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Date la colpa alla mia insonnia

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Monologhino per un'attrice

Post n°314 pubblicato il 16 Gennaio 2018 da je_est_un_autre

Mi complico sempre la vita, quando decido i temi dei saggi degli allievi. Siccome è impossibile scegliere una commedia e fare solo quella (al di là della bravura degli attori, c'è sempre il problema che quasi sempre  pochi personaggi dicono molte battute, e invece c'è bisogno di equilibrio) ecco, ho sempre la tentazione di rimpinguare il testo inserendo dentro anche gli Autori, e spesso lo faccio. Nella mia carriera, ho inserito nei miei saggi Cechov e la sua compagna, un'altra volta ho messo Harold Pinter che giocava a cricket in paradiso e via dicendo. Stavolta ho esagerato. In un saggio dedicato al teatro di Neil Simon ho voluto mettere Neil Simon in persona, la sua prima moglie e pure suo fratello. Ma mi manca un pezzo,  un piccolo monologo insieme dolce e risentito della moglie, e siccome non riesco a farmi venire in mente niente, provo a scriverlo qui.
Scritto pensando a Joan Baim, moglie di Neil Simon.
(Lei sta parlando di "Appartamento al Plaza", meravigliosa commedia diventata anche un film con un mirabile Walter Matthau).

Mi sono sempre chiesta se scrivendo quella commedia, coi tradimenti e tutto il resto,  mio marito volesse dirmi qualcosa. Lui ha sempre detto di no, dice che era 'un passaggio necessario nel raggiungimento della maturità'. Stronzate.
Ma che stesse attraversando un momento particolare della propria vita è cosa certa. Era il 1968. Vi dice niente questo numero? Stava accadendo tutto così in fretta: il movimento e tutto quello che si portava dietro: la rivoluzione sessuale soprattutto, la libertà, quell'atmosfera eccitante. Un vento di novità che doveva avergli scompigliato un po' i capelli. Doveva aver pensato: qui fuori succede un casino e io non combino nulla?
Ricordo una sera, mi invitò al ristorante.
Usciamo? Certo, risposi.
Gli tremavano le mani. Era chiaro che doveva dirmi qualcosa. Aspettò fino all'arrivo della bistecca.
"Ti devo dire qualcosa". "L'avevo immaginato".
Mi dice: dovremmo separarci, per un po'. Credo che questo sia giusto, dice, dobbiamo darci questa possibilità. Sarò io ad andarmene, non voglio metterti in difficoltà, prendo le mie cose e me ne vado, dice Neil.
Io dico, va bene.
Non se l'aspettava. "Va bene" non se lo aspettava. Intanto mi dò da fare con la mia bistecca, mentre la sua resta inviolata. Mi guarda e basta. Di colpo, si stava facendo più piccolo. Avevo l'impressione che stesse scivolando giù lentissimamente dalla sedia.
Poi fa un respiro, prende in mano la forchetta, ci si gingilla un po', poi: comunque non c'è fretta, si può fare con calma.
No, dico io, una volta che una decisione è presa, meglio agire subito. Facciamo domattina? chiedo.
Domattina? Dice Neil. Mi guarda, e io calma, ricambio lo sguardo, sorrido masticando la mia bistecca. Lui deglutisce (deglutisce il nulla, perchè continuava a non  mangiare) poi fa: no.
No cosa, chiedo io.
No, sai cosa, Joan? Mi sono sbagliato. Quello che ho detto prima, dice Neil, è una enorme stronzata. Non pensiamoci più, d'accordo?
Non ne abbiamo mai più parlato, di quella serata. La mia calma olimpica lo aveva devastato.
L'unica cosa che lui non  sa, è che in  quei momenti io avevo l'uragano dentro. Semplicemente, lo tenevo nascosto.
Io amo Neil, ma un po' se l'è meritato, alla fine della serata, di mangiare una bistecca fredda.

 
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