Il ragno nel buco della serratura…

 

Il Ragno nella buca della chiave

Un ragno, dopo avere esplorato tutta la casa, di fuori e di dentro, pensò di rintanarsi nel buco della serratura. Che rifugio ideale! Chi lo avrebbe mai scoperto, li dentro?
Lui, invece, affacciandosi sull’orlo della toppa,avrebbe potuto guardare dappertutto senza correre alcun rischio. Lassù diceva fra sé, sbirciando la soglia di pietra tenderò una rete per le mosche ;quaggiù aggiungeva scrutando lo scalino ne tenderò un’altra per i bruchi; qui, vicino al battente dell’uscio, farò una piccola trappola  per le zanzare.
Il ragno gongolava. Il buco della serratura gli dava una sicurezza nuova, straordinaria; cosi stretto, buio, foderato di ferro, gli sembrava più inattaccabile di una fortezza, più sicuro di qualsiasi armatura. Mentre si crogiolava in questi pensieri, gli giunse all’orecchio un rumore di passi: allora, prudente, si ritirò in fondo al suo rifugio. Qualcuno stava per entrare in casa; una chiave tintinnò, s’infilò nel buco della serratura e lo schiacciò.

Leonardo Da Vinci

    Sentirsi troppo furbi non è mai nè una garanzia nè un ‘assicurazione-

Big Spider in Backlit in Switzerland.

I talenti non vanno dimenticati, speriamo che qualcuno ricordi “un poeta”.

A luglio ricorre il centenario della nascita di Tito Balestra, artista e poeta delicato di versi mai troppo noti, nonostante sia stato un personaggio di spicco nel mondo letterario della prima metà del novecento , amico e frequentatore di molte celebrità della cultura, dell’ arte, del cinema di quel periodo. Molto amico di Tonino Guerra,  col quale trascorse la giovinezza, il quale fu il primo ,forse ,a riconoscere il valore letterario di Tito. Vi racconto questo episodio :

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A Longiano vive un poeta che si chiama Tito Balestra che è amico di un altro poeta che si chiama Tonino Guerra, che è di Santarcangelo. Vanno al mare in bicicletta, mangiano il cocomero, scrivono poesie. Poi arriva la guerra, Tonino si nasconde ma viene scoperto e deportato in Germania. Tito resta in Romagna, partecipa alla Resistenza aiutando partigiani e Alleati. Poi torna la pace, si trasferisce a Roma e conosce Anna. Per lei scrive una poesia che finirà in una raccolta da un titolo bellissimo: ‘Se hai una montagna di neve tienila all’ombra’. È la poesia d’amore migliore di tutto il ‘900, dice Tonino quando la legge per la prima volta. E ha ragione.

Anna ho comperato un pezzo di terra
ho un cavallo, una frusta e sollevo la polvere
e chiamo il vicino e gli tocco la spalla
oppure un altro, un sogno piu piccolo,
io e te insieme abbiamo una stanza
e abbiamo vetri contro il vento e la pioggia
e un cuscino un po’ grande che basta per due
guardami in faccia ho gli occhi castani.

L’uccello e l’uovo. Una parabola Sufi.

Invocazionie di Indiani nativi.

 

“Chiudi gli occhi
e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare
e sentirai la verità.
Resta in silenzio
e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto
e troverai l’unione.
Sii quieto
e ti muoverai sull’onda dello spirito.
Sii delicato
e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente
e compirai ogni cosa.
Sii umile
e manterrai la tua integrità.”

 

nativi americani

Uomo o donna, quercia o muschio, cerchiamo di vivere felici del nostro essere.

