Creato da: je_est_un_autre il 04/11/2008
Date la colpa alla mia insonnia

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25 Aprile

Post n°87 pubblicato il 25 Aprile 2010 da je_est_un_autre

Sento che si avvicina il tempo di tirare fuori i fucili.
(Guido)

Oddìo, è successo qualche cosa?
(Acume)

In una giornata che è quasi un anticipo d'estate, con quell'aria ferma che è così tipica di questa terra, in mezzo ai piumini dei pioppi, dietro la banda del paese e la fascia del sindaco e due bandiere e quattro biciclette, noi insistiamo.
Ci proviamo almeno, con pochi mezzi e una mezza idea, a schivare la retorica.
E se è facile tenersi lontani dal ritritume dei riti consolidati quando si è al cimitero o di fronte al monumento alla memoria (ci sono pietre che qualcosa ancora ci dicono), lo è meno al momento dei discorsi. Ogni parola spezza.
Pochi interventi allora: solo letture.
Scegliamo alcune lettere tra quelle dei condannati a morte della Resistenza.
Per ultima ne leggiamo una, forse la più "politica" di tutte, che è sconvolgente per lucidità e attualità.
E' quella di un ragazzo di 19 anni, Giacomo Ulivi, modenese, che scrive - a differenza degli altri (tutte indirizzate, per esempio "alla mamma", o "alla fidanzata") ai suoi amici.
Ed è una spietata autoanalisi, un'accusa a sè e a un'intera nazione:

(...) Dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. (...) vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali (...) è vero: quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita? (...) benissimo, è un sentimento diffuso, generale e soddisfacente (...) ma nel desiderio invincibile di "quiete" è il segno dell'errore (...) perche in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi quanto più possibile dalla politica.

E qui, il passaggio più terribile:

E' il tremendo, il più inquietante, credetemi, risultato di un'opera ventennale di diseducazione (...) Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro da "specialisti" (...) "Lasciate fare a chi può e chi deve! voi lavorate e credete!" dicevano; e quello che facevano lo vediamo ora, che nella politica (...) ci siamo stati scaraventati dagli eventi.

E ancora:

Qui sta la nostra colpa io credo: come mai noi italiani (...) abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola?

Qualcuno tra chi ascolta dirà poi di aver pensato a parole scritte il giorno prima:

Credetemi, la "cosa pubblica" è noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, e ogni sua sciagura è sciagura nostra, e ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il Paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo?

C'è un silenzio assoluto. Viene letta anche una brevissima lettera dello stesso Giacomo Ulivi alla madre, scritta il giorno stesso dell'esecuzione:

Carissima mamma, ti chiedo scusa di averti fatto soffrire (...) non ti rincresce di quanto succede: è quanto ho rischiato è mi è andata male (...) Perdonami. Ti abbraccio con tutta l'anima.

A chi legge si spezza la voce. E' finita, non c'è nient'altro da aggiungere.
Le lettere vengono legate con un nastro ad un pozzo che sta nella piazza del paese. Non si fermerà nessuno a leggerle, ma è importante che siano lì.

Proviamoci, a tenerlo sempre presente.

 
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