Per le strade della città…

 

L’arte di esibirsi in strada per fare spettacolo è molto antica. Si comprende col fatto che l’uomo sia amante dell’allegria e del divertimento, per natura abbia sempre amato il gioco privato o come esibizione. Per moltissimi secoli questi personaggi girovaghi vivevano delle loro esibizioni, unica forma di intrattenimento per il pubblico, fino all’avvento del cinema e della televisione, fino ai moltissimi modi di oggi per essere presenti e mostrarsi ovunque. Non c’era festa di paese dove non si potesse godere di questo divertimento. Ancora oggi se ne incontrano parecchi, specialmente nelle grandi città dove ogni luogo di grande transito possa essere buono.Spesso capita anche di potere osservare,o ascoltare artisti di tutto rispetto,che si esibiscono gratis o per qualche offerta. Non penso che siano sfaccendati, ma persone geniali, talentuose, talmente appassionate alla loro abilità da farne lo scopo del loro vivere, iniziando dal modo più semplice per arrivare al pubblico.

artista

Un livello di precisione tale da rasentare la magia nera. Questa artista di strada pare un incrocio tra un giocoliere e un prestigiatore. Non sono molte le persone che riescono ad affinare e unire il lavoro della mente con la perfetta coordinazione delle braccia. Non è facile dire se sia una donna o un uomo, è un individuo moderno gender donna secondo me.

 

…e intanto il tempo se ne va attimo dopo attimo.

 

Ci dimentichiamo che il mondo va almeno qualche volta contemplato, guardato nel suo scorrere ,senza cercare causa ed effetto, guardato così com’è nel suo apparire ai nostri occhi, osservato senza pensiero, senza domande, senza perché e senza ma, solo perchè in quel momento siamo vivi-

vita nel mondo

Come passiamo rapidamente su questa terra! Il primo quarto della vita è trascorso prima che se ne sia conosciuto l’uso; l’ultimo quarto scorre ancora dopo che si è cessato di goderne. Dapprima noi non sappiamo vivere, ben presto non lo possiamo più; e, nell’intervallo che separa queste due estremità inutili, i tre quarti del tempo che ci resta sono consumati nel sonno, nel lavoro, nel dolore, nelle difficoltà, nelle pene di ogni specie. La vita è breve, non tanto per il poco tempo che dura, quanto per il fatto che, di questo poco tempo, noi non ne abbiamo quasi punto per gustarne. Per quanto l’istante della morte sia lontano da quello della nascita, la vita è sempre troppo breve, quando questo spazio è male impiegato.

Jean-Jacques Rousseau, da “Emilio o dell’educazione”, 1762

Perchè e come leggere…

 

C’è solo un modo per leggere, che è quello di girare per biblioteche e librerie, raccogliendo i libri che vi attraggono e leggendo solo quelli. Lasciandoli da parte quando vi annoiano, saltando le parti che trascinano e mai, mai leggere nulla perché vi sentite in dovere, o perché è parte di una tendenza o di un movimento. Ricordate che il libro che vi annoia ,quando avete venti o trent’anni ,aprirà le sue porte per voi quando ne avrete quaranta o cinquanta e viceversa. Non leggete un libro al di fuori del suo momento giusto per voi.

Doris Lessing (premio Nobel letteratura 2007)

 

libros

Cos’è questa stregoneria?

 

Mi sono imbattuta in questo video gironzolando per il web, con la mente che andava per conto suo a quei tempi in cui il tempo vuoto da impegni era una bella passeggiata, specialmente se la giornata era un po’ come oggi. Nonostante sia passata la Pasqua fa freddo, il cielo è un rincorrersi di nuvole e nuvoloni, alle quali non sfugge tuttavia neanche una goccia di pioggia. L’umidità dell’aria, che fissa il freddo alle ossa ,si va piano piano condensando in nebbia, ed io ho sempre amato la nebbia, il suo nascondere il mondo e lasciarmi solo i pensieri a farmi dolce compagnia. Ho già guardato il video diverse volte, mi piace, mi incanta questo cagnolino davanti allo specchio, il suo stupore, semplice ,disincantato nel vedere un suo simile fare le sue stesse mosse senza riconoscersi, oppure chiedendosi:” Che sarà mai questa  stregoneria? “Saranno passati quasi più di vent’anni da quando mi sono avvicinata ad un computer con lo stesso curioso disincanto di questa bestiola, con lo stesso stupore di fronte ad una cosa che pareva aprirci le porte del mondo intero con un click sulla tastiera. Ma, a differenza di questo cagnolino, per il quale questa esperienza rimarrà un momento diverso di gioco, io mi rendo conto di come quell’incontro mi abbia cambiato la vita. E la mia consapevolezza diventa paura, che cresce ogni giorno. E’ facile vedere come il web, che pareva un gioco, un passatempo, sia diventato in molti casi padrone delle nostre esistenze, e nonostante la conoscenza dei suoi inganni e tranelli, nonostante si cerchi di opporre resistenza al suo potere, sia in grado di influenzare il pensiero di miliardi di persone, convinte e felici di questa nuova schiavitù, che chiamano mondo nuovo, mezzi nuovi e gente nuova, configurata sul modello unico del Cyber-uomo, che i moltissimi social network  provvedono a standardizzare sul filo conduttore di un unico pensiero e modo di vivere. E mi sconvolge vedere come non siamo più capaci ad opporci a tutto questo, di mandare al diavolo questa stregoneria, che noi, esseri pensanti continuiamo a chiamare progresso, ma ci ha relegato nella peggior solitudine possibile, quella imposta, non voluta, che ci impedisce persino di usare la nostra mente. E invidio tanto questo cagnolino e il suo stupore per un semplice specchio, nel quale  a noi capita a volte di guardarci e di non riconoscerci più-

cvber

Invocazionie di Indiani nativi.

 

“Chiudi gli occhi
e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare
e sentirai la verità.
Resta in silenzio
e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto
e troverai l’unione.
Sii quieto
e ti muoverai sull’onda dello spirito.
Sii delicato
e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente
e compirai ogni cosa.
Sii umile
e manterrai la tua integrità.”

 

nativi americani

Dal Rinascimento al Denascimento perdiamo la natura e l’umanità.

 

Che fine ha fatto l’ordine naturale e che ne è dell’uomo al centro dell’universo? Prevale nel nostro tempo la percezione di vivere nel Caos, più che all’interno di un Ordine; è in corso una guerra mondiale contro la Natura, e l’Uomo non è più al centro del mondo ma è un terminale periferico dei suoi strumenti e dei suoi prodotti. Andiamo con ordine e ripartiamo dagli inizi della modernità. Per rappresentare l’uomo rinascimentale immaginiamo due assi che s’incrociano: uno va dalla natura alla scienza e l’altro dall’arte alla magia. Al centro dei due assi è l’uomo, concepito nel Rinascimento come homo faber, artefice della sua fortuna. Egli è al centro dell’universo, Marsilio Ficino lo definisce “copula mundi”; Pico della Mirandola lo ritiene fabbro del suo destino, libero di scegliere se diventare angelo immortale o bestia mortale. Quello fu il momento irripetibile in cui l’uomo si sentì creatura e insieme creatore, figlio di Dio e padre del mondo, apice dell’ordine naturale, proteso verso l’ordine soprannaturale. Fu il tempo magico e breve, in equilibrio perfetto e precario, in cui l’uomo, misura di tutte le cose, diventò centro dell’universo; ma la svolta antropocentrica non era ancora situata fuori dal regno di Dio e dal regno della Natura, era dentro quel doppio solco.

