S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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« Dipartire con nonchalance. | Io vorrei... non vorrei.... » |
Quante volte ho temuto di diventare un uccello destinato a migrare! Quali (e quanti) pensieri farei in volo? Eppure altrettante ho pensato che bisognerebbe viaggiare in modo perpetuo per poter essere un romanziere. Viