Qualcuno raccoglierà,anche se non tu, se fai una buona semina…

Ogni più piccolo atto di gentilezza, riverbera attraverso grandi distanze e intervalli di vite ,finchè giunge , come un’eco a qualcuno, che non potrà mai conoscere la sua origine. Perché la gentilezza si trasmette e cresce ogni volta che passa  di persona in persona ,fino a quando una semplice cortesia diventerà  un atto di coraggio altruistico, anni dopo, e chissà dove. Allo stesso modo succede per ogni piccola cattiveria, ogni espressione di odio, ogni atto di male. Per questo si dice:” semina amore per amore, e odio per odio!”

semina

Coin… di Andrea Salvatici, da I Racconti di vetro.

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ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Coin

Daniele guardava dormire suo figlio Filippo con soddisfazione e con gioia. Era riuscito a farlo addormentare. Adesso poteva ritornare in salotto. Filippo aveva due anni e assomigliava a sua nonna in modo impressionante: occhi blu molto grandi  con un leggerissimo strabismo di Venere. Labbra molto carnose assai sproporzionate rispetto agli altri tratti ma che donavano già al bambino una fisionomia animale e sensuale. Daniele lo guardava e sorrideva dicendo a se stesso: ”Mio figlio sarà un animale braccato e desiderato dalle donne per le sue labbra, ma lui riuscirà a trasformarle in gazzelle nelle sue fauci di predatore affamato”. Quest’idea gli ritornava spesso quando guardava suo figlio e senza dire una parola a nessuno capiva che si nutriva di un luogo comune verso il sesso femminile. Di fatto era troppo sentimentale, dolce, disponibile! Di fatto era debole verso le donne. Persino la paternità non era riuscita a suscitare in lui qualcosa di nuovo e di vero. Continuava a non comunicare in modo leale e sincero con la donna che gli aveva dato un figlio bellissimo. Continuava a non affidarsi e a fidarsi completamente delle donne. Ecco la verità! Le donne concedono e non si danno completamente. Le donne creano il latte. Gli uomini lo bevono. Per lui non era un pregiudizio, era il suo sentire dopo molte donne. Tutto qui. Un suo parere e non voleva farne assolutamente un manifesto per la collettività. Il divario rimaneva, ma ora cominciava ad accettarlo con una tranquillità più pratica ed efficiente: carriera, soldi, potere, vacanze al mare, in montagna e qualche scappatella con giovani donne. Insomma tutto si ripeteva allo stesso modo con le stesse fissità, con gli stessi piccoli soccorsi: matrimonio, figli, convivenza. Viveva su dei binari d’oro, ma erano pur sempre dei binari. Passò dal salotto, sua moglie e la sua amica si erano trasferite in terrazza: cento metri quadri di fiori e di piante. Una vetrata separava il divano bianco da un gigantesco ciliegio cinese. Lo aveva comprato Daniele il giorno della nascita di Filippo. Amava regalare o comprare alberi quando arrivava un bambino. Lo faceva con gli amici, con i parenti e quel giorno lo fece per la sua famiglia. Tre mesi dopo sua suocera, senza dirgli nulla, potò i due rami centrali e lo trasformò in un bonsai. Che rabbia per lui! Che voglia di mandarla a quel paese! Ma poi l’albero era riuscito in pochi mesi a crescere di nuovo e quella rabbia si era persa nella distanza fra lui e la suocera. Salutò sua moglie e la sua amica e uscì. Aveva voglia di fare due passi ma si accorse che era sabato pomeriggio e lui abitava in una traversa di Corso Vercelli. Erano le quattro. Un fiume in piena fatto di persone lo costrinse a entrare da Coin. Senza pensarci prese la scala mobile e arrivò all’ultimo piano: casalinghi. Trovò una sedia davanti a una lampada e si sedette. Cominciò a guardare quella lampada che sembrava un girasole con i petali chiusi in avanti.  Simpatica, allegra ma di pessima qualità. Lui amava le lampade, quelle costose, di alto design, ma quel giorno decise di fissare quella lampada. Si sentì toccare con delicatezza la spalla e si voltò. Era una giovane commessa. Lui la guardò senza dirle una parola. “Le chiedo scusa! Ma ho bisogno di questa sedia!” disse la giovane commessa. Lui si alzò immediatamente e le sorrise scusandosi. La ragazza prese la sedia e la portò via. Daniele rimase tutto il pomeriggio all’ultimo piano di Coin a guardare caffettiere, forchette, frullatori, fiori finti, oggetti colorati, bicchieri e piatti. In quel luogo di solito, in compagnia di sua moglie, riusciva a rimanere dieci minuti al massimo, poi si innervosiva e usciva. Ma quel giorno era da solo e non pensava a nulla. Ogni tanto incontrava lo sguardo della giovane commessa, sempre indaffarata a sistemare oggetti, pacchi, scontrini e buste. Lui, tra forchette, piatti, tazze e pentole, si sentiva a suo agio. Poi, prima della chiusura, ci fu un groviglio inaspettato di sguardi fra Daniele e la giovane commessa: un rampicante impazzito, un’edera di bosco magica e vivente tra le fronde di un albero. Daniele si trovava  vicino a un vaso di cristallo, assai insignificante e normale, di forma cilindrica allungata, pieno di sassi colorati. Quei vasi che dopo una settimana ti stancano di vederli ma non sai dove metterli. Quei vasi che si trasformano in oggetti ingombranti e brutti. Squillò il suo cellulare. Non rispose! Era sua moglie che lo stava cercando. Dopo un paio di minuti gli arrivò un suo messaggio: ”Ma dove sei finito? Non te lo ricordi? Siamo a cena da mio fratello!” Daniele rispose senza usare tante parole: ”Arrivo!” Lei non gli rispose e lui alla fine comprò  quella lampada a forma di girasole. La giovane commessa, quella che gli aveva tolto la sedia, adesso si trovava alla cassa. Lo guardò e gli dette lo scontrino insieme alla lampada. Daniele allungò il braccio per prendere la busta con la lampada.

La ragazza gli disse: “Prossima settimana arriveranno nuove lampade a forma di fiore!”.

Una favola, forse dal Novellino di Masuccio Salernitano…

 

Il tempo passa, passa il pensiero dell’uomo, sostituito da un altro, cambia la politica e si lavora perchè questa cambi ancora e ancora, per non cambiare mai. Cambiano soltanto quelli , che del potere beneficiano e col tempo spartiscono tutte le utilità, un po’ per uno, un po’ alla volta.

 L’adulazione (Novellino, XXIV)

Il potentissimo imperatore Federico II di Svevia, sovrano di tutto il mondo cristiano e grande cultore delle arti e del diritto, aveva due consiglieri famosi per la loro proverbiale saggezza: il primo si chiamava messer Bolghero, mentre l’altro aveva per nome messer Martino.

Un giorno Federico stava passeggiando tra i portici del suo castello in compagnia di questi due saggi; poiché l’imperatore aveva sentito il desiderio di disquisire di diritto proprio in quel momento, pose ai propri fidati consiglieri il seguente quesito: — Signori, secondo la legge potrei io togliere ai miei sudditi ciò che voglio senza spiegarne il motivo se non che io sono il loro signore? In fondo, non si insegna che ciò che piace al sovrano debba essere legge per i propri sudditi? Fatemi sapere ciò che ne pensate, perché la questione mi interessa moltissimo.

Il primo dei due giuristi così rispose: — Maestà, l’imperatore può fare dei beni dei propri sudditi ciò che più gli aggrada, senza che gli si possa muovere alcun rimprovero.

L’altro, invece, argomentò: — A me non sembra che le cose stiano così, perché la legge si basa sulla giustizia e ai suoi principi occorre conformarsi. Se fosse vostra intenzione togliere qualcosa ai vostri sudditi, essi vorranno sapere il perché.

