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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Vecchio Paz

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

Cuor di Carogna

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Diario di una gravida

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Parte III

Post n°556 pubblicato il 21 Agosto 2009 da erba_in_ferie

(Tempi bui)

 

Devono aver letto qualche mio post. Posso partire, hanno risolto tutti i problemi relativi al mio caso.  Anziché limitarmi a ringraziare e a prendere la mia carta di imbarco, preferisco rendere edotti gli astanti sulla mia concezione del caso. Sproloquio sul mio impegno di lavoro dell'indomani, sul fatto che la farfallina a me gemellata in Brasile forse era stata distratta da un calabrone calvo, sul fatto che ho sempre un cerotto in borsa tranne quando mi taglio accidentalmente con la carta, che ho un file pieno di password ma non il pc con me se devo usarle... Non mi congedo con una frase laconica: Sapete, la persona previdente è più spiazzata di quella sciatta in  caso di difficoltà, ma superato lo stordimento iniziale si scopre il brivido dell'imprevisto, dell'ignoto e  il fascino della creatività. Prendeteli a sassate i rituali, calpestateli, umiliateli, certi del fatto che alla prima occasione si vendicheranno, bensì aggiungo: Potreste ispezionare il mio bagaglio? Dichiaro che contiene liquidi pericolosi, ma lamentabilmente non posso mostrarveli: al momento non ricordo la combinazione. Potreste rompere, per favore, la mia valigia? Lo sguardo di compatimento riservatomi dagli agenti mi ha ricordato i tanti rivolti al mio indirizzo dai miei genitori quando tentavo di arrampicarmi sugli specchi per giustificare i miei atti scellerati commessi per proteggere Sara. Insomma: il volo va bene e lo trascorro riempiendo pagine intere della Moleskine segnando le cose indispensabili da comprare appena atterrata.

Arrivata a destinazione mi aspetta un taxi orgiastico e ho modo di socializzare con un paio di giovani che parlano la mia lingua madre. Dato che trascorreremo almeno trenta minuti nello stesso abitacolo, pensano bene di provare tutte le combinazioni possibili (nonostante le apparenze in numero finito) pur di evitare di continuare ad ascoltare i miei lamenti e, aggiungo malignamente, anche perché probabilmente temevano di dovermi accompagnare nello shopping sfrenato cui mi sarei lasciata andare prima di raggiungere l'albergo. Con somma sorpresa di tutti, tassista incluso, la combinazione non era cambiata: più prosaicamente non avevo esercitato la pressione richiesta su due bottoncini. Gran finale: apro avidamente la Samsonite non appena varcata la soglia della mia stanza, ansiosa di riabbracciare le mie t-shirt e i miei jeans, e scopro, ma questo ve l'ho già raccontato, che il tonico di cui mi inondo frequentemente, si è sapientemente sparso in modo uniforme tra le pieghe dei miei abiti.

Dulcis in fundo, come si dice. Le cose, perché devo dire, si sono messe bene. Il lavoro vola, la fantasia pure. Ogni tanto allontanarsi da luoghi e persone è salutare, rigenera. Sappiamo tutti che entrare è più facile che uscire, salire su un albero o su una montagna non è complicato come scendere, ergo riempire una valigia non è come rifarla prima di partire. Alla tristezza per la fine di una permanenza, che nel bene o nel male è pur sempre una occasione di crescita interiore (sparare cazzate a certe ore mi è congeniale), si aggiunge la disfatta degli abiti usati, di quelli inutilizzati, stropicciati, dei souvenir che a ben guardarli non servono a nulla, ma che ci sono piaciuti tanto poche ore prima al punto da spendere capitali in artigianato locale. Ebbene, di chiudersi non ne vuole sapere, neppure con me sopra che mi dimeno ritmicamente bestemmiando mantra noti a chiunque abbia guidato nel centro di Bari. Non si chiude, non ce la fa. Sudo. Mi rilasso, faccio un giro per la stanza, aggiusto il rimmel. Ci riprovo. Guardo la valigia nei suoi occhi di metallo freddo e tento di sedurla. Ci sta, docilmente si china al mio volere. Sembra che abbia finalmente deposto le armi. Inizio a sentire trionfare nelle mie vene il sapore della vittoria. Ancora uno sforzo. Fatto. Oh Cristo! Quasi rida di me, appena terminato il perimetro inizia l'apertura in senso contrario. Ora come farò? La sola soluzione plausibile mi sembra quella di chiedere un bustone alla reception, avvolgerla e provare a tornare a Bari. E dire che pochi giorni prima, la maledetta, non voleva saperne di aprirsi!

Va bene, va bene. Termino di gastemare, mi ricompongo, appiccico un finto sorriso alle labbra e mi rivolgo al piacente uomo in abito scuro che mi ha vista tornare barcollando la sera prima.

  • Ha una big very big bag?
  • Signora, se non sono inopportuno, posso chiederle a cosa le serve?
  • A occultare un cadavere...

 

Finge di gradire. Spiego con concitazione il mio problema. Sorride. Chiede si salire nella mia stanza. Ou! La cosa si mette bene. E dai, scherzo! Mi fa notare che si è solo slabbrata, o insomma come si dice. Con mano sapiente (Erba, smettila!) provvede a restituirmi il sarcofago e il sorriso. Insomma, aereo permettendo, la Samsonite tornerà con me.

 
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