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Sara
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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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L'Undicesimo Comandamento II parte
Post n°715 pubblicato il 15 Dicembre 2010 da sara_1971
Per poter vivere libero e felicemente devi sacrificare la noia. Non sempre è un facile sacrificio.
L’arrivo ad Ancona_City non è certo dei più entusiasmanti. Dopo aver passato il viaggio a rinfacciarci reciprocamente le varie mancanze di tatto nei confronti l’uno dell’altro e dopo esserci scambiati insulti a raffica il cartello d’uscita si presenta come un atto liberatorio. Si esce e dopo aver girovagato senza meta per due ore si raggiunge un posto non ben definito dove si alloggerà per gli infiniti 5 giorni successivi. La novella Bonnie ed il suo Clyde prendono possesso dei loro rispettivi alloggi, scaricano i bagagli e si rincontrano nella Hall per prendere contattare i loschi figuri amici del furfante barese, principale di Sara. Ue siamo arrivati - squittisce (come un topo di fogna) lei ed in risposta riceve un Bene, ci si vede tra un po’ il Dottore provvederà ad illustrarvi tutto, nel mentre bevetevi qualcosa… Il Dottore ??? Faccio io … e chi è costui? Che ne so e smettila di farmi domande stupide, ne so quanto te! La descrizione del Dottore ve la risparmio: vi dico solo che si presenta con un chi è il ragazzino? Devi venire giù con me a caricare i sacchi perché oggi gli uomini non ci sono (lo sapevo, maledetta, lo sapevo). Seguiamo il Dottore fino ad un casolare appartato dove il ragazzino (CIOE’ IO) viene ridotto in schiavitù e costretto a trascinare sacchi e casse senza che i due mentecatti (Sara e il Dottore) allunghino non dico una mano ma anche solo la lingua. Terminato il lavoretto da nulla (metafora usata da Sara per definire l’immane fatica a cui vengo costretto) ci congediamo e torniamo all’ Hotel: svengo sotto la doccia bollente, finché il cellulare inizia a squillare imperioso. Lei (tutta allegra): Ciao sono io, Sara. Io (imbufalito): Non avevo dubbi. Che vuoi? Lei (soave): Prenota da qualche parte, ho fame: cerca un giapponese però eh! Io (con la rabbia di Kunta Kunte): Certo mia signora. Mi può lasciare le scarpe sulla porta affinché io provveda a lucidarle? Serve altro? Io (insofferente): No! Muoviti. Ma quanto ci metti a farti la doccia? Sei peggio di una fighetta. La prossima volta non ti porto più. Tacci sua, del Dottore, del proprietario del ristorante, del blog, di facebook etc etc etc. Al tavolo regna il silenzio assoluto tra noi: diciamo che ci prendiamo una tregua (stile arabi-israeliani) solo per rimetterci in forze e scannarci poi a stomaco pieno. I giorni si susseguono tutti (purtroppo) uguali: si fa colazione, si aspetta una chiamata e si va a faticare in posti isolati trascinando casse da un camion all’altro senza far domande e soprattutto senza pausa pranzo. Finalmente arriva l’ora X: di notte, sotto la pioggia, scavalchiamo un cancello (un’idea geniale di Sara: sicuramente l’ingresso è sbarrato, non fare tante mosse, cos’è? Hai paura? Non ce la fai? E sì che sei giovane) e ci si presenta una discesa. Discesa è un eufemismo: volendo essere esatti si tratta di un dirupo scosceso. Sara si butta per il crinale senza colpo ferire (se la fa tutta in scivolata con il suo posteriore però vabbè lei può contare su un bel pezzo di posteriore) e arrivata in fondo alla scarpata mi esorta con i suoi soliti modi garbati (Ou, ma ti decidi? Aspetti la funivia? Metti un piede dietro l’altro e datti una mossa). Io inizio la discesa con prudenza ma mi impantano nel fango traditore e, con leggiadria, mi ribalto. Arrivo a valle strisciando di muso per terra, imprecando contro quell’attimo di distrazione che mesi fa mi ha fatto cliccare per la prima volta su Scarogne. Intanto Miss Sara sghignazza a pieni polmoni. Attraversiamo il campo di un contadino e lei finalmente si dimostra utile socializzando con un branco di cani randagi (già mi vedo sbranato dalle belve ma devo ammettere che lei, almeno in questo, ci sa fare. Evidentemente tra fiere ci si intende). Il Dottore ci aspetta in un casolare. Appena mi vede (ricoperto di fango e graffi) esclama: Ma siete scemi? Ma non potevate aprire il cancello? A questo punto (giurando a me stesso di non accompagnare MAI PIU’ la maledetta) rifaccio la strada al contrario (inerpicandomi per la scarpata dove ricado, ma era scontato) porto giù il camion, carico tutto a mi infilo in autostrada destinazione Bari. La mia prima (e unica) frase proferita nel viaggio è: Adesso ti riporto a casa, mi accompagni in stazione e per un mese non ti fai più sentire: E’ CHIARO? Ma già lo so che è una bugia, perché il ritrovarsi dopo momenti o esistenze, è certo per coloro che sono amici (ed è questo che più mi fa paura)
N.B. Ogni riferimento a persone, cose o fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente reale.
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Erba
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