L’imperatore Federico sembrò apprezzare entrambi i pareri e perciò fece un dono ad ambedue i consiglieri: al primo donò un cappello scarlatto e un palafreno bianco, all’altro invece venne richiesto di redigere una legge secondo la propria coscienza.

Tra i nobili facenti parte del seguito dell’imperatore si discuteva in maniera appassionata per stabilire a chi fosse stato fatto il dono più prezioso, ma nessuno sembrava trovare l’argomento decisivo.

Alla fine, fu lo stesso Federico a spiegare il suo comportamento: semplicemente, a colui che lo aveva adulato egli aveva fatto dono di un cappello e di un cavallo, come si è soliti fare con i giullari; a colui il quale aveva dimostrato di perseguire l’ideale della giustizia, il sovrano aveva invece chiesto di scrivere una legge.

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Un piacevole articolo di M. Veneziani su un evento di cinquant’anni fa…

 Le cozze, il vibrione e Baudelarie

 

Per quale motivo?

Questa soluzione estrema al problema dell’esistenza umana è preclusa alla persona media. Eppure in quasi tutti i sistemi sociali, compreso il nostro, persino chi è confinato ai più infimi gradini sociali può avere controllo su qualcuno che è soggetto al suo potere. Ci sono sempre dei bambini, delle mogli, dei cani adatti allo scopo; o persone inermi, come i detenuti delle prigioni, i pazienti degli ospedali se non sono abbienti (e soprattutto i malati di mente), gli allievi delle scuole, i membri delle burocrazie civili. E’ la struttura sociale a determinare in quale misura è controllato o limitato il potere effettivo dei superiori in ciascuno di questi casi e la possibilità di soddisfazione sadica che ne può scaturire. A prescindere da tutte queste situazioni, le minoranze religiose e razziali, proprio perché inermi, offrono ampie opportunità di soddisfazione sadica persino per il membro più povero della maggioranza. Il sadismo è una delle risposte al problema di nascere uomo, in assenza di alternative migliori. L’esperienza di controllo assoluto su un altro essere, di onnipotenza per quanto lo (o la) riguarda, crea l’illusione di trascendere i limiti dell’esistenza umana, particolarmente per coloro che conducono una vita squallida e improduttiva.

Erich Fromm – Anatomia della distruttività umana

distruttività

Un meteo diverso, evitando certe banalizzazioni-

 