 

In Inghilterra esiste un bosco davvero affascinante. Si tratta di un’antica area boschiva alle pendici del Dart West River, nella località di Dartmoor. Si estende su soli 8 ettari di terreno e rappresenta un bosco isolato, ciò che rimane di un’antica foresta che un tempo copriva un’area molto vasta.Gli alberi di questo bosco sono molto antichi eppure non lo dimostrano, forse a causa di una particolare combinazione di clima e terreno. I rami si intrecciano in forme fantastiche e si stagliano su un meraviglioso tappeto di muschio verde brillante. In questo bosco troviamo querce alte più di 7 metri e i loro rami intrecciati lo rendono quasi inaccessibile. Così gli alberi si riparano dalla distruzione che potrebbero causare sia gli uomini che gli eventi climatici. Secondo le leggende, questo bosco magico esiste ancora dato che è stato protetto per secoli da druidi, fantasmi e creature soprannaturali. Secondo la tradizione popolare, il bosco di Wistman era un luogo sacro protetto dai druidi del popolo celtico durante l’Età del Ferro. Il bosco sarebbe stato difeso da cani feroci che avevano il compito di attaccare le anime perse e gli incauti viaggiatori. Nelle notti buie e nebbiose in questo bosco incantato si potrebbero udire realmente ululati di cani. Il bosco, sempre secondo le leggende, ospiterebbe delle vipere molto velenose. Una di queste vipere avrebbe ucciso un cane chiamato Jumbo che di tanto in tanto apparirebbe ancora nel bosco come un fantasma.

bosco

 

Qualche volta noi pensiamo di sbagliare a causa di inutili confronti- Come il muschio si tormenta col fatto che vorrebbe essere alto come una quercia, allo stesso tempo una quercia sogna di essere come il muschio, mai preso d’assalto da uno stormo di uccelli. Il modo in cui ognuno cresce è solo suo. Non c’è alcun bisogno di guardare com’è la vita degli altri. Lo stesso vale per il successo, lo stesso per la felicità- Siamo muschio. Siamo una quercia. Una felce. Un pettirosso. Una stella marina.
Facciamo in modo che il nostro abituale modo di vivere sia corretto e meriti sempre rispetto.

Gesù e gli increduli. Questa è un’antica parabola Sufi, che ci spiega come sono gli uomini.

waw

 

Maulana Jalaluddin Rumi e altri riferiscono che Isa, figlio di Miriam, stava un giorno camminando in un deserto nei dintorni di Gerusalemme con alcune persone la cui avidità era ancora molto forte.
Costoro supplicarono Isa di rivelare loro il Nome Segreto grazie al quale resuscitava i morti. Egli disse: “Se ve lo dico, ne abuserete”. Ma essi insistettero: “Siamo pronti e degni di conoscere il Nome Segreto. Questa conoscenza rafforza la nostra fede!”.
“Non vi rendete conto di ciò che chiedete”, disse Isa. Tuttavia, rivelò loro la Parola. Poco dopo, le stesse persone stavano passeggiando in un luogo deserto, quando videro un mucchio di ossa biancastre: “Proviamo la Parola”, dissero l’un l’altro, e così fecero.

Non appena la Parola fu pronunciata, le ossa si rivestirono di carne; una bestia feroce e vorace riprese corpo sotto i loro occhi e li fece a pezzi. –

Coloro che sono dotati di ragione capiranno. Coloro che ne hanno poca potranno acquisirla attraversa lo studio di questo racconto.
.-.

L’Isa di questa storia è Gesù, figlio di Maria.

Bambini e topi domineranno il mondo . Racconto di Italo Calvino.

 

A un secolo dalla nascita del grande scrittore  Italo Calvino Repubblica ci regala ogni mese un suo testo raro. Questo è il primo della serie. Dove l’autore immagina una società condizionata dalle nevrosi degli adulti e in cui i figli si muovono in branchi, un po’ come i roditori. Tra ironia, distopia e qualche giusta previsione.

Fra vent’anni, se vivrò, sarò un vecchio: se penso alla vita tra vent’anni è naturale che mi domandi quale sarà la sorte dei vecchi. La vecchiaia oggi e più sicura e comoda di una volta, – dico in un senso pratico, materiale – e lo sarà sempre di più; ma i vecchi contano sempre meno, “significano” sempre meno. Nella commedia della vita umana, il vecchio era un personaggio immancabile: personaggio positivo o negativo, mitico – magico o ridicolo – brontolone, bisognava comunque fare i conti con lui. Ma già oggi questo personaggio è uscito di scena; nella famiglia non ha più un posto; la società tende a espellerlo. Già oggi in larga parte dell’America e dell’Europa occidentale e orientale ai vecchi sono assegnati territori separati geograficamente e socialmente dal resto dell’umanità, “riserve” più o meno dorate, zone temperate e tranquille, abitate quasi esclusivamente da pensionati e da medici.

È probabile che in futuro il solco che divide la città produttiva dalla sempre più estesa anticittà del riposo senile si approfondisca; che nessuno osi più mettere piede nel mondo dei vecchi se non quando giunge per lui l’ora d’entrarvi per non tornare più indietro; e che l’immagine di questa sorta di al-di-là terrestre, continuamente affiorante e continuamente scacciato dalle coscienze, si carichi d’attributi straordinari, di poteri benefici o malefici. Forse allora ci sarebbero dei giovani che, nella loro ribellione al mondo dei padri, verrebbero a rifugiarsi nelle lande tabù del paese dei nonni, e vi farebbero perdere le loro tracce. Riapparirebbero in rapide incursioni che getterebbero la città nello sgomento, considerati da alcuni orde di predoni, da altri annunciatori d’una nuova legge che i vegliardi avrebbero elaborato nella loro contemplativa solitudine e trasmesso ai giovani fuggiaschi mediante misteriose iniziazioni.

Ecco che il riflettere sul futuro dei vecchi porta necessariamente a interrogarci sul futuro dei giovani; anzi, dei fanciulli e dei bambini, perché decisive saranno le esperienze di vita collettiva dell’infanzia: i riti d’iniziazione che marcano l’ingresso nella società saranno anticipati ai primi anni di vita.

Durante i prossimi vent’anni la vita della prima infanzia attraverserà i momenti più difficili nella storia del genere umano. Cancellata ormai da tempo l’immagine del padre, sbiadita l’immagine della madre (che torna a casa dal lavoro solo la sera), l’infanzia si libererà di molte occasioni di nevrosi e ne acquisterà di nuove. Ci si può consolare pensando che, qualsiasi infanzia gli tocchi, chi vive in quest’epoca non si salverà dalla nevrosi, e dato che i genitori sono certamente due nevrotici, il bambino ha tutto da guadagnare a vederli il meno possibile. È prevedibile che la nevrosi sul lavoro andrà crescendo tra gli uomini mentre tra le donne – appena riusciranno a non pensare più alle faccende domestiche – tenderà a diminuire; per cui le mansioni tecniche e amministrative saranno affidate sempre più alle donne; e questo generalizzerà il distacco precoce dei bambini dalle madri.

Dove staranno i bambini durante la giornata? Nidi e asili infantili – anche se costruiti in gran numero – saranno irraggiungibili per l’ingorgo permanente del traffico. La rete di giardini d’infanzia più modernamente attrezzata resterà quasi deserta, perché i bambini non potranno esservi accompagnati né dai genitori, già assillati ed esausti dal problema quotidiano di raggiungere i luoghi di lavoro e di tornare a casa, né da mezzi di trasporto collettivi, che non riuscirebbero a stazionare davanti alle case.

Il sistema di “lasciare i bambini a una vicina”, praticato oggi da un gran numero di donne lavoratrici, s’estenderà al punto che in ogni caseggiato popolare ci saranno delle comari che per un compenso modico custodiranno bambini a centinaia, e non disponendo di spazi capaci di contenerli, li lasceranno dilagare in grandi branchi sul suolo pubblico, provocando blocchi stradali e devastazioni di supermercati. Come pastori che seguono un armento al pascolo, le comari interverranno solo in casi di estrema necessità per cercar d’arginare gli spostamenti del branco, che peraltro si muoverà secondo una sua imprevedibile autonomia e ostinazione. Sarà presto chiaro che se il bambino non abbandona il branco, è il branco stesso a proteggerlo meglio di qualsiasi tutore adulto.

