Quando un artista lascia un segno…e torna un ricordo .

 

Paolo Conte

 

Di recente La Scala di Milano, che in tempi passati non aveva voluto dissacrarsi concedendo il palcoscenico prima ai Beatles e poi ai Rolling Stones, ha ceduto – Il tempio della musica per eccellenza ha concesso che l’Avvocato della musica, alias Paolo Conte, col suo pianoforte, calpestasse il suo palcoscenico con le sue note strane, frenetiche, lente, colle sue storie tanto vere quanto malandrine e pacate. Non c’ero allo spettacolo, non conosco il repertorio presentato, ma mi piace immaginare nell’aere scaligere anche le note di una sua canzone, un po’ vecchiotta, che sapeva creare un ‘atmosfera particolare, in cui era facile immergersi, respirarne il fumo e succhiare quelle famose caramelle alascane,che hanno fatto impazzire mezza Italia. Perchè le poteva masticare solo una delle due cassiere del locale?
Alla fine l’ha dovuto ammettere Paolo Conte che le “caramelle alascane” se l’era inventate. Ma, prima, quante ipotesi, quante ricerche, quante richieste, senza risposta nelle drogherie vecchiotte, quelle d’una volta, quelle che quasi non esistono più. Nessuno le cercava nei supermercati dove- si supponeva- Paolo Conte non sarebbe mai entrato in cerca d’ispirazione. Anche i filologi si diedero da fare , a fare ipotesi sull’origine della parola (alascane da Alaska, caramelle ghiacciate, da grande freddo?) e i più poetici, invece, ad associarle con gli occhi da lupa della cassiera,una voce arrochita dal fumo e a presumere un bisogno di pasticche lenitive, là nel buio claustrofobico della pista da ballo, dove le luci saettavano e il ventilatore da soffitto ronzava, immenso.
Una parola che evoca la menta, l’eucalipto, un gusto ghiacciato, che la trasporta lontano dal buio di una sala da ballo di periferia.

“Uso un lessico di mia invenzione…. mi è sempre piaciuta l’enigmistica”: disse Paolo Conte in un’intervista.
Ogni parola di ogni sua canzone lascia immaginare un mondo.
Poco importa se le parole esistano davvero o no.
E chi ha creduto, chi ha cercato le caramelle, chi ha scritto perfino all’Ambrosoli o alla Dufour per avere chiarimenti?
È stato un equivoco.
Con i mondi dei poeti a volte succede.

Paolo Conte, Boogie

Due note e il ritornello era già nella pelle di quei due
il corpo di lei mandava vampate africane, lui sembrava un coccodrillo…
i sax spingevano a fondo come ciclisti gregari in fuga
e la canzone andava avanti sempre più affondata nell’aria..
quei due continuavano, da lei saliva afrore di coloniali
che giungevano a lui come da una di quelle drogherie di una volta
che tenevano la porta aperta davanti alla primavera…
qualcuno nei paraggi cominciava a starnutire,
il ventilatore ronzava immenso dal soffitto esausto
i sax, ipnotizzati… dai movimenti di lei si spandevano
rumori di gomma e di vernice, da lui di cuoio…
le luci saettavano sul volto pechinese della cassiera
che fumava al mentolo, altri sternutivano senza malizia
e la canzone andava elegante, l’orchestra era partita, decollava…
i musicisti, un tutt’uno col soffitto e il pavimento,
solo il batterista nell’ombra guardava con sguardi cattivi….
quei due danzavano bravi, una nuova cassiera sostituiva la prima,
questa qui aveva gli occhi da lupa e masticava caramelle alascane
quella musica continuava, era una canzone che diceva e non diceva
l’orchestra si dondolava come un palmizio davanti a un mare venerato
quei due sapevano a memoria dove volevano arrivare….
un quinto personaggio esitò
prima di sternutire,
poi si rifugiò nel nulla…
era un mondo adulto,
si sbagliava da professionisti