Quel sogno fu rappresentato da artisti e scienziati, pensatori e alchimisti, e trovò in Ulisse Aldrovandi il grande scopritore e classificatore della natura. Nel cuore del cinquecento, Aldrovandi si mosse tra l’osservazione scientifica e l’immaginazione artistica, e generò quella visione del mondo in cui la scoperta dell’ordine naturale si affaccia sul sogno di oltrepassarlo. A quei reperti, a quella collezione, il Centro Arti e Scienze Marino Golinelli di Bologna dedica una mostra, arricchita anche da opere d’arte di autori contemporanei e da materiali e spunti provenienti dall’agenzia spaziale europea, dalla ricerca sulle neuroscienze e l’Intelligenza Artificiale. Perché il progetto non è solo quello di portare alla luce l’opera del grande naturalista bolognese, ma di andare oltre il tempo e lo spazio, e capire cosa ne è oggi del progetto umano rinascimentale e dell’ordine naturale a cui si riferiva. Come sono cambiate da allora a oggi la scienza, l’arte e la tecnologia, cosa hanno prodotto nel mondo e come hanno modificato il posto dell’uomo? Hanno spodestato l’uomo, che non è più al centro dell’universo; e hanno liquidato l’idea stessa di un ordine naturale e che nel suo contesto sia situata la natura umana, coi suoi limiti invalicabili, le sue differenze sessuali. Siamo entrati nell’epoca inversa del Rinascimento, ossia nel Denascimento.

L’idea stessa di natura è stata sostituita dalla definizione più asettica di ambiente, che si può riferire tanto al mondo naturale quanto al mondo costruito dall’uomo. Ambiente è un bosco come una fabbrica, una stanza come un fiume. Il rigetto metafisico della natura è il rifiuto della realtà che precede l’uomo, del mondo che non abbiamo fatto e voluto noi, ma in cui siamo immessi dalla nascita. Natura vuol dire creato, e l’uomo creatura; vuol dire legge naturale, ordine naturale.

Rispetto alla visione rinascimentale, c’è stata una doppia trasmutazione: madre natura è sostituita dalla maternità surrogata dell’ambiente; e l’homo faber è sostituito dalla tecnica e dai suoi prodotti; mediante l’intelligenza artificiale, il predominio hi-tech, la dipendenza dalle “macchine”. E’ l’inversione dei mezzi e dei fini: il regno dei fini che è il regno dell’uomo, cede il posto al regno dei mezzi, che tendono via via ad assumere sovranità tramite lo scettro dell’economia, la bacchetta magica della tecnologia, il trono dell’automazione. L’uomo è l’assistente del suo robot, non più “l’utilizzatore finale” della tecnologia ma il terminale periferico dei suoi stessi strumenti e del suo procedere senza scopo, tra segni privi di senso, algoritmi privi di significato. Lo snaturamento del mondo coincide con la sua disumanizzazione. A prefigurare questo scenario, ma in chiave positiva, è Elémire Zolla in Uscite dal mondo.

In verità questo processo era già in nuce nel Rinascimento, soprattutto nel suo versante magico, alchemico e prometeico, in certe rappresentazioni divine dell’uomo e nel sogno stesso di scienziati e naturalisti come Aldrovandi. Dapprima si affida alla facoltà immaginativa dell’artista; anzi l’artista-scienziato si fa prima scopritore, poi inventore, infine demiurgo. Strada facendo cresce il mondo artificiale sul mondo naturale, ma è ancora il mondo fabbricato dall’uomo che potenzia e prolunga le sue mani, la sua vista, la sua natura, tramite gli strumenti meccanici e non solo, in un succedersi esaltante di invenzioni e di perfezionamenti progressivi.

La parabola dei mezzi cresce, la parabola dei fini decresce: l’automazione finisce col rendere automatici i processi, non più dipendenti da finalità e volontà umane. Così accade il paradosso che l’uomo modifica la natura ma è modificato dalla tecnica, riduce l’influenza della natura ma subisce l’influenza della tecnica; un trasferimento progressivo di sovranità fra vasi comunicanti. Così perveniamo all’odierna alienazione: dal superuomo al transumano, dal potenziamento dell’umanità all’abdicazione della libertà, dell’intelligenza critica e della dignità umana. La MegaMacchina va per conto suo, spariscono la storia, la creatività, il pensiero, l’umanità. Parafrasando Goya, la morte dell’arte e il sogno della tecnoscienza possono produrre mostri.

Ma è proprio impossibile immaginare deviazioni di percorso, cambi di destinazione? Il futuro non è la copia conforme del presente. L’avvenire, come l’uovo di Pasqua, serba sorprese.

