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Imprevisti

Post n°424 pubblicato il 18 Luglio 2020 da je_est_un_autre

E insomma dopo oltre sei mesi sono tornato in scena. Dire che ero teso non rende l'idea. (Ecco, il pinocchio di legno che casualmente citavo nel post precedente è un'immagine appropriata). Un po' per la ruggine che inevitabilmente si accumula se non si pratica con continuità l'arte, un po' per la diabolicità di un testo argutissimo e divertente ma pieno di insidie dal punto di vista della memorizzazione, un po' per le poche prove effettuate (se non ci son soldi, come li paghi gli attori in prova? provi poco e speriamo in dio), insomma vedevo mostri dappertutto pronti a farmi lo sgambetto. Invece è andato tutto bene. Il sospiro di sollievo e felicità a fine spettacolo è stato di quelli importanti.
Eppure.
Eppure, qual è il primo pensiero che mi viene in mente se ripenso a come è andato lo spettacolo? forse la partecipazione di un pubblico molto attento e pronto alla risata? O forse anche l'emozione di vedere una platea piena, proprio nel cuore di una zona tra le più ferite dai fatti che sappiamo? O forse ancora il liberatorio applauso finale?
No. Il primo ricordo - anche non volendo - è questo: ad un certo punto, in prima fila, ad una spettatrice si è autodistrutta non so come la seggiola su cui stava seduta e la sventurata è capitombolata a terra, anche piuttosto rumorosamente. L'amica che le sedeva a fianco - la direste perfida, ma invece la capisco: come fai a resistere? - ha iniziato a ridere e anch'io, che per il riverbero della luce ho potuto vivere la scena in diretta, non  ho potuto fare a meno di ridere, anche se solo per un secondo per poi riprendere il controllo. La capitombolata ha mostrato un notevole spirito, e alla fine lei e l'amica si sono mostrate tra le più entusiaste.
Alla fine ho pensato: ma tu guarda: stiamo lì a scrivere testi, a farci domande d'ogni tipo sulle battute, sulle gag, sui testi comici e invece scopri che siamo sempre lì, alla buccia di banana. L'uomo (o la donna) che cade è, ancora, la cosa più irresistibile.
Certo che imprevisti di questo tipo, dovuti a impensabili interventi esterni, ne capitano davvero tanti, soprattutto, ovviamente, quando si lavora all'aperto.
Ricordo una volta, durante una commedia di Ruzante, salì sul palco un cagnolino. Il mio compagno di scena, per sua natura terrorizzato dagli animali, cominciò a correre su e giù per il palco, inseguito dal cane che probabilmente voleva solo giocare. Nessuna battuta di Ruzante suscitò tanta ilarità come quel momento.
Un'altra volta eravamo in Calabria (facevamo una riduzione del Don Giovanni molièriano), in un'arena naturale posta sotto uno strapiombo. Ed ecco che nel bel mezzo della scena un bimbetto, sfuggito al controllo genitoriale, sale sul palcoscenico, inseguito dal padre. Il pargolo scappava di qua e di là e il padre, casualmente trovandosi davanti ad uno dei nostri microfoni a terra, ad un certo punto urla: "VIENI QUA, DISGRAZIATHO!" con quelle consonanti aspirate tipiche di quelle zone. Credo che quel "Vieni qua, disgraziatho!" stia ancora echeggiando tra quelle rocce.
E insomma per dire che a volte la realtà è più straordinaria di qualunque teatro. Fino alle estreme conseguenze: una volta, in un paesino del Salento, nel pomeriggio assolato, stavamo montando le scene quando si fa avanti un omino:
"Scusate, è già passato il morto?"
Nostro momento di choc, poi ci viene in mente che effettivamente era passato un funerale.
"Sì, è passato, il morto"
E lui:
"Ah. A piedi?"
Ecco. Lì siamo rimasti zitti. Perchè puoi diventare bravo finchè vuoi ad improvvisare, ma davanti ad eventi incomprensibili, davanti al soprannaturale, è meglio un rispettoso silenzio.

 
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