I Fans e la morte…

Ormai mi è impossibile dare un giudizio qualsiasi su certi comportamenti, che quotidianamente si vedono sui video trasmessi dai siti dei quotidiani online. In questo caso mi riferisco ai selfi fatti nella camera ardente di Maurizio Costanzo, con la moglie Maria in posa davanti alla bara. La totale mancanza di buon senso della gente non mi stupisce più, mi stupisce che nemmeno la morte riesca a fermare questa epidemica voglia di protagonismo delle persone. Capisco che Maurizio Costanzo sia stato un personaggio pubblico amatissimo da tutti, così come Maria de Filippi, capisco che sia altissimo il prezzo da pagare per il successo, non capisco come si possa avere il cattivo gusto di chiedere di fare un selfie in un momento tanto triste della vita, e mi chiedo come abbia potuto Maria non negarsi. A che servono quelle foto? Per dire :”Io c’ero a fare le condoglianze a Maria De Filippi”? Non è amore e nemmeno rispetto per il marito quello che ha fatto Maria, il dolore di chi ha perso l’amore della sua vita non ha tempo, nè presenza per queste stupidaggini,e sono certa che non sarà orgogliosa di se, quando ripenserà a questo momento. Il fatto è che lei deve proseguire la sua vita e i fans sono il suo pane quotidiano in un mondo in cui conta soltanto essere sempre alla ribalta.

maria De Filippi1

A che punto sono le nostre certezze?

 

Come si riconosce la certezza?
Questa è una domanda tremendamente potente. Riflettendo profondamente su questa questione, ci accorgiamo che allo stato attuale essa distrugge tutto il nostro mondo, essa distrugge il senso dell’essere e ciò che significava. Ci accorgiamo che ogni cosa che pensiamo, che sappiamo del mondo , è basata su assunzioni, credenze, e opinioni- cose che noi crediamo perchè così ci è stato insegnato o detto essere vere. Allorchè noi iniziamo a vedere queste false percezioni per ciò che sono realmente, allora scopriremo di essere stati ,inconsapevolmente o perchè ci siamo rifiutati di vedere la vera faccia di queste illusioni, imprigionati dentro questa specie di sogno, che non sapremo mai dove ci vorrà condurre. Sarebbe meglio riflettere prima che sia troppo tardi e la manipolazione su di noi sia totalmente compiuta.