“Signora, fa caldo”. È paradossale che la conversazione di livello più basso, sia diventata la conversazione pubblica più importante che esista, quella da cui dipendono le scelte energetiche, le politiche abitative, le prospettive alimentari, i trasporti. “Dobbiamo parlare di clima, non di meteo” è stato uno dei primi e più longevi slogan dei movimenti ambientalisti contemporanei, da Fridays for Future in poi. Il problema è che la conversazione sul clima non può che passare da quella sul meteo, così come una sul cibo non può che partire da quello che mangiamo noi, e la conversazione sul meteo fa schifo. È progettata per fare schifo, per essere irrilevante e non avere effetti, la lamentela al vento per eccellenza, piove governo ladro. Il meteo è l’oggi, il clima sono le scale trentennali, il meteo è qui e ora, il clima è globale, il meteo è la pressione bassa, cambiare tre magliette al giorno, il cattivo umore conseguente, il clima è avere un’ondata di calore contemporanea su tre continenti. Il meteo sono i passeggeri esasperati sull’autobus, il clima sono gli scienziati terrorizzati per un’oscillazione di temperature sull’Atlantico. Il meteo sono io, il clima è l’umanità. Il clima sono i grafici, i modelli, i rapporti Onu da migliaia di pagine, il meteo è la mia pelle, dove lavoro, se in strada sotto 35°C o in un ufficio con l’aria condizionata. Solo che il meteo di oggi passerà, mentre saranno quei grafici ad avere effetto sulla vita materiale di tutti noi. Ma servirebbe una capacità di concentrazione che la nostra mente non possiede.
In Italia la sua prima intensa ondata di calore dell’anno è diventata un Paese di allegri psicopatici che è: sono arrivati i “terroristi del clima” i colori sulle mappe ci stanno mentendo, la gente non capisce che non è il caldo, è l’umidità, signora mia. E poi Cerbero, Caronte, Scipione, vengono citati come rigorosi parametri scientifici intorno ai quali orientare le nostre politiche. E ancora, a un certo punto, con un anticipo sospetto e non esattamente scientifico, è apparsa la prospettiva, il mostro finale: 47°C, e quindi la ricerca ossessiva del record , una visione agonistica delle temperature nell’estate senza mondiali, senza europei, senza Olimpiade. Ci interessa la temperatura solo se vince la medaglia d’oro come Marcell Jacobs nel 2021, altrimenti è solo il fiacco Marcell Jacobs del 2023. “L’unico effetto di questa comunicazione è terrorizzare le persone, creare ansia, e poi per un cortocircuito, magari generare anche sollievo se non si arriva al record e seguono tre giorni di fresco. La nostra nave è squarciata, dobbiamo attrezzarci a ripararla e sopravvivere, non giocare a esagerare l’ampiezza dello squarcio per farci un titolo”, dice – un po’ esasperato – Giulio Betti ,meteorologo e climatologo del Cnr, che risponde al telefono da un prato in Alto Adige, credo di essere la ventesima chiamata del giorno. Betti è il meteorologo italiano più seguito su Twitter, è un divulgatore efficace e rigoroso, e quindi è esausto, perché il rigore scientifico, l’aderenza ai fatti, la sobrietà non sono propri di questo Paese, né della conversazione sul meteo, né di quella sul clima.

La scienza del meteo sarebbe stata in difficoltà con questo tipo di dibattito anche senza i cambiamenti climatici. “Una volta c’erano figure come Andrea Baroni o Edmondo Bernacca, le previsioni erano un momento di approfondimento scientifico, una cosa a cui i media si approcciavano in modo serio e rigoroso. Poi da un lato le conoscenze e i dati sono migliorati, dall’altro sono entrati soggetti e piattaforme che le hanno aperte e hanno fatto entrare qualsiasi cosa, oggi si parla di meteo come si parla di cartomanzia o magia nera. Ma le allerte devono essere date solo dagli organismi preposti e hanno un’importanza pubblica enorme, con responsabilità sociali, da cui dipende tutto, la gestione dei trasporti, dell’agricoltura, dell’energia elettrica”. Invece questo livello è stato divorato dai titoli ansiogeni .
Per generazioni di italiani, il meteo era stato quello di Baroni e Bernacca, il primo approccio al funzionamento della scienza, oggi è tutto un pantheon di figure mitologiche e guerre tra bande, dove conta solo il soggettivo. Questo liberi tutti a cavallo di Caronte ha prodotto un vasto arco costituzionale dove l’anziano editorialista presentabile borbotta dicendo che hey, su, mica il caldo è stato inventato oggi, e quello che ha fatto dell’impresentabilità il suo branding invece si spinge a dire che il caldo è un’arma di manipolazione di massa, il nuovo grande ordine mondiale che va da Papa Francesco a Frans Timmermans e che attenta all’italica virilità della nafta e della caldaia a gas.

“Il catastrofismo sulla singola ondata di calore ha un effetto perverso, ci impedisce di vedere l’anomalia generale, non arrivano 47°C e allora 41°C a Roma ci sembra quasi fresco, o settimane consecutive sopra i 35°C e la quantità di notti tropicali in città diventano accettabili. Se ne va il demone dagli occhi di bragia inventato questa settimana e siamo a posto, e non è così”, dice Betti. La soggettività e la spettacolarizzazione della conversazione sul meteo ci convincono di una cosa falsa e pericolosa, che basti tenere duro e sopravvivere alla settimana in questione, e ci impediscono di vedere che sono cambiate, e cambieranno sempre di più, le condizioni base che hanno permesso lo sviluppo della civiltà umana.

