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Sara
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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Recensioni - Compleanno
Post n°203 pubblicato il 05 Febbraio 2008 da sara_1971
Ovvero il lavoro teatrale di Enzo Moscato in memoria di quel Annibale Ruccello, voce straordinaria del nuovo teatro napoletano che ha segnato con i suoi scritti la Napoli emarginata e scomparso troppo presto a soli 30 anni. Parlare di Compleanno dicono sia difficile. Vuoi per quel inafferrabile miscuglio dialettico che si avviluppa al tedesco, all'inglese e al francese per poi tornare irrimediabilmente al napoletano, vuoi per gli impagabili giochi verbali che diventano il simbolo del pudore di una umanità stralunata, disperata e travestita che riempie via via il palcoscenico. Una affabulazione vorticosa, un idioma furibondo che ruota tra sorci, matte, bambine, madame, clienti e vicende inenarrabili collocate in un altrove che si può incarnare o rappresentare solo con gli astratti suoni delle parole. Uno strepitoso dialogo tra fantasmi che portano una assenza appesa al cuore, tutti invisibili ma tutti presenti a questa festa di compleanno, tutti accasati insieme nel medesimo istante, tutti senza futuro intorno ad una tavola riccamente drappeggiata che porta in bella mostra le cinque rose di Jennifer (citazione di un celebre testo di Ruccello) abbandonate accanto a una bottiglia di spumante di poco prezzo. Moscato appare sul palcoscenico con una vestaglia orlata di rosso, portando in mano una torta di compleanno con trenta candeline accese, per iniziare una lunga confessione di fronte a una poltrona rimasta vuota. Il palcoscenico si trasforma in un luogo mortuario dove i personaggi si palesano rischiarati da luci di taglio e dove il dialogo diventa carnale delirio autobiografico che a tratti sconfina nella follia pur di varcare i confini angusti dell'assolo e farsi finalmente protagonista. Un lebbroso messia che procede in una narrazione senza direzione cercando un motivo per stare al mondo, o almeno una buona ragione, una malasperanza che dia ordine al dolore: ogni ricordo, per continuare a vivere, ha bisogno di uno spazio profondamente autobiografico. Non facile ma da non perdere. La recensione più appropriata di quest’opera resta però quella che ha scritto lui, Moscato: Volutamente io non metto un confine, non dico «questo è suo, questo è mio»; si intuisce, più o meno, il gioco delle voci, le mie, le sue, ma anche quelle di altre figure che appartenevano al nostro immaginario, alle nostre vite. Compleanno è il tentativo di restituire qualcuno scomparso troppo presto, attraverso l’esistenza di un altro, che in qualche modo è tenuto a testimoniare di questa vita che non c’è più. |
Erba
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