lavaggio cervello

Il primo tagliando alla Meloni…

Rovesciamo la frittata. Sento dire in giro, e accade abbastanza spesso, che Giorgia Meloni sta facendo esattamente quello che avrebbe fatto Mario Draghi, Enrico Letta o chi volete voi, in tema di Nato, armi all’Ucraina, direttive europee, linea economica, ecc,; dunque a cosa vale avere la destra al governo? Sono d’accordo sulla premessa, avendo anzi avvertito sin dall’inizio e anche prima, al tempo del voto, che sarebbe andata così. Ma provo a rovesciare le conclusioni e dire: preferisco che la stessa linea, che avrebbero tenuto Draghi, Gentiloni, Letta & C., la porti avanti la Meloni piuttosto che loro. Lo preferisco perché preferisco l’interpretazione di “destra” dello stesso copione, a quella tecnocratica o di sinistra; perché preferisco chi almeno proviene da una storia diversa, ed è più attenta almeno sul piano delle intenzioni e dei discorsi, ai temi della sovranità, della nazione, della tradizione; ed è avversa, almeno nelle intenzioni e nei discorsi, al predominio del politically correct e di tutta l’ideologia e la prassi che ne consegue. Da lei posso ancora sperare almeno minime cose positive; da loro no, vanno in un’altra direzione.
Se vogliamo, è la solita, vecchia teoria del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, anche se poi la vera questione è capire che liquido c’è dentro quel benedetto mezzo bicchiere, se è nettare o urina. Ma è l’unico criterio realistico per giudicare la situazione, e non sbrigarsi con un giudizio apocalittico e sconfortato.
Come avrete forse capito, il mio ideale sarebbe ben altro e ben più alto; e come forse avrete notato, non sono per niente d’accordo su molte di quelle posizioni assunte, soprattutto in politica estera. Anche a me capita di osservare, quando vedo imperversare la tirannia del conformismo progressista, che nulla è cambiato con l’avvento della destra al governo, e nulla sta per cambiare. Tutto si ripete come prima, stessi temi e stessi interpreti.
Però immaginare altre scelte, soprattutto in politica internazionale, significa poi vedere la Meloni buttata fuori dal governo: perché viviamo davvero sotto una cappa e se non sei allineato e coperto, ti fanno fuori in poco tempo dal governo, sguinzagliano i cani più feroci per sbranarti, costringerti a chiedere aiuto o farti fuggire a gambe levate.
A voler fare un primo bilancio di questi primi quattro mesi, che sono comunque un lasso di tempo troppo breve per giudicare un governo, io trarrei un’impressione complessivamente positiva, relativamente ad alcuni punti. Dunque, siamo contenti che dopo il governo tecnico sia tornata la politica, almeno come immagine, cornice e frasario. E che sia tornata con un timbro di destra, seppure su un foglio bianco.
La Meloni mostra di essere accorta, non scivola su bucce di banana, studia e lavora seriamente, mostra davvero – come gli riconoscono gli avversari- di essere capace. Ha schivato le accuse di fascismo e nazional-populismo, sa comunicare direttamente ed efficacemente, risulta affidabile e credibile quando parla, non va mai sotto o sopra le righe (un po’ meno i suoi uomini, alcuni veramente modesti). A volte si accanisce con alcuni del suo partito, un tempo della sua stessa parrocchia (es. Fabio Rampelli): ma chi come lei è in una posizione di forza potrebbe mostrare maggiore magnanimità e avrebbe tutto da guadagnare. Tiene a bada il malcontento di alcuni suoi alleati, sa dialogare con le opposizioni, si confronta con alcuni settori della società civile. Nel complesso tiene diritta la barra, sta sempre sui problemi, con equilibrio e senso pratico, mostrando anche una certa competenza, o quantomeno di aver studiato. Spicca in solitudine. Funziona bene nei rapporti internazionali, ha superato la difficile prova di essere accettata. I torti che l’Italia subisce, li avrebbe subiti anche con Draghi o altri, perché quando sono in gioco gli interessi nazionali, ad esempio francesi o tedeschi, non c’è premier che tenga. Magari avrebbero trattato Draghi con più riguardo, avrebbero fatto la foto con lui in prima fila, ma non avrebbero certo abdicato ai loro interessi.
Rispetto invece alla situazione interna, salvo qualche comizio per galvanizzare le “maestranze” e gli italiani, con qualche apericena identitario, la Meloni segue una linea di spoliticizzazione e di neutralizzazione dei conflitti. Non interviene dove si creano zone calde e radicalizzazioni bipolari (tipo Sanremo, temi civili e biopolitici, piazzate, risse e polemiche sui diritti); tende a raffreddare anziché riscaldare le tensioni, e a sopire i contrasti. Interamente presa dalla manutenzione del governo, affida solo a qualche fervida orazione la sete di rivoluzione conservatrice. Certo, col tempo qualcosa dovrà pur fare che rechi un segno concreto e una traccia che di lì è passata la destra al governo. Certo, il grande politico sa essere un po’ volpe e un po’ leone, per dirla con Machiavelli; deve sapersi destreggiare – parola santa – tra la prudenza e l’audacia, capendo quando è il momento di spingere sull’una e quando sull’altra. Finora ha prevalso la prudenza, ma siamo ancora nella fase di rodaggio, dunque è comprensibile; poi si dovrà saper usare anche l’audacia. Nonostante tutto, avvertiamo nell’aria meno ostilità di quando c’era Berlusconi al governo; ma i tempi della politica sono ormai labili e fugaci, la curva del consenso è assai breve, i rischi sono dietro l’angolo; in un momento si passa dalla magia del consenso alla maledizione della sfiducia.
Abbiamo tentato un realistico, veritiero check-in nel chiaroscuro, un tagliando al governo in corso d’opera. Ma siamo ancora in una fase sperimentale. Da noi al sud, con la bella stagione, ci sono i cartelli con la scritta “Meloni alla prova”. Vale anche per Giorgia e non solo per i cocomeri.