È un periodo isterico, ha sbottato anche il pacato meteorologo di La7 Paolo Sottocorona, che si è preso del negazionista (non lo è), la follia dell’ondata di calore ci ha ricordato quanto siamo a disagio con il valore pubblico della conoscenza scientifica, quanto la maneggiamo male. Il rapporto col meteo definisce le nostre identità personali, chi regge meglio il caldo, chi regge meglio il freddo, se preferiamo mare o montagna, ma il clima definirà politiche pubbliche, destino ascesa e declino di ogni economia mondiale, migrazioni di massa, collassi alimentari. Le proiezioni climatiche sono la mappa di questo futuro e solo a quelle dovremmo guardare, però a noi interessa soprattutto parlare di noi, e quindi finiamo a parlare del meteo, signora fa caldo, no è l’umidità, quando ero giovane io eravamo più temprati, le vacanze dell’ottantatré e così via.

Ferdinando Cotugno

caldo

Non amerai altri che te stesso…

 

Io amo Io, ossia sposarsi con se stessi

In origine era la famiglia numerosa. Poi venne la famiglia simmetrica e quadrangolare, padre madre figlio e figlia. Quindi la famiglia con figlio unico. Si passò poi alla coppia senza figli, anche dello stesso sesso. Poi fu varata la famiglia mononucleare, composta da un solo membro, il single. Adesso siamo arrivati alla sologamia. Di che si tratta? Il single si ama a tal punto che decide di convolare a nozze con se stesso e sposarsi con un rito ad hoc. Matrimonio narcisistico, potremmo dire, celebrato allo specchio, in un selfie. Garanzia di indissolubilità. Un’installazione di Elena Ketra al Gazometro di Roma ha figurato una donna che sposa se stessa, con tanto di marcia nuziale. A Kyoto esiste il self-wedding per singoli che amano se stessi al punto da prendersi in sposo/a; conta “lo stare bene con se stessi”, imperativo assoluto della nostra epoca. L’artista la motiva a contrario come una forma di “inclusione sociale” giacchè “amarsi è necessario per poter amare in modo libero ogni altro essere umano”.
Quel matrimonio onanistico, autoreferenziale, in cui si è sposo, sposa e figlio della propria unione, è una esibizione simbolica; portata all’estremo, rappresenta la tendenza e lo spirito della nostra epoca.
A conferma di questa tendenza ad amare se stessi sopra ogni cosa, e considerare lo “star bene con se stessi” come l’unico vero fine e requisito per l’esistenza, si possono citare altri due fatti concomitanti. Uno è il congelamento degli ovuli, o dei semi, che nasce da una motivazione originaria comprensibile: se sono single e temo che con gli anni perderò la fecondità, cerco di mettere in salvo la mia possibilità di riprodurre, per consentire – in caso di unione fuori tempo massimo per il mio corpo – di avere ugualmente figli. Ma l’ideologia sottostante al congelamento non è l’impulso alla maternità e tantomeno il desiderio di fare famiglia e coronare l’unione con un consorte; ma la possibilità di autoriprodursi, di lasciare in banca, congelato, la propria virtuale riproduttività, come si congelano anche corpi malati e senili che sperano di poter “risorgere” alla vita quando si troveranno le cure giuste per superare quella malattia ora mortale. Sentitele le single che depositano ovuli nella banca del futuro: è un modo per perpetuarsi, per lasciare lo stampino di se stessi, garantirsi se non l’immortalità, una possibilità di replicarsi ed eludere la mortalità.
