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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Vecchio Paz

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

Cuor di Carogna

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Diario di una gravida

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cari Voi che mi avete seguito fin qua

Post n°459 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da sara_1971

Non posso che parlare bene di questi diciotto mesi trascorsi a navigare in questi lidi. Non so tenere una contabilità precisa dei ricordi però il computo perfetto di quelli che terrò con me per sempre mi riesce facile, anche se gravato da un peso giusto all’altezza del petto. Io vorrei ringraziarvi tutti, uno ad uno e, se solo potessi, lo farei personalmente.


Quando sono approdata in questi mari non avevo ben presente cosa fare della mia vita (nemmeno adesso, per carità) ma l’unica boa che mi ha tenuto a galla è stato, strano a dirsi, il mio stesso scrivere. Non che non lo facessi anche prima, anzi, però dopo questo quotidiano concionare è diventato l’unico mezzo per portare ordine nelle cose, nei cocci soprattutto. Siffatto frivolo blog è nato, sarò sincera, da un grande dolore ed ha partorito una Creatura afflitta. Se è certo che alcune sofferenze non vi abbandonano e non vi abbandoneranno mai, è pur vero che lanciarsi in un’impresa improbabile, faticosa e, volendo, priva di alcun senso - ed essere così ostinati da portarla avanti fino in fondo e a dispetto di tutto e tutti - può darti l’illusione del riscatto. Che meraviglia la sensazione di avere ancora qualche fiches da puntare, che fiera ed incontenibile gioia c’è nell’illusione che promesse mai pronunciate possano, comunque, essere mantenute, che diletto far tornare in vita la musica che sta dietro le note di cui si conserva con gelosia il suono. L’amore è un sentimento strano: a volte ci fa dono di cose immortali, altre volte non riesce a muovere nell’altro una sola fibra. Forse quelli di cui discettiamo appassionatamente sono solo miraggi o, viceversa, chissà, è preferibile credere nelle proprie chimere anche se sono destinate a soccombere: rifiutarsi di cercare un senso nella sofferenza o smarrirlo a fronte di una strenua ricerca di significato non è una scelta facile. Ma in cotanta sofferenza, e in tutta questa polvere, la stessa – mi illudo – di cui parlava Shakespeare, c’è un punto oltre il quale il rimpianto che porto dentro riesce a stemperarsi ed è l’attimo in cui la mia partecipata solidarietà riesce affannosamente a raggiungere chi si trova costretto a fare appello a tutte le sue forze per affrontare una perdita. Di solito c’è infinita umanità in colui il quale è rimasto solo, molta più di quella di cui ama fregiarsi chi, buon per lui, questo grosso dolore non l’ha mai provato. Sappiate, però, che difficilmente è lecito sapere su che strada possa incamminarsi  tutta questa compassione. Ritengo giusta l’idea che concepire la sventura di un individuo come miseria umana a volte renda possibile superarla, ritengo sbagliato credere che la serenità venga necessariamente nella forma in cui ciascuno se la aspetta: le proprie case non possono essere tabernacoli in cui rinchiudere immaginette sacre, i propri davanzali non devono servire ad appendere gli stendardi, ed è per questo necessario essere aperti ad ogni possibilità. Per coloro i quali non hanno compreso tutto questo, bisogna attendere che gli avvenimenti della vita vengano ad istruirli. O a giustiziarli, a seconda della percentuale di rancore presente nella propria personale aspettativa di esistenza.


Detto questo, sperando di aver soddisfatto le aspettative sociali dei migliori attivisti pacifisti, vi saluto con l’affetto che si riserva agli amici.


Come pesce nell’acqua, talpa sotto terra, uccello nell’aria e salamandra, così si dice, nel fuoco, ogni creatura deve trovare il proprio posto: il mio, evidentemente, è custodito all’interno di un destino di perplessità.


Cosa resterà, in mezzo a tutte le cose silenziose della notte, non so: forse il fascino delle opere incompiute o la potenza del destino di fronte alla quale sembrerebbe non si possa far altro che abbandonarsi. D’altra parte siamo in un mondo che fa guerre in nome di un Dio al quale personalmente io non sono mai riuscita a credere. Certo è che ciò che è stato ed ancora c’è dietro ogni mia parola è esattamente quello di cui scrisse, tanti anni fa, Andrea Pazienza. Ve lo dedico, con tutto l’amore che posso.


 


 


Cari Voi che mi avete seguito sin qui. Così finisce l'ultima puntata di Pompeo e, presumo, anche un lungo capitolo della mia vita. Questi s'era aperto fumettisticamente nel settantasette con Pentothal  e, tra alti e bassi chiude adesso, nove anni dopo. Anni che, come si dice, sono "volati". In questi anni ho scoperto diverse cosucce. Intanto di non essere un genio. Perché sì, lo confesso, da ragazzo ci speravo. Invece no, sono un fesso qualsiasi. Però, c'è sempre un però, è vero, sono un disegnatore eclettico. Un disegnatore ecletto-sfaticato. Poi ho scoperto di non essere attendibile, e di non essere tante altre cose, deficienze a volte gravi delle quali chiedo a qualcuno di perdonarmi. [...] Ora che vivo in campagna come un cretino non sono più depresso e quindi saluto volentieri gli amici che mi rimangono qua e là nelle città. Le amiche soprattutto. Di me, volendo, si può dire tutto il male che si vuole, però tante di quelle cose non sono vere. Capisco viceversa la delusione di qualcuno quando si é accorto che il fumettaro per cui tifava altri non era che il fesso di cui sopra. Ora, naturalmente, che sono fesso me lo posso dire io da solo, perché sono sempre in grado di stracciare il novanta per cento dei vostri. Però (di però ce ne possono essere i pacchi), non ho mai pensato al soldo, mentre disegnavo, casomai subito prima, o subito dopo, mai durante. Voglio dire che alla fine ho sempre fatto quel che ho voluto, senza badare acché 'ste cose si potessero rivendere... Ora che vivo in campagna i ragazzi di qui mi chiamano "vecchio paz" e, faccio per dire, ho ventinove anni...

 
 
 
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