diventare un uomo migliore.
“Terza qualità: il tratto della matita ci permette di usare una gomma per cancellare ciò che è sbagliato. Correggere un’azione o un comportamento non è necessariamente qualcosa di negativo: anzi, è importante per riuscire a mantenere la retta via della giustizia.
“Quarta qualità: ciò che è realmente importante nella matita non è il legno o la sua forma esteriore, bensì la grafite della mina racchiusa in essa. Dunque presta sempre attenzione a quello che accade dentro di te.
“Quinta qualità: essa lascia sempre un segno. Allo stesso modo, tutto ciò che farai nella vita lascerà una traccia: di conseguenza, impegnati per avere piena coscienza di ogni tua azione.”

mano che scrive.