Per non dimenticare quell’11 settembre di 20 anni fa… anche se dimenticare è impossibile.

Saltarono dai piani in fiamme, giù
…uno, due, altri ancora
più in alto, più in basso.
Una fotografia li ha colti mentre erano vivi
e ora li preserva
sopra il suolo, diretti verso il suolo.
Ognuno di loro ancora intero
con il proprio volto
e il sangue ben nascosto.
C’è ancora tempo,
perché i loro capelli siano scompigliati,
e perché chiavi e spiccioli
cadano dalle loro tasche.
Essi si trovano ancora nel reame dell’aria,
entro i luoghi
che hanno appena aperto.
Ci sono soltanto due cose che posso fare per loro
…descrivere questo volo
e non aggiungere una parola finale.

Wisława Szymborska

O New York notturna del nostro amore
così decapitata, ogni tua luce
è stata il vagito della nostra poesia.
Tu non puoi morire quando sogni
poiché noi italiani ti abbiamo
cullato tra le nostre braccia.
Penso che l’amore sia una grande torre
una torre addormentata nel cuore della notte.
Ma questi giganti che ormai non parlano più
hanno sepolto sotto le loro macerie
anche i nostri sospiri d’amore,
”quando la sera si stendeva sopra un tavolo
come un paziente in preda alla narcosi.

Alda Merini

 

torri

Quell’11 settembre colla distruzione delle Torri Gemelle fini un’era, quella delle certezza e della sicurezza e si apri un mondo nuovo, il mondo che viviamo pieno di incertezze , di paura e insicurezza, un mondo di tecnologia, di globalizzazione dove il potere è tutto incentrato nel Denaro e chi ne vive a contatto può fare il bello e i cattivo tempo del mondo intero e disporre dell’umanità suo piacimento..



Con parole come queste, mi chiedesti di aspettarti quel tempo che potessi amarti anch’io. Ero poco più di una ragazzina; tu l’uomo di una vita intera…

Ti ho attesa da sempre
eri nel volto di ogni donna
all’angolo di ogni via
eri la sabbia che brucia la pelle
il vento d’aprile
la pioggia dell’ultimo dell’anno
eri nei libri che ho comprato
nei findus dei tempi neri
nelle case che ho attraversato
nelle cose che ho scritto e che ho strappate
eri con me all’osteria e al supermarket
nei giorni che la vita se ne andava
e in quelli che, come il mare, tornava
eri la luna
una sonata per piano di schumann
un occhio di lince
la posidonia che tenera s’avvinghia
le albe che venivano dopo l’insonnia
eri sempre là dove t’aspettavo
eri la pelle di cui non si può fare a meno
eri nelle cose e dentro di me
ti ho attesa da sempre

Luther Blissett

ti ho attesa da sempre



Lo sai che i papaveri…

Per mia fortuna ho potuto vivere lunghi periodi in campagna durante la mia infanzia e giovinezza. Durante la guerra la mamma ed io ci eravamo trasferite nella grande casa di papa in campagna e ho potuto così godere della bellezza dei campi estivi che venivano colorati dai papaveri. Parlo al passato perchè è raro vedere oggi tanti papaveri insieme. I diserbanti li distruggono per non inquinare di erbacce le graminacee, che creerebbero non pochi problemi alle grandi mietitrebbia, ma creandone ben altri all’ambiente. Sono fiori bellissimi e tra la mia erba rustica crescono ancora papaveri e qualche fiordaliso, la cui naturale bellezza non ha nulla da invidiare ai perfetti tappeti inglesi, tanto belli quanto avvelenati.

papaveri 2

Il papavero è una pianta perenne che cresce spontaneamente sia nei campi coltivati che ai margini delle strade. Fiorisce da maggio a settembre ed in una sola stagione riesce a produrre anche 400 fiori e può raggiungere anche gli 80 centimetri di altezza .I fiori hanno un bellissimo coloro rosso con all’interno un “bottone” nero e le loro foglie ed il loro fusto si caratterizzano per una peluria sottile.

Gli antichi greci ritenevano il papavero simbolo dell’oblio e del sonno, per gli antichi romani era il simbolo della dea Cerere raffigurata con ghirlande, mentre nel Medioevo era associato al sacrificio di Cristo. La bellezza dei papaveri incantò non pochi artisti, come Van Gogh, Klimt e Monet, che li trasformarono in soggetto floreale dei loro quadri.
I papaveri sono, oggi, divenuti simbolo della libertà, infatti in Inghilterra, essi vengono utilizzati per ricordare le vittime della Prima e della Seconda Guerra Mondiale ed in Italia innumerevoli sono i riferimenti ai papaveri come simbolo di libertà: De Andrè  ne La guerra di Piero, parla di “mille papaveri rossi” a fare la guardia alla tomba di Piero ed al periodo della Resistenza risale l’usanza di apporre sulle tombe dei partigiani un fiore di papavero.
Poichè il papavero cresce ovunque, ma se colto appassisce subito. E’ bello associarlo quindi alla libertà, perché non può essere “imprigionato” ,e costretto, si lascia morire.

proserpina
Leggenda antica sui papaveri

Si narra che un giorno, nel mese di giugno Proserpina, la bellissima figlia di Giove e della dea della Terra, mentre coglieva fiori in un prato di Sicilia fu rapita da Plutone, dio degli inferi, che volle farla sua sposa.

Quando la madre Demetra venne a sapere che la figlia avrebbe trascorso il resto dell’esistenza nel mondo sotterraneo si disperò e corse a chiedere aiuto a Giove che però non fece nulla, cercando addirittura di incoraggiare l’unione della figlia che sarebbe diventata regina.
Demetra in preda al dolore decise di non occuparsi più per la Terra. A quel punto Giove, preoccupato della morte delle creature, convinse Plutone a lasciar tornare Proserpina per almeno sei mesi ogni anno.
Così fu e leggenda vuole che quando la regina ritorna sulla terra sbocciano i papaveri che con il loro colore rosso, ricordano alla dea la passione dello sposo che l’aspetta negli inferi.



L’alchimia dell’amore, un sogno che diventa vita, solitudini d’oro vibranti di luce..

Il solo alchimista capace di cambiare tutto in oro è l’amore ,sortilegio contro la morte, la vecchiaia, la vita abitudinaria. E l’oro è quello dei sogni, che adoro, specialmente quelli ad occhi aperti. Per questo non ho bisogno di oppio. Ho un dono per questo, mi basta prenderlo quando è in fuga. Lui era il mio sogno, sempre davanti a me .Raggiungerlo, trascorrervi un momento all’unisono, quello era il miracolo. I sogni passano nella realtà delle azioni. Dalle azioni deriva di nuovo il sogno; e questa interdipendenza produce la forma più alta di vita nel mondo del sognatore dove c’è solitudine: tutte le esaltazioni e le gioie arrivano nel momento della preparazione alla vita. Volevo mordere la vita, ed esserne fatta a pezzi. Non ho mai capito perchè due persone cucite insieme da sentimenti che si rispondevano come un’eco emettessero una fosforescenza , come se ciascuno di loro gettasse sull’altro la luce riflessa del proprio sogno interiore. Frecce elettriche… attraversano il corpo. Un arcobaleno di colori colpisce le palpebre.
Una schiuma di musica cade sopra le orecchie.
È il gong dell’orgasmo.

sophie marceux1



Ritorno al Sud

Mattino lucente a Capri, ancora fresco e disabitato di gente, dominato dalla luce mediterranea. Perché non fuggire a Punta Tragara a godersi i faraglioni inondati dal sole? Un libro, una penna e due lenti scure per entrare nel paradiso terrestre in incognito, senza restare abbagliati. Era bello star soli a Punta Tragara a spiare il trionfo della natura nell’azzurra maestà del cielo. Ma ad un certo punto arrivò una piccola sagoma.

Era una vecchia signora, curvata dalla vita, capelli rifatti da una residua vanità che ancora resiste all’assedio del tempo, una borsetta sgualcita che penzolava dal braccio, due gambette magre che spuntavano da un impermeabile vuotato di corpo. Piccola e ancora più rimpicciolita dagli anni. Giunse lentamente all’angolo estremo che sporgeva sul mare. Si affacciò alla ringhiera di Punta Tragara in direzione dei faraglioni. Si poggiò con entrambe le mani insecchite alla ringhiera che le arrivava quasi all’altezza delle spalle. E stette lì ferma, non per un attimo o per riprendere fiato. Si fermò a lungo come impietrita, ogni tanto cercava di puntare i piedi come una bambina che vuole raggiungere la credenza proibita delle delizie e guardava di sotto, nel precipizio gioioso.

In silenzio guardava e pensava, mentre la brezza leggera scuoteva appena la sua permanente. Il suo sguardo non filtrava dalle lenti spesse e leggermente affumicate, non saprei dire se la smorfia appena accennata sul volto alludesse a un dolore o a un piacere. A volte è sottile il passaggio e forte la somiglianza. Chiusi il libro e stetti a guardarla, con tenera e incuriosita passione. Immaginai di che cose fosse riempito il suo lungo silenzio, il suo miope ma lunghissimo sguardo. Mi intrufolai nel suo passato presunto e remoto. E trovai una ragazza, piccola e graziosa, di vent’anni. Spumeggiante di vita, dal passo veloce. La vidi là, poggiata alla ringhiera in una mattina degli anni trenta. Non da sola. Ma in compagnia di un uomo più alto, abbronzato, vestito di bianco, con i larghi pantaloni di lino gonfiati dal vento, i capelli dorati e ondulati, i sandali, che la stringeva e poi la baciava. Un uomo perduto nei flutti del tempo.

Ho immaginato il suo passato, le sue onde, i suoi vent’anni leggeri come la brezza di quel mattino di ottobre. La sua prima fuga a Capri con quel giovane che non c’è più, che forse diventò suo marito. E divise con lui il grigiore degli anni maturi, e poi il suo nero congedo. O forse no, quel giovane sparì insieme ai suoi vent’anni, fu un amore spezzato o sparito. Forse è la stessa cosa, sposarsi o sparire, quel giovane non è più quello in nessuno dei due casi. Ma quella mattina a Capri sorridevano e si sentivano stregati dalla magìa di quell’aura, legati in eterno – che poi dura un istante – dalla luminosa bellezza del luogo e dalla solare passione che li univa.

La piccola donna era lì a visitare il suo paradiso perduto, a portare un fiore alla vita. Pensò la vita che finisce lungo la bianca scia di uno scafo. La piccola donna estrasse dalla borsetta un fazzoletto. Lo tenne in mano come se volesse salutare una barca che non c’era. Poi lo accostò al naso senza soffiare. E riprese il suo lungo, immobile congedo dai tesori della sua vita, sporgendo ogni tanto la testa in basso come se fosse caduto là il suo passato, come un orecchino staccatosi dal suo lobo e finito nel goloso blu del mare.

La perla tornò all’ostrica nel cobalto lucente della memoria…

MV, Ritorno a sud (2

capri1



La quasi perfezione…

Quando il buio dona lucentezza ai difetti
Quando la pelle è percorsa da un brivido ghiacciato
Quando le lingue degli amanti leccano le anime impaurite
E l’adrenalina della notte sveglia i sensi
Quei sensi nascosti che implorano attenzione.. Evasione.
Quando un batter di ciglia riesce a toccare il cuore
Quando il sudore inebria i corpi di passione
E la mente riesce a mutare le paure
Padroneggiano le timide sensazioni
Le emozioni fioriscono
Leggiadramente
Si sfiora la perfezione.

(Emanuele Zarba)

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Le labbre conoscono il senso delle parole, si cercano per dire “ti amo”..

Tra le sue braccia io vivevo emozioni , che non conoscevo, le sue mani morbide, come seta, mi accarezzavano i capelli, il volto.   I suoi occhi continuavano a sorridere, percepivo una quiete grande, una dolcezza infinita in quegli occhi, che illuminavano il buio ,il mio cuore  martellava , non riuscivo a parlare, ascoltavo la sua voce che mi diceva cose senza senso per un uomo grande, che abbracciava una  ragazza e le proponeva una storia incredibile.Incredibile per me, che non capivo perchè volesse che io lo aspettassi, che  diventassi grande perchè potesse amarmi, insegnarmi ad amare. Cercava di rassicurarmi che non era un pazzo, ma che la sua era una scelta che aveva fatto,qualche giorno prima, incrociando il mio sguardo e mi proponeva di provarci. Quell’uomo non era uno sconosciuto, frequantava  i nostri stessi luoghi, era bellissimo, corteggiatissimo, poteva avere le donne che desiderava e  mi chiedeva di mettere alla prova il mio cuore, i miei sentimenti.   Incominciò a disegnarmi le labbra, sfiorandone i contorni, sorrideva ,quel gioco divertiva entrambi.
“Le labbra.. mi piacciono non solo perchè ci regalano i baci, ma perchè distinguono il senso delle parole. Dimmi “ti odio”, provai a ripetere quelle parole ,” vedi , nel pronunciarle, non si toccano, prova ora a dire il suo contrario” . Il gioco era iniziato,”ti amo” pronunciai e su quella “o” mi appoggiò un tenero bacio.
Non avevo ancora diciassette anni, da quella sera  non ci fu nessun altro..Tra le sue braccia io vivevo emozioni , che non conoscevo, le sue mani morbide, come seta, mi accarezzavano i capelli, il volto.   I suoi occhi continuavano a sorridere, percepivo una quiete grande, una dolcezza infinita in quegli occhi, che illuminavano il buio ,il mio cuore  martellava , non riuscivo a parlare, ascoltavo la sua voce che mi diceva cose senza senso per un uomo grande, che abbracciava una  ragazza e le proponeva una storia incredibile.Incredibile per me, che non capivo perchè volesse che io lo aspettassi, che  diventassi grande perchè potesse amarmi, insegnarmi ad amare. Cercava di rassicurarmi che non era un pazzo, ma che la sua era una scelta che aveva fatto,qualche giorno prima, incrociando il mio sguardo e mi proponeva di provarci. Quell’uomo non era uno sconosciuto, frequantava  i nostri stessi luoghi, era bellissimo, corteggiatissimo, poteva avere le donne che desiderava e  mi chiedeva di mettere alla prova il mio cuore, i miei sentimenti.   Incominciò a disegnarmi le labbra, sfiorandone i contorni, sorrideva ,quel gioco divertiva entrambi.
“Le labbra.. mi piacciono non solo perchè ci regalano i baci, ma perchè distinguono il senso delle parole. Dimmi “ti odio”, provai a ripetere quelle parole ,” vedi , nel pronunciarle, non si toccano, prova ora a dire il suo contrario” . Il gioco era iniziato,”ti amo” pronunciai e su quella “o” mi appoggiò un tenero bacio.
Non avevo ancora diciassette anni, da quella sera  non ci fu nessun altro..

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Non ci si abitua mai…

 

Può essere lontano da me
ma niente più me lo porterà via.
Nessuno potrà prendersi i miei ricordi,
la sua risata che mi risuona nelle orecchie,
il suo sorriso dolce e intrigante ,
l’immagine  che appare velocemente nella mia mente
e il calore della sua mano che prende la mia,
le sue braccia che mi  stringono fino a togliermi il respiro
.Niente e nessuno più come lui.
Non ci si abitua all’assenza delle persone che si amano.
Si impara a sopravvivere, ma è un’altra cosa.

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