Il flusso dei veicoli (molto lento comunque e soggetto a continue soste) sarà obbligato a fermarsi ogni volta che la carreggiata sarà invasa da una falange di infanti che stanno imparando a camminare; si vedranno camion e autobus annaspare con le ruote e retrocedere spinti da una carica di lattanti.

Forza della natura inarrestabile, queste moltitudini di pargoli si abbatteranno come sciami di locuste sulle mercanzie incustodite (i centri di vendita a self-service avranno completamente sostituito i piccoli negozi). Solo la musica potrà influire sul branco, attraendo in una direzione o allontanandolo con suoni sgradevoli; gli strumenti più usati saranno cimbali, sistri, raganelle, buccine, maracas. Ma alla sera, con la stanchezza e il sonno, basterà alle comari un flauto o uno zufolo per riprendere il sopravvento e trascinarsi dietro il codazzo sbadigliante.

Tutto un nuovo sistema d’apprendimento, un nuovo universo di credenze e d’immagini nascerà in queste quotidiane transumanze urbane, una nuova lingua (vi s’attuerà una prima fusione tra le ondate migratorie che da tutti i continenti convergono sulle metropoli), un nuovo modo di vedere il mondo, con la collettività dei coetanei come realtà prima, con lo stock sempre rinnovato delle merci come foresta e pascolo e perpetua primavera, con gli automezzi come bestie feroci.

Un solo animale dell’antica zoologia continuerà a imporre la propria immagine: il topo. I sistemi di derattizzazione sempre più micidiali avranno portato alla selezione d’una razza di topi resistenti a ogni mezzo di sterminio, forse immortali, che si riprodurranno incessantemente contendendo all’uomo il possesso della metropoli. La lotta per la sopravvivenza potrebbe sviluppare in quei roditori facoltà mentali superiori, tali da permettere loro d’allevare nel sottosuolo altri animali e impiegarli nella lotta contro l’uomo: serpenti, coccodrilli, piovre.

Come un tempo l’ululato dei lupi, gli uomini chiusi nelle case ascolteranno ogni notte tremando lo squittio di milioni di topi che si leverà più alto del rombo dei boeing e dei razzi, a promettere che il regno animale sconfitto risorgerà da sottoterra

 by the estate of Italo Calvino da La Repubblica

 

bambini e topi

Un racconto dalla Lituania…

 