Ancora una volta la religione, la filosofia di vita che traspare in queste scelte è lo sconfinato amore per se stessi, e l’inclinazione a pensare il partner non come colui col quale si desidera dividere la vita, giurarsi e praticare amore reciproco, e coronare la propria unione con uno o più figli; ma come l’inseminatore occasionale, il fuco rispetto all’ape regina, ossia il semplice donatore di seme che serve per ingravidare e consentire alla donna autarchica di riprodursi. Non un figlio, dunque, quanto una replica di se stesse, un modo per rigenerare il proprio io e i propri geni.
Per coronare questa visione autarchica e autoreferenziale della vita, consideriamo infine un altro aspetto, recentemente ribadito da una sentenza della magistratura. E’ possibile mutare la propria sessualità e tutto quello che ci identifica, comprese le generalità, semplicemente con un’autocertificazione o un’autopercezione. Lo ha stabilito una sentenza recente del tribunale di Trapani: si può cambiare sesso senza operazione chirurgica o mutazione ormonale, ma per un “puro” desiderio di farlo. Per cambiar sesso non c’è bisogno nemmeno di sottoporsi a un’operazione in modo da mettere anche la legge con le spalle al muro davanti a un’evidente mutazione genetica; basta sentirsi di un altro sesso per modificare i propri dati anagrafici e la propria identità sessuale.
Se la legge non parte dalla realtà oggettiva e da quel che noi siamo secondo evidenza e natura, ma deve sottomettersi a ciò che noi vogliamo essere, allora non solo la percezione del sesso dovrebbe costituire motivo sufficiente per la mutazione dei dati. Ma anche la percezione anagrafica: se io mi sento trent’anni di meno, vivo, vesto, penso e sono come un ragazzo, o se mi sento più africano o asiatico che italiano, perché non riconoscere la variazione d’età o di etnia rispetto a quel che dice la mia anagrafe? Un tema che avevamo già posto provocatoriamente in un controcanto paradossale di un anno fa. E che potrebbe estendersi oltremisura: se mi sento cinghiale, potrà bastare la mia percezione e la mia volontà di ungulato per decretare il mio cambiamento anagrafico e statutario? O l’umanità non può essere revocata, per la semplice ragione che non sarebbe mai possibile l’inverso, ovvero la domanda di un cinghiale di essere riconosciuto umano? Per avanzare una tale richiesta e manifestare la tua volontà devi essere almeno umano, non appartenere al regno animale, vegetale o minerale.
Naturalmente sono paradossi, resta però il principio di fondo: non conta più la realtà e la sua evidenza, la natura e la fisiologia, anzi non conta più l’oggettività; conta il soggetto, il suo sentire e volere soggettivo. Qui torniamo al punto di partenza: Io sono quel che voglio essere, se decido posso perfino sposarmi con me stesso, e riprodurmi in modo autarchico, usando il seme altrui come concime anonimo, impersonale. Io amo io, e basta.
Resta solo una domandina per voi: siete contenti di questa conquista, alzate le spalle dicendo che i tempi mutano, o vi rifiutate di accettare la fine ingloriosa dell’umanità, della natura, del buon senso e della civiltà?

