Nonostante la reticenza del mio ego rispetto al mio alter, decido di concedermi un weekend di pace. Meta la maison dei parents ovvero la casa di campagna che solo apparentemente è anche mia, ma che nella sostanza è solo dei miei genitori.
Macchina carica di scartoffie lavorative, telo mare, abbronzante protezione – 20 (ho solo due giorni di sole, devo razionalizzare le mosse!), tartaruga nella sua scatola da viaggio, bene, si parte.
E’ venerdì, sera. Il tempo scorre piacevolmente. La mattina del sabato il tempo è ombrato, non invoglia ad andare al mare. Pazienza, sdraiata sulla amaca, in pineta, finisco di leggere Chourmo. Recupererò sole ed abbronzatura domani.
La pace invade la mente, ipotizzo una sosta prolungata, ma le ipotesi si infrangono sullo scoglio imperante del dovere (…essere presto altrove ed operativa). Squilla il cellulare. Messaggio: "Stasera veniamo dalle tue parti. A Castro c’è la cena medievale, perché non ci raggiungi?".
L’idea non mi alletta, però, poveri, tanti kilometri e non mi degno neanche di farmi vedere? Vada! Alle 20 o poco più, la mia Twingo color melanzana affronta, prudentemente spedita, le curve della litoranea in direzione Castro. Arrivo in poco tempo. Mi ci vorranno, invece solo 1h e 43 min. per trovare parcheggio. Recuperare la macchina sarà semplice: è sotto l’insegna fluorescente del ristorante Panoramico, accanto al maxi manifesto inneggiante alla prossima, “imperdibile”, sagra della cozza (18 agosto per chi fosse interessato)!
Intanto, giusto per comprendere se dirigermi verso il basso, porto, o verso l’alto, castello (Bergamo ci fa un baffo. Tsè!), chiedo ad una coppia di oriundi:”Scusate, per la cena medievale?”, lei si gira verso il marito, lui mi guarda e dopo un attimo di perplessità ed una poderosa grattata di pancia: “Cène? Nu ne sapimu nènzi! Ma se mància?”… Il tentativo di richiesta si ripete, ma la risposta è pressoché analoga, sebbene l’apparente eterogeneità delle fonti interrogate…
Decido di prendere la strada sotto i piedi. Se è cena medievale, penso, sarà al castello. Non ho dimestichezza dei vicoli di Castro, ma le scarpe sono comode ed il passo svelto. Mi metto a camminare celermente. L’abbagliare ripetitivo di ogni macchina che mi incrocia e il diradarsi delle case intorno a me, mi fa comprendere (ad un km e mezzo dall’inizio della mia marcia), che sono sulla strada interna per Santa Cesarea.
Tra castime e rigurgiti di una cena sempre più aleatoria, ritorno sui miei passi. Intanto gli amici mandano sms: ”Noi siamo al castello. Qui non c’è traccia di cena. Scendiamo al porto. Ci si vede lì.”. La sostanza è che devo scendere una ripida e trafficata discesa fino ad arrivare al traguardo.
Arrivo, degli amici nessuna traccia, ma (mi illumino d’immenso intermittente!): vedo dei tavoli. Scrivo sms:”Sono al porto. Di fronte al palco. C’è la cena!”. Pochi minuti di orientamento bastano per inviare una rettifica:”Sono al porto. Di fronte al palchetto. La cena non è medievale, bensì degustazione contemporanea di Sapori di mare, generosamente offerti dalla cooperativa pescatori locali.”. Ovviamente di generoso c’è solo il profumo – fin troppo inflazionato di questi tempi – della frittura di pesce.
Gli amici, intanto, tardano ad arrivare. Inizio a credere che il castello di cui parlavano nell’sms fosse quello di Aci (-Castello) e che, nel mentre, si stiano dando una rilettura de I Malavoglia sì da notare analogie e differenze con la cooperativa di pescatori di Castro. In questo frangente ho il tempo di affinare osservazione ed udito per cui, alla mia vista si apre lo scenario delle feste rionali: vecchie che smangiucchiano noccioline sputando gusci in un impegnativo slalom tra i pochi denti rimasti e gli spazi vuoti. Coppie di mezza età pronte a scattare al primo accordo di fox-trot, onde testimoniare che hanno assistito ad ogni puntata di Ballando con le Stelle, premurandosi di acquistare copia in edicola dei balli più noti; bambini in sovrappeso evidente che sollazzano il loro ventre tra un tavolo e l’altro dove la Sacra Famiglia riunita – tutta della medesima stazza – si compiace della crescita (larga) del pargolo; fanciullette che puntano il microfono sul palco fino al momento in cui, impossessatesene, danno prova di essere pronte per la nuova edizione di Ti lascio una canzone… I primi cinque minuti mi vedono già provata. Frugo nella borsa alla ricerca nervosa di una sigaretta. Degli amici nemmeno l’ombra. La sigaretta la trovo, l’accendino è scarico. A Castro o non fuma nessuno, o hanno imparato troppo bene la lezione del “non dare retta agli sconosciuti!”. Resto senza sigaretta. Proprio quando le mie membra iniziano a cedere (mentre in sottofondo parte il WAKA-WAKA, sia maledetta Shakira ed i mondiali in Africa!) arrivano gli amici: deo gratias! La speranza è che vogliano portarmi via da lì, però, interessati al folklore locale, decidono di fare il giro delle bancarelle […]. Vedo nell’ordine, lavandini con pomelli in ottone accanto a Tagliatutto: carote, sedano, patata, ortaggi… in grandezze variabili!; dimostrazione di creme solari di un’erboristeria, la cui erborista spalma su malcapitati stinchi di passanti la nuova e rivoluzionaria crema solare all’aglio. Infine, una “bancarella house” (unz-unz-unz) i cui decibel alti non giustificano la dimostrazione del prodotto: elicotteri telecomandati. Prima prova: fallita. Caput definitivo di un eliccotterino.
La fame degli amici è direttamente proporzionale alla mia crescente inappetenza. Ci fermiamo ad una pizzeria turistica. Ordino una Margherita. 4euro di plastica calda. Sempre più sconfortata anelo al termine della serata, ma: guarda che culo!, il trenino turistico! “Lo facciamo?”…NO! ... “Certo! Perché no, se vi va…”.
Il trenino, 2 euro per un giro di nulla, accompagna i viaggiatori con un cd del vecchio Vasco Rossi. Siamo nell’ultimo vagoncino: pessima idea. Ragazzi del posto, utilizzando il mezzo di locomozione per tornare alle case “in alto”, sbronzi come spugne di alcool puro, si siedono accanto a noi intonando a squarciagola (per tre quarti del tragitto) CON TUTTE QUELLE TUTTE QUELLE BOLLICINEEEEEE ! Ho chiesto a Dio di cogliermi in quel momento come un fiorellino di campo calpestato dalla vita… Nulla. I ragazzi arrivano (alle loro straminchia di case… ehm…) a destinazione, il trenino comincia la discesa verso il porto… La strada inizia ad essere accidentata, molto accidentata. Una buca secca mi è fatale. Sento la botta come una frustata alla schiena, all’altezza del “sopragluteo destro”. Incasso con sobrietà temendo il peggio. Scendo dal trenino altamente destabilizzata rispetto ai perché della vita e desiderosa di un bicchiere d’acqua. Il tempo di entrare nel bar ed uscire ed il trenino è sparito: per sempre = salita a piedi fino alla macchina. Saluto gli amici con tutta la cordialità non acida possibile. Riesco persino a ringraziarli della bella serata e li invito e ritornare presto. Il mio fegato ribolle bestemmie in swahili. Alla fine della salita la mia schiena è in fiamme, ritrovo la macchina tra l’insegna e la sagra della cozza. Arranco verso il letto alle 3.07 di notte.
La mattina dopo la schiena mi impedisce movimenti celeri, blocco che dura per l’intera giornata blandamente sedato da OKI e VOLTAREN. Il mare è un'immagine nitida che scorgo dal letto. Lunedì si ricomincia a lavorare.
Davvero un bel weekend.
["#!!!/*∫""/^^.|\à#§] testo non traducibile per abecedario di signorilità.
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