Una fanciulla orfana viveva a servizio di una strega, e ogni giorno portava da mangiare nel palazzo del re. Un giorno, mentre camminava per i prati, balzò davanti a lei una serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
La giovane appoggiò la bisaccia, appoggiò la brocca, in tutta fretta raccolse erbe e fiorellini, intrecciò una ghirlanda e la mise al collo della serpe.
Dopo un paio di passi appena, balzò davanti a lei un’altra serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Così di nuovo appoggiò la bisaccia, appoggiò la brocca, raccolse fiorellini, intrecciò una ghirlanda e la mise al collo della serpe.
Si rimise in cammino, ma fece soltanto pochi passi, perché davanti a lei comparve una terza serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Di nuovo intrecciò una ghirlanda e gliela mise al collo. Poi arrivò a palazzo e portò da mangiare alla corte del re. Quando tornò dal palazzo, sentì tutte e tre le serpi – che erano dee della fortuna – che bisbigliavano tra loro:
“Che cosa augurarle ora?”
Una disse:
“Che sia molto ricca.”
Un’altra disse:
“Che sia una buona lavoratrice.”
Mentre la terza disse:
“No. Sarà molto bella, e quando piangerà cadranno perle dai suoi occhi, e quando riderà scenderanno dalla sua bocca pietre preziose e oro.”
Ebbene, la fanciulla tornò a casa tanto bella, tanto bella! E quando la strega la vide ne rimase molto arrabbiata. Così la fece salire in solaio, le diede la ruota da filare e non la fece vedere più a nessuno.
Il giorno seguente, la strega mandò sua figlia a portare da mangiare nel palazzo del re. La giovane andò, e mentre camminava balzò davanti a lei una serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Quella si arrabbiò, le diede un calcio e fece per colpirla con un bastone:
“Non starmi tra i piedi! Ti colpirò con un bastone ed ecco che avrai la corona.”
Dopo pochi passi, un’altra serpe si pose davanti a lei:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
Quella di nuovo le diede un calcio:
“Mi sei tra i piedi, non si riesce nemmeno a passare!”
Proseguì sulla strada, ma davanti a lei balzò una terza serpe:
“Sorellina, intrecciami una ghirlanda, devo andare alle nozze!”
“Non sarà mica il diavolo a mettervi tra i piedi! Ti colpirò con un bastone e così avrai la corona!”
Arrivò nel palazzo, lasciò da mangiare e subito tornò indietro.
Mentre camminava, sentì bisbigliare tutte e tre le serpi, che si erano riunite per assegnare il destino. Una disse:
“Che sia povera in ogni cosa.”
L’altra disse:
“Che non sappia lavorare.”
Ma la terza:
“Ebbene – disse – che abbia un’orribile pelle di rospo sulla bocca, e quando piangerà le salteranno rane dagli occhi, e quando sorriderà, lucertole.”
La giovane ritornò a casa, e non appena la strega la vide, si spaventò.
Da allora tentò di tutto per migliorare l’aspetto della figlia. La vestiva e la acconciava molto bene, ma lei restava comunque brutta.
La fanciulla orfana, intanto, filava in solaio. Accanto a lei c’era una finestrella molto piccola e lì vicino passava una strada. La ragazza apriva quella finestrina la sera – da lì brillava una piccola lucina, dove filava.
Una sera, passò di lì il principe, e vedendola dalla finestrina se ne innamorò immediatamente, perché la ragazza era molto bella. Quando piange, cadono perle dai suoi occhi, e quando ride, scendono dalla sua bocca pietre preziose e oro. Il principe bussò alla porta, ed entrato in casa chiese chi ci fosse in solaio. La strega però subito gli cacciò davanti sua figlia.
Oh, quanto è brutta! Il principe prese la figlia della strega, la fece salire in carrozza e la portò via. C’era un fiumicello molto fangoso di fianco alla strada. Si fermò e la gettò nel fango.
Quindi tornò indietro e questa volta salì in solaio. Lì trovò la fanciulla orfana che filava.
È così bella, così bella, pensava. Quando piange, cadono perle, e quando ride, scendono pietre preziose.
La portò via con sé, la fece sedere in carrozza, e giunto a palazzo la sposò.

.la orfana e la strega,

 

Un tempo non molto lontano si raccontavano ai bambini favole educative con l’intenzione, tramandata da secoli, di educare .a comportarsi bene, ad amare il prossimo, gli animali, coscienti che il bene viene sempre ricambiato col bene e il male col male. Ora non so se queste scenette di lettura ad un bimbo siano ancora attuali, mi chiedo comunque, se aldilà della metafora ci sia ancora qualcuno che creda al valore dell’onestà, del rispetto in questo mondo dove tutto quello che ci circonda racconta il contrario. La fortuna pare privilegiare chiunque vada controcorrente, chiunque non conosca morale e rispetto per se stesso e gli altri, nel quotidiano si vive allo sbaraglio non seguendo più alcuna logica, anzi la logica  è usata  per un solo fine, produrre ricchezza e denaro, unici dei da adorare, nel cui nome tutto è lecito.

Il destino è nelle mani…

 

“C’è chi nasce coi pugni serrati, chi con le mani spalancate e chi col pollice in bocca, qualcuno persino con le mani giunte o protese in avanti, come per difendersi. Il carattere già si profila dalle mani, perché il neonato non ha ancora a fuoco la vista; la luce originaria e il buio del passaggio, lo hanno reso provvisoriamente cieco. Sicché le mani parlano al suo posto. C’è chi rimane cieco per tutta la vita, anche se vede.
L’infanzia è una mano che si apre, e stringe altre mani, per gioco o per farsi guidare, conosce il mondo maneggiando le cose; la gioventù spalanca le mani, afferra con vigore il mondo, abbraccia la vita. La vita adulta si abituerà poi a prendere e lasciare la presa, ad afferrare pesi, armi, valigie; a maneggiare, manipolare, condurre per mano, tendere la mano per soccorrere o essere soccorsi. La vecchiaia è una mano che si chiude, si rinserra nel pugno, si appoggia a un bastone, stringe quel che resta, temendo di perderlo, fino a che non gli resta più nulla e stringe un pugno d’aria. Il mondo del vecchio si restringe, si fa sempre più piccolo, introverso, a volte si rinchiude dentro il suo corpo, il suo intestino, i suoi organi che funzionano male. Le sue mani sono impotenti, il mondo è sempre meno a portata delle sue mani, che cominciano a tremare e cercano sostegni.
Le mani sono la gloria dell’uomo rispetto agli animali; sono l’intelligenza del corpo, pensiero tattile, prensile, toccante. Sono la mappa dove è segnata la sua fatica passata ed è scritto il suo cammino futuro”.

da La leggenda di Fiore

La Chiesa dei tre papi viventi.

La leggenda di Fiore è un romanzo spirituale  di Marcello   Veneziani, uscito oltre due anni fa. Racconta  la vita di un personaggio favoloso in cammino per il mondo alla ricerca dello Spirito. Nel suo peregrinare si imbatte e dialoga con un Papa che ha lasciato il soglio pontificio, come il suo predecessore. Qui  alcuni stralci dal capitolo a lui dedicato, il Santo Padre che volle farsi fratello.

Papa Pietropaolo decise di dimettersi e abbandonare l’impossibile apostolato. Presentò le sue dimissioni con una denuncia dei mali di cui pativa la Chiesa, in velata polemica con la Curia e l’Episcopato. PierPaolo non si limitò a dimettersi da Papa, come il suo predecessore, ancora vivente: decise di rinunciare ai voti, abbandonare la Santa Sede e andarsene lontano in abiti civili, senza però rinunciare, disse, alla misericordia verso i fratelli. Si sarebbe occupato con una organizzazione umanitaria di emergenza, profughi, carità. Sparì per una destinazione ignota nell’estremo sud-ovest; dissero che era andato a vivere in una baracca delle favelas.

Il suo papato era partito col proposito di riportare la Chiesa alle origini, di ricominciare daccapo, come al tempo dei primi cristiani, delle catacombe. Per questo aveva deciso in un primo tempo che si sarebbe chiamato Pietro, come il fondatore della Chiesa. Ma, a quanto trapelò in quei giorni, i cardinali lo scongiurarono di non chiamarsi come il primo pontefice perché in tutti, benché implicita, era viva e inquietante la memoria della profezia di san Malachia, che aveva vaticinato la fine della Chiesa con l’avvento d’un papa chiamato Pietro II. Il cerchio si sarebbe chiuso nel suo nome, proprio come era cominciato. Il papa Pietro, si leggeva, pascerà il gregge fra molte tribolazioni; la città eterna sarà poi distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo come alla fine dei giorni. Ma al nuovo papa quel nome significava il ritorno alle umili origini, rappresentava il Nuovo Inizio per rifondare la Sposa di Cristo. E rinunciarvi sarebbe apparso un cedimento alla superstizione e alle dicerie intorno alla profezia di Malachia; e uno sfregio all’Apostolo Fondatore. Allora concordò un compromesso coi cardinali più influenti: si chiamò PietroPaolo, fondendo i nomi dei due apostoli, già congiunti nel giorno loro dedicato. Il Papa fu poi battezzato nel linguaggio corrente, PierPaolo. Lui siglava i documenti pontifici con le tre P, Petrus Paulus Pontifex, PPP; la traduzione corrente e più affabile, che a lui non dispiaceva, era PapaPierpaolo.