(Panorama, n.31) Marcello Veneziani

 

Un pomeriggio d’agosto all’ombra delle nostre querce..

 

Sarà anche stupido,ma bello e piacevole pensare cose di un uomo che non potrà mai sapere. Eppure sento che il cuore batte in modo diverso, anche se è un non sense-
Essere certa che non lo saprà mai e nulla si realizzerà ma chi l’ha detto che sognare fa male , che le illusioni sono negative ? Voglio cullarmi in questa illusione come fosse un mare , il piu incredibilmente colorato, un mare che sarà solo mio, il mio mare. Aspetterò ogni onda, mi lascerò travolgere e portare lontano da ogni riva, vivrò in sordina il trambusto del mio cuore,che mi accompagnerà e farà parte di me come il caldo, come la luce degli occhi, come l’emozione di un innamoramento mai sopito, che mi scuote ancora anima e corpo, mentre ritrovo il tuo sguardo e il tuo sorriso là, in quella nuvola all’orizzonte, pronta a tuffarsi nel mio mare.

tramonto mare

Ci sono luoghi…

 

 Ci sono luoghi che catturano non solo gli occhi, catturano la mente e la riportano lontano, laggiù nel tempo andato, ma mai perduto, che il cuore ha conservato tra le cose più preziose, malinconiche nostalgie di momenti magici, di desideri che si avveravano, di sogni che brillavano su lontani orizzonti. Era il tempo in cui cielo e mare si fondevano nella profondità di sentimenti, che la passione travolgeva sconquassando le nostre notti in laghi  di baci salati. Calava il sole e si accendeva quella musica ,che nemmeno l’ultimo istante della mia vita riuscirà a cancellare …e  sarà ancora estate,  noi saremo là, in quelle quiete onde di risacca, ad accarezzare lo stretto fondovalle  tra le magiche rocce.

risacca

Dai Racconti di Vetro di Andrea Salvatici il nuovo racconto…

Da Il Corriere della Sera 

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ILLUSTRAZIONE DI ZAC

Ristrutturazione

Finalmente dopo quindici anni il suo ruolo di amante finì con una telefonata secca e breve alle due di notte di un normale giovedì: ”Scegli me o tua moglie! Altrimenti è finita…ma questa volta è finita davvero!”.

Lui lasciò la moglie e i tre figli e si trasferì in casa di lei. Finalmente poterono uscire insieme senza baciarsi fra le nebbie di Fata Turchina e Pinocchio. Insieme senza più giocare a nascondino fra congressi in America e conferenze organizzate apposta per vedersi. Ora erano una coppia che poteva camminare tranquillamente in Corso Vercelli, in viale Papiniano o trovarsi all’Esselunga davanti ai carciofi e alle cipolle di Tropea.  Lui primario chirurgo, ordinario all’università di Milano e fondatore di…accettò di vivere con lei portandosi dietro settantamila libri di medicina. Prima che arrivassero nella casa, lei fece ristrutturare tutto il suo appartamento. Pavimenti, pareti, finestre e soprattutto stanze piene di librerie fatte a mano per i suoi libri. In quel momento lei era felice ma così felice che organizzò una festa nel loro nuovo nido. Colleghi di ospedale, professori universitari, ricercatori, specializzandi, due assessori e qualche giornalista amico di liceo.

– Lei è la moglie del professore giusto??? – chiese una ragazza di ventiquattro anni con occhi azzurri così potenti che rischiavi di sfuocare il resto intorno a te.

– Sì! – rispose lei sapendo di aver detto una palese bugia perché in fondo sentiva di meritarselo.

– Suo marito è un grande professore…io ho iniziato da tre settimane la specializzazione…e mi creda è davvero bravo e comprensivo…

– Grazie! – fu la risposta repentina e decisa di lei nel troncare quell’inizio di conversazione fra una donna di sessant’anni e una donna di ventiquattro. Si separarono in un attimo come il più e il meno nelle particelle.

Più tardi, distesa nel letto accanto a lui supino e stanco gli chiese a bruciapelo: ”Perché hai invitato  i tuoi specializzandi? Non lo hai mai fatto… nemmeno quando eri sposato… e poi scusa… cosa c’entravano stasera? Capisco i colleghi, i professori e i vecchi amici di liceo…ma gli specializzandi…non capisco proprio!!!

Lui provò a rispondere ma iniziò subito a russare. Lei invece si addormentò più tardi.

Arrivarono tutti i suoi libri. La stanza davanti a Santa Maria delle Grazie era pronta per le visite private. Il salotto era pieno di stampe anatomiche e di quadri futuristici: tutto era perfetto in quella casa ristrutturata.

Una mattina, la donna decise di fare due passi intorno all’Arena con il suo Golden retriever di dieci anni, liberò l’animale nell’area cani e si sedette su una panchina a fumarsi una sigaretta.

In lontananza, dopo un paio di minuti, vide vicino al muro dell’Arena il suo compagno con la sua enorme pancia, camminare mano nella mano con la specializzanda dagli occhi azzurri potenti. Sempre ridanciano. Sempre goffo nei passi.

Lei si voltò verso la scuola tedesca e liberò un filo azzurro di fumo fra il muso di Bilbo e un ramo rotto di quercia.