M.V

Tutti insieme possiamo tutto…

 

La Storia insegna. Ciò che suggerisce alla gente è che, anche se essi fanno piccole cose, se riescono ad andare oltre il picchettaggio, se si uniscono in una veglia, se scrivono lettere ai giornali locali, ecc..
Qualunque cosa facciano, anche piccola, questa diventa parte di un flusso di forza destinato ad accrescersi. E quando abbastanza gente fa abbastanza cose, per piccole che possano essere, ecco che avviene il cambiamento.

Beboy-ambiente2

 

À la guerre comme à la guerre.

 

Bisognerà cominciare a prepararci per la guerra. Dico sul serio. Non serviranno armi, ma determinazione, fatica, organizzazione. Non possiamo evitare di combatterla se non vogliamo perdere, tra le altre cose, libertà di espressione e libertà di giudizio, per giunta con effetto retroattivo. È la guerra che una forte lobby politica, culturale, editoriale, con epicentro anglosassone, sta scatenando contro l’arte “impura”, presente e passata, censurando e correggendo, aggiornando ed espellendo. Con un gerundio solo: distruggendo. Distruggendo i diversi contesti storici e culturali per uniformare tutto a una (pretesa) nuova sensibilità, con un mostruoso processo di “contemporaneizzazione” di ciò che non lo è.

L’ultimo episodio (ridicolo? orribile?) è la massiccia correzione postuma, ad opera dell’editore inglese Puffin Books, dei libri di Roald Dahl, uno dei massimi scrittori per ragazzi, morto 30 anni fa, levando parole e frasi che potrebbero urtare questo o quel lettore “sensibile”.Un esempio per tutti: levare la parola “grasso” per non offendere i lettori sovrappeso. Poiché non esiste discorso umano e opera d’arte che non rischi di urtare la sensibilità di alcuno (le statue apollinee potrebbero offendere i non belli) tanto vale cancellare tutto. Bruciare le biblioteche e le pinacoteche.

Già Salman Rushdie – che di oppressione intellettuale se ne intende – ha manifestato tutto il suo sgomento per la censura di Puffin Books. Ma date retta, non basta. È tempo di una reazione attiva. Boicottaggi contro gli editori che si rendono responsabili di queste violenze (non trovo parola più appropriata). Dare il massimo rilievo a ogni colpo di bianchetto, a ogni ritocco censorio. Organizzare comitati di tutela della libertà artistica. Rispondere colpo su colpo. Bisognerà cominciare a prepararci per la guerra. Dico sul serio. Non serviranno armi, ma determinazione, fatica, organizzazione. Non possiamo evitare di combatterla se non vogliamo perdere, tra le altre cose, libertà di espressione e libertà di giudizio, per giunta con effetto retroattivo. È tempo di una reazione attiva. Boicottaggi contro gli editori che si rendono responsabili di queste violenze (non trovo parola più appropriata). Dare il massimo rilievo a ogni colpo di bianchetto, a ogni ritocco censorio. Organizzare comitati di tutela della libertà artistica. Rispondere colpo su colpo. À la guerre comme à la guerre.

L’Amaca di Michele Serra___La Repubblica

 

cancel culture

La meraviglia dei disegni di Picasso…

 

“Bisogna uccidere l’arte moderna. Questo significa che bisogna uccidere sé stessi, se si vuole continuare ad essere in condizione di fare qualcosa.”

Con questa frase scritta da Picasso al culmine del successo della sua pittura cubista, voglio raccontarvi il disegno di Pablo Picasso. Pare strano che proprio uno come lui, il più rivoluzionario nell’arte dell’inizio del novecento, dopo aver dato vita al movimento Cubista, parli di “uccidere l’arte moderna”, per ritornare a quelli che sono i più tradizionali moduli figurativi classici, ricercare nuove soluzioni innovative per evitare di ripetersi, cosa che non gli piaceva e voleva sempre essere il primo a ideare un nuovo modello di espressione.
Picasso non è solo cubismo, quest’ultimo rappresenta solo una stagione della sua opera lunghissima e instancabile; si sa che la sua formazione fu assolutamente tradizionale, che le sue abilità tecniche erano formidabili e che il suo legame con il “classico” riemerge nella sua potente seduzione, in tutti i momenti di svolta nella carriera dell’artista.