Il papa cercò di sostituire al carisma la simpatia, alla grazia la carità, al Signore Dio Onnipotente l’umanità di Cristo, o solo l’umanità, secondo alcuni. Sostituì alla liturgia, al rito e al simbolo, l’umile famigliarità di “uno di noi”; rimosse il sacro e identificò la santità con la carità. Nel suo pontificato cercò di cambiare la missione alla sua Chiesa, aprirla al mondo e al suo tempo, fondere le religioni e i popoli, curarsi dei non credenti più che dei credenti, dei poveri più che dei fedeli, dei lontani più che dei più vicini[…] Migliaia di chiese e monasteri erano ormai svuotati di sacerdoti, suore e devoti, e la curia aveva deciso di cederli per trasformarli in locande, luoghi di ristoro ed alberghi. Il Papa invece volle mutarli in luoghi d’accoglienza per bisognosi[…]

Ci fu un effetto imprevisto delle sue dimissioni improvvise e radicali: prima di convocare il conclave per eleggere il nuovo Papa fu necessario ripristinare sul trono pontificio il vecchissimo Papa Gesumino, che si era dimesso tredici anni prima per motivi d’età e di salute, ma che a novantanove anni compiuti si trovò a indossare nuovamente la mitra di Pietro. Quando Gesumino rinunciò al papato ‒ lui che aveva scelto quel nome per schernirsi come pargolo del Signore ‒ vedendolo in condizioni cagionevoli di salute, molti pensarono che di lì a poco sarebbe tornato alla Casa del Padre. Invece, quel fragile, malato papa emerito, con un fil di voce e il passo curvo, resisteva negli anni […]

Faceva impressione rivedere quel vegliardo serafico tornare dopo tredici anni sulla sedia di Pietro, ormai disabituato alle attenzioni del mondo, più timido e impacciato di prima, tremante, perduto nella sua ascesi mistica, sottratto alle sue letture, ai suoi esercizi spirituali e alla penombra di una santa clandestinità. Guardava in silenzio e benediceva mentre un sorriso amaro si fermava sulla sua bocca per nascondere la riluttanza[…]

Il Conclave con gran difficoltà e con nuovi prelati, alla fine fu celebrato. Fu eletto Papa un cardinale venuto da una popolosa isola cristiana dell’estremo Oriente. Non era una gran figura, si puntò sulla sancta simplicitas, il fervore genuino della sua fede. E sulla comprensione del mondo verso un papa venuto da un mondo remoto. Mentre saliva nel cielo la fumata bianca che annunciava il nuovo pontefice, Papa Gesumino, ormai centenario, lasciava questa terra […]

La coincidenza tra l’elezione del nuovo Papa e la morte del Papa emerito, indusse l’eletto a scegliere come suo nome GesùMaria, nel ricordo di Cristo Nostro Signore, del predecessore Papa Gesumino col suo più umile diminutivo e per la sua devozione speciale alla Madonna. Per la prima volta un nome femminile risuonava nella nomenclatura pontificia, come un segno di apertura. Il nome suscitò turbamento ma era un tempo straordinario, di negazioni assolute e cominciamenti sovrani e furono ammessi anche nomi fuori dall’ordinario. Quando Papa GesùMaria s’insediò sul soglio di Pietro, morì Papa PierPaolo, a tre giorni dal suo predecessore. Una messa solenne per un evento mai accaduto fu celebrata dal Papa che guardava stranito e stordito le salme dei due suoi predecessori, una accanto all’altra. Uno serafico, l’altro corrucciato. Due mondi finivano e il terzo era ignoto. Qualcosa di enorme stava avvenendo, ma non si riusciva a capire se era una morte o una rinascita.

da La leggenda di Fiore (Marsilio)