MV

Ricordiamo i valori della Pasqua

 

La Pasqua, come il Natale, è una delle feste più sentite dalla comunità Cristiana
In questa poesia Albert Camus scrive di un’amicizia, un’amicizia fatta di complicità e vicinanza, amicizia che non conosce invidia o ostacoli. Descrive il senso di comunione tra due persone che camminano uno affianco all’altra, non avanti, non dietro. Albert Camus ci ricorda la Pasqua come momento di aiuto reciproco, vicinanza, di nuova vita anche nell’amore. Perché oltre gli auguri sterili di “buona Pasqua”, c’è l’augurio di poter stare sempre accanto a chi amiamo colla gioia e la pace di questo giorno.

Buona Pasqua,
Non camminare davanti a me
potrei non seguirti;

non camminare dietro di me,
potrei non sapere dove andare.

Cammina a fianco a me
e sii per me un amico!

Albert Camus

BuonaPasqua
Happy Eastern
Frohe Ostern
Joyeuses Pâques.
Felices Pasquas
Христос воскрес
Великодніми святами
Chag Pesach sameach
عيد فصح سعيد إليك

pasqua

La rosa oltre la realtà…

 

La rosa

La rosa,
la rosa immarcescibile che non canto,
quella che è peso e fragranza
quella dell’oscuro giardino della notte fonda,
quella di qualunque giardino e qualunque sera,
quella che risorge dalla tenue
cenere per l’arte dell’alchimia,
la rosa dei persiani e di Ariosto
quella che è sempre sola,
quella che è la rosa delle rose,
il giovane fiore platonico,
l’ardente e cieca rosa che non canto,
la rosa irraggiungibile.

Jorge Luis Borges
(da “La rosa profonda, 1975”)

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La rosa evocata da Jorge Luis Borges è quella che i poeti inseguono: quella rosa è l’immagine del mondo, che alla fine risulta essere immortale e irraggiungibile: Borges fa sue le parole di Rumi, fondatore dei “dervisci rotanti” e massimo mistico della letteratura persiana: “Ogni rosa, pregna di interno profumo, narra i segreti del tutto”. Questa è la rosa di Borges, ne percepisce la sua essenza metafisica, senza però riuscire a dire né a vedere: è l’inafferrabile per eccellenza.

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Quel Che Non Sarà Mai Più…

 
Quel Che Non Sarà Mai Più…

Vorrei sentire il tuo odore profumato di te
che risveglia tutti i miei sensi,
e mi fa sentire viva
vorrei toccarti,
percorrere le linee dure del tuo corpo,
che mi fa sentire donna
vorrei assaggiarti
piano piano
per sentire il tuo sapore ribollire sul mio palato,
che mi fa avere ancora più fame
vorrei fare l’amore con te
perdermi in te e tu perderti in me,
sentire il nostro piacere che esplode insieme…
che ci travolge…
e ci fa sentire amanti
e sentire quell’estasi che solo un atto d’amore può…
vorrei quel che non sarà mai…

Anne Sexton

 

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La guerra della realtà contro le parole..un assurdo contro il buon senso e il buon gusto-

 

Asterisco, schwa, presidenta, e altre sconcezze. La tempesta in un bicchiere d’acqua. La ventata ideologica sulla parità di genere si è abbattuta sulla lingua e fa strage di buon senso, realtà ed evidenza, ma deturpa anche sul piano estetico parole, cose e concetti. Per dirimere le controversie è stata interpellata dai magistrati di Cassazione che si occupano delle pari opportunità, l’Accademia della Crusca: come scrivere gli atti giudiziari rispettando la parità di genere? Se è per questo, da rispettare non c’è solo la parità di genere, ma anche la consuetudine e la tradizione, la realtà e la verità, e pure la bellezza rispetto alle brutture lessicali imposte per ragioni ideologiche. La Crusca saggiamente respinge asterischi e schwa con cui si vorrebbe deturpare la lingua e deflorare i nomi. Poi, forzando la consuetudine nel nome della correttezza, rifiuta l’articolo davanti al cognome (la Meloni, la Schlein), che viene spontanea in molti casi e che viene usata solo al femminile e non al maschile (il Draghi, il Mattarella). E con assoluto buon senso, boccia le ridondanze ideologiche definite “reduplicazioni retoriche” ovvero la tendenza a ripetere: i cittadini e le cittadine, le lavoratrici e i lavoratori, le figlie e i figli, anche se è d’uso dire signore e signori. La questione si fa più controversa a proposito dei nomi di professione in versione femminile: l’Accademia dei cruscanti manda in soffitta quel suffisso “essa” (dottoressa, sindachessa, professoressa, avvocatessa; anche leonessa?) e non prende in considerazione di lasciare la qualifica nel termine maschile (ad esempio la rivendicazione di Beatrice Venezi di farsi chiamare direttore d’Orchestra) e propende per la declinazione al femminile: direttora, prefetta, questora – che sembra indicare l’ora in corso. Ma poi, se ho ben capito, ridà ragione a Beatrice (stavo per dire alla Venezi), quando avalla “il maschile non marcato” di alcune definizioni come il Presidente del Consiglio. Insomma direttora o direttore? A me sfugge un nostalgico direttrice…

La legge si scontra con la diversità acquisita nel linguaggio, la cacofonia, il disagio nel pronunciarla: perché magistrata e avvocata può anche andare, ma colonnella, architetta (con sciame di allusioni pettorali), addirittura “pubblica ministero”, suonano oggettivamente maluccio e non vengono poi spontanee. Detesto la giustificazione cripto-ideologica che si tratterebbe di definizioni “inclusive”; credo che abbia pari valore anche l’istanza opposta di riconoscere e rispettare le differenze, che non devono essere disparità di giudizio e di pregiudizio, o di rispetto. Ma che sono riconoscimento della differenza tra il femminile e il maschile senza stabilire gerarchie tra l’uno e l’altra. Timidamente la Crusca avverte di non sopravvalutare i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzione delle presunte storture della lingua tradizionale. D’altra parte – aggiunge con salomonico cerchiobottismo la Crusca – queste mode hanno “un’innegabile valenza internazionale, legata allo “spirito del nostro tempo”, e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata». In medio stat virtus, o forse in medio stat virus, perché alla fine non si dirime la controversia ma si ondeggia tra le due sponde. Ci rincuora sapere invece la netta bocciatura di quel delirio ideologico che sono gli asterischi o schwa: «È da escludere – dice la Crusca, riferendosi almeno alla lingua giuridica – l’uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi” di cui però riconosce il beneficio delle buone intenzioni. E la precisazione è ancora più pertinente per una lingua come l’italiano che non ha il neutro, ma solo due generi grammaticali, il maschile e il femminile. Come è noto, la questione è esplosa al massimo livello quando la premier Meloni (e qui non riusciamo a fare a meno di metterci quel “la” davanti) ha disposto di farsi chiamare il presidente del Consiglio. Una definizione che spacca il fronte femminista e gender, ma anche il mondo conservatore, legato alla tradizione. Definizione al maschile, anche se la Crusca ne attenua l’impatto definendolo “maschile non marcato”, che può andar bene se è il riferimento generico, astratto, all’impersonalità del ruolo; ma quando poi devi declinarlo ad personam, viene spontaneo e più verace aggiungere quell’articolo determinativo, la Presidente, o la Meloni. Tornando sull’articolo determinativo, la Crusca, pur consigliandone la dismissione, ritiene che il suo uso non abbia un significato discriminatorio, ma nasce da un senso comune. Più insidioso, invece – ne convengo – è chiamare le donne solo per nome e chiamare invece gli uomini per cognome o titolo professionale. E’ d’uso ma non è un buon uso; senza crociate, è giusto auspicarne il disuso. Infine per superare quei richiami reduplicati al maschile e al femminile (impiegate e impiegati) la Crusca consiglia di usare forme neutre o generiche come la persona, anziché l’uomo, e il personale anziché i dipendenti al maschile.

Nel complesso, indicazioni sagge, abbastanza equilibrate (anche troppo, fino a sfiorare l’equilibrismo), e un invito a usare la testa prima della lingua. Ma, se permettete, continuate pure ad usare gli occhi, e non a chiuderli per sposare regole “inclusive” o cedere a “mode ideologiche”. La realtà vista con gli occhi, magari poi vagliata dagli “occhi della mente” di cui parlava Platone, aiuta molto a definire la realtà.

da Panorama        MV