Oltre a essere un pittore, scultore e ceramista, Picasso esprime con massima efficacia la sua forza creativa attraverso il disegno e l’incisione, ovvero in quelle tecniche nelle quali la sua mano e il suo segno sono liberi e immediati. Ancora oggi si trovano in vendita centinaia di disegni di Picasso, frutto di una produzione talmente vasta e originale da sembrare infinita; Picasso disegnava continuamente e aveva raggiunto con il suo segno una tale sicurezza da riuscire a dare vita, con una sola linea, a figure eleganti e compiute, come pochi altri artisti sono mai stati in grado di fare. Un segno essenziale, preciso, asciutto e pulito che si curva e si modula senza nessuna esitazione.
Si tratta di una linea-spazio che definisce una forma chiusa precisa e compatta, da scultore, che si fa perimetro, senza esitazione alcuna. Grande attenzione è posta anche sulla composizione del disegno; le forme sono in relazione fra loro attraverso un equilibrio perfetto.
Nel disegno con materie grasse e friabili quali la grafite e le matite o con tecniche elastiche ed umide come la penna , il bistro o l’inchiostro, la sua linea disegnativa, così simile a quella di Ingres, è la sintesi dello sdoppiamento che ciascun artista vive tra realtà e anima, un segno fluido che si muove alla ricerca del linguaggio perfetto per dare forma e far vivere ciò che l’animo vive.
Infatti “Il disegno non è la forma, ma il modo di vedere la forma” scriveva Picasso.

la danza  Picasso

La Danza___Pablo Picasso

 

Gli algidi pupazzi erotici dell’Occidente post-tramonto,risultato di bisturi e polimeri sintetici.

L’estasi è procurata da ragazzotti e belle damine, in cui il bisturi e il polimero sintetico ha cancellato gran parte dei tratti distintivi delle loro terre d’origine

Già dalla Belle Époque le “giapponeserie” erano parte della nostra nostalgia per mondi immaginari. Sintetizzavano in un genere l’idea di un Oriente vezzoso e raffinato, raffigurato con ninnoli e porcellane, con silente accenno a una licenziosità misteriosa fatta di raffinatezze sensuali e perversi giochi di ruolo, ammissibili unicamente per l’universo esotico e remoto in cui si esprimevano. Poi ci furono le guerre moderne comprensive di giapponesi, infine la bomba atomica. Il Giappone sconfitto e umiliato tacque.

Il paradosso fu che della successiva resurrezione del Giappone ce ne siamo resi conto in una fascia d’età del tutto improbabile; fu quando le nascenti tv commerciali cominciarono a mandare in onda, come materiale a basso costo, le Anime, che nelle famiglie dabbene degli anni 70/80 venivano bollate come “i brutti cartoni animati giapponesi fatti con il computer”, spesso contrapposti alla poesia degli amanuensi nelle produzioni Disney. Molte di queste Anime furono mutilate di quei chiaroscuri erotici della cultura giapponese per noi indecifrabili; riuscimmo a nascondere l’amore lesbico di due protagoniste di Sailor Moon, o le passioni della Regina di Lady Oscar. Siamo così cresciuti in una dimensione di radicale e bigotta falsificazione di quello che intuivamo come un “Impero dei sensi”, sfuggendoci però la chiave culturale per decifrarlo. I coraggiosi che si riuscirono a sciroppare in sala l’interminabile agonia erotica dei due amanti di Nagisa Ōshima, difficilmente riuscirono ad andare oltre un po’ di cine porcellerie estreme, con apoteosi di soffocazioni ed evirazioni. A metà degli anni 70 non esistevano i tutorial di Shibari a portata di chiunque, i ragazzi non si sfidavano su Tik Tok a ”Black out” , lasciandoci a volte la pelle. Siamo quindi oggi a chiederci perché gli imberbi attori di K-Drama, detti dalle loro vestali “pasticcini mandorlati”, riempiano le giornate della casalinga media italiana. E’ la vera vendetta di un immaginario erotico estremo che, solo quando diluito in percentuale omeopatica, raggiunge il cuore della nostra compattezza familiare, seducendo dalle nonne alle nipotine. Femmine, e non solo, di ogni età e cultura stazionano in titillamento onirico perenne davanti alle piattaforme digitali più note, o in quelle specifiche in lampi d’Oriente come “Rakuten Viki”. L’estasi è procurata da ragazzotti e belle damine, in cui il bisturi e il polimero sintetico ha cancellato gran parte dei tratti distintivi delle loro terre d’origine. E’ l’esplosione di un genere di telefilm che, per paradosso, deriva dai radiodrammi prodotti in Corea negli anni 20’, come risposta alla crudele occupazione giapponese. Un prodotto dell’orgoglio nazionale antinipponico finalmente sdogana, in chiave popolar-anestetica, il nostro antico pruriginio, allucinato per Butterfly e Samurai, contenuto e represso da almeno quattro generazioni. Non è più necessaria una definizione d’origine controllata, per questo il “pasticcino mandorlato” è il Frankenstein dove confluiscono tutti i pezzi di un nuovo pupazzo erotico, buono per tutti i gusti. E’ un po’ come il Sushi che mangiamo in finti ristoranti giapponesi. E’ il gran minestrone del parossismo con verecondia, è il mesto fornicare di sola testa dell’Occidente nel suo post-tramonto.

Gianluca Nicoletti da  La Stampa.

 

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Bambini e topi domineranno il mondo . Racconto di Italo Calvino.

 

A un secolo dalla nascita del grande scrittore  Italo Calvino Repubblica ci regala ogni mese un suo testo raro. Questo è il primo della serie. Dove l’autore immagina una società condizionata dalle nevrosi degli adulti e in cui i figli si muovono in branchi, un po’ come i roditori. Tra ironia, distopia e qualche giusta previsione.

Fra vent’anni, se vivrò, sarò un vecchio: se penso alla vita tra vent’anni è naturale che mi domandi quale sarà la sorte dei vecchi. La vecchiaia oggi e più sicura e comoda di una volta, – dico in un senso pratico, materiale – e lo sarà sempre di più; ma i vecchi contano sempre meno, “significano” sempre meno. Nella commedia della vita umana, il vecchio era un personaggio immancabile: personaggio positivo o negativo, mitico – magico o ridicolo – brontolone, bisognava comunque fare i conti con lui. Ma già oggi questo personaggio è uscito di scena; nella famiglia non ha più un posto; la società tende a espellerlo. Già oggi in larga parte dell’America e dell’Europa occidentale e orientale ai vecchi sono assegnati territori separati geograficamente e socialmente dal resto dell’umanità, “riserve” più o meno dorate, zone temperate e tranquille, abitate quasi esclusivamente da pensionati e da medici.

È probabile che in futuro il solco che divide la città produttiva dalla sempre più estesa anticittà del riposo senile si approfondisca; che nessuno osi più mettere piede nel mondo dei vecchi se non quando giunge per lui l’ora d’entrarvi per non tornare più indietro; e che l’immagine di questa sorta di al-di-là terrestre, continuamente affiorante e continuamente scacciato dalle coscienze, si carichi d’attributi straordinari, di poteri benefici o malefici. Forse allora ci sarebbero dei giovani che, nella loro ribellione al mondo dei padri, verrebbero a rifugiarsi nelle lande tabù del paese dei nonni, e vi farebbero perdere le loro tracce. Riapparirebbero in rapide incursioni che getterebbero la città nello sgomento, considerati da alcuni orde di predoni, da altri annunciatori d’una nuova legge che i vegliardi avrebbero elaborato nella loro contemplativa solitudine e trasmesso ai giovani fuggiaschi mediante misteriose iniziazioni.

Ecco che il riflettere sul futuro dei vecchi porta necessariamente a interrogarci sul futuro dei giovani; anzi, dei fanciulli e dei bambini, perché decisive saranno le esperienze di vita collettiva dell’infanzia: i riti d’iniziazione che marcano l’ingresso nella società saranno anticipati ai primi anni di vita.

Durante i prossimi vent’anni la vita della prima infanzia attraverserà i momenti più difficili nella storia del genere umano. Cancellata ormai da tempo l’immagine del padre, sbiadita l’immagine della madre (che torna a casa dal lavoro solo la sera), l’infanzia si libererà di molte occasioni di nevrosi e ne acquisterà di nuove. Ci si può consolare pensando che, qualsiasi infanzia gli tocchi, chi vive in quest’epoca non si salverà dalla nevrosi, e dato che i genitori sono certamente due nevrotici, il bambino ha tutto da guadagnare a vederli il meno possibile. È prevedibile che la nevrosi sul lavoro andrà crescendo tra gli uomini mentre tra le donne – appena riusciranno a non pensare più alle faccende domestiche – tenderà a diminuire; per cui le mansioni tecniche e amministrative saranno affidate sempre più alle donne; e questo generalizzerà il distacco precoce dei bambini dalle madri.

Dove staranno i bambini durante la giornata? Nidi e asili infantili – anche se costruiti in gran numero – saranno irraggiungibili per l’ingorgo permanente del traffico. La rete di giardini d’infanzia più modernamente attrezzata resterà quasi deserta, perché i bambini non potranno esservi accompagnati né dai genitori, già assillati ed esausti dal problema quotidiano di raggiungere i luoghi di lavoro e di tornare a casa, né da mezzi di trasporto collettivi, che non riuscirebbero a stazionare davanti alle case.

Il sistema di “lasciare i bambini a una vicina”, praticato oggi da un gran numero di donne lavoratrici, s’estenderà al punto che in ogni caseggiato popolare ci saranno delle comari che per un compenso modico custodiranno bambini a centinaia, e non disponendo di spazi capaci di contenerli, li lasceranno dilagare in grandi branchi sul suolo pubblico, provocando blocchi stradali e devastazioni di supermercati. Come pastori che seguono un armento al pascolo, le comari interverranno solo in casi di estrema necessità per cercar d’arginare gli spostamenti del branco, che peraltro si muoverà secondo una sua imprevedibile autonomia e ostinazione. Sarà presto chiaro che se il bambino non abbandona il branco, è il branco stesso a proteggerlo meglio di qualsiasi tutore adulto.

Il flusso dei veicoli (molto lento comunque e soggetto a continue soste) sarà obbligato a fermarsi ogni volta che la carreggiata sarà invasa da una falange di infanti che stanno imparando a camminare; si vedranno camion e autobus annaspare con le ruote e retrocedere spinti da una carica di lattanti.

Forza della natura inarrestabile, queste moltitudini di pargoli si abbatteranno come sciami di locuste sulle mercanzie incustodite (i centri di vendita a self-service avranno completamente sostituito i piccoli negozi). Solo la musica potrà influire sul branco, attraendo in una direzione o allontanandolo con suoni sgradevoli; gli strumenti più usati saranno cimbali, sistri, raganelle, buccine, maracas. Ma alla sera, con la stanchezza e il sonno, basterà alle comari un flauto o uno zufolo per riprendere il sopravvento e trascinarsi dietro il codazzo sbadigliante.

Tutto un nuovo sistema d’apprendimento, un nuovo universo di credenze e d’immagini nascerà in queste quotidiane transumanze urbane, una nuova lingua (vi s’attuerà una prima fusione tra le ondate migratorie che da tutti i continenti convergono sulle metropoli), un nuovo modo di vedere il mondo, con la collettività dei coetanei come realtà prima, con lo stock sempre rinnovato delle merci come foresta e pascolo e perpetua primavera, con gli automezzi come bestie feroci.

Un solo animale dell’antica zoologia continuerà a imporre la propria immagine: il topo. I sistemi di derattizzazione sempre più micidiali avranno portato alla selezione d’una razza di topi resistenti a ogni mezzo di sterminio, forse immortali, che si riprodurranno incessantemente contendendo all’uomo il possesso della metropoli. La lotta per la sopravvivenza potrebbe sviluppare in quei roditori facoltà mentali superiori, tali da permettere loro d’allevare nel sottosuolo altri animali e impiegarli nella lotta contro l’uomo: serpenti, coccodrilli, piovre.

Come un tempo l’ululato dei lupi, gli uomini chiusi nelle case ascolteranno ogni notte tremando lo squittio di milioni di topi che si leverà più alto del rombo dei boeing e dei razzi, a promettere che il regno animale sconfitto risorgerà da sottoterra

 by the estate of Italo Calvino da La Repubblica

 

bambini e topi