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Lasciami qui/3

Post n°285 pubblicato il 06 Novembre 2016 da je_est_un_autre

“Sei un cacasotto”
”Oh, senti, Gaddi. Dacci un taglio, ok? Mi conosco, te l’avevo detto che era un’idea del cavolo”
”Bella figura mi hai fatto fare. Mentre tu te la davi a gambe lei mi ha chiamato tre volte: sai l’imbarazzo? Non sapevo cosa dire, ho inventato due stupidaggini del tipo che hai una macchina vecchia che è un miracolo se sta ancora tutta insieme e che ultimamente avevi una pessima cera. Secondo me ha pensato che eri morto”
”Così magari la prossima volta te li farai davvero, i casi tuoi”
”Non ci sarà nessuna prossima volta. Dovesse capitarmi nuovamente di incontrare una lettrice, su fb, ci vado io a cena con lei all’Ultima Spiaggia. Quando ho compiuto vent’anni mi hanno regalato ‘Lo Zen o l’arte della manutenzione della motocicletta’ quindi gli argomenti non mi mancheranno: è giunta l’ora che quei due anni di lettura diano dei frutti”

Nella nostra città, quando arriva novembre è uno schifo. Ricordo che da giovane dicevo di amare il freddo, anche la pioggia. Sarà anche stato vero. Certo adesso non mi sembra nemmeno più di essere la stessa persona. A furia di incassare la testa fra le spalle per il freddo potrei anche sparire del tutto, sotto questo portico umido di vapori di nebbia e urina.
Ho l’abitudine di camminare ogni sabato pomeriggio fino alla libreria, nel centro della città. Tengo gli occhi dritti davanti a me. Del resto non c’è molto da vedere: coppie stizzite che passeggiano, i soliti questuanti, l’uomo deforme che ostenta le sue mostruosità.

Così, cammino e basta. Guardo per terra, conto le righe, indovino distanze.
Conosco a memoria questo tratto di pavimentazione. So che sono quasi arrivato.
Qui, il lastricato finisce.
Poi, circa tre metri di asfalto.
A sinistra, una colonna con la base usurata.
Ecco l’ultimo tratto di strada.
Ci sono, alzo la testa, e.
E.
C’è.
Lei.
Sono passati due mesi da quella sera, e c’è voluto meno di un secondo per incassare un KO cento volte più potente di quello dell’Ultima Spiaggia.

Come un uomo con due cervelli che sviluppa contemporaneamente due ragionamenti, io penso:

- che è decisamente più meravigliosa di quanto abbia potuto intuire all’Ultima Spiaggia

- che è più alta di quanto immaginassi

- che i suoi occhi virano impercettibilmente al verde

- che deve avere cambiato qualcosa ai capelli in questi due mesi

- che sorride con una fila di denti così perfetti da muovere al pianto

- che vorrei non pensare tutte queste cose per quanto mi fanno sentire idiota

ma intanto penso anche che:

- si tiene abbracciata a uno

- che si sorridono, che lei sorride a lui, che sembra felice, che lo è

- che lui neanche lo vedo, non riesco nemmeno a guardarlo, ma che se mi sento devastato, da un secondo all’altro, lo devo a lui

- che li sto quasi incrociando, e che il mio passo si è rallentato

- che si impara a odiare in un momento, anche non volendolo

- che i secondi non durano niente

- che è già tutto finito
Reprimo un desiderio feroce di voltarmi indietro. Sono fermo. Mi sento addosso la mia stessa faccia. Non ho bisogno di uno specchio per sapere i miei occhi.
Li chiudo. Deglutisco. Li riapro.

Guardo in su, verso l’arcata del portico a sinistra, che da questa parte è così alto.

Il cielo è bianco, lattiginoso, muto, distante.

Sono sbriciolato. Non riesco a pensare a niente.

Solo un rimpianto struggente, antico come una pietra.
Provo una pena per me che non riesco a dire.

E il cielo è lì. Altissimo.

Il nostro corpo, è una prigione.

 

(Fine)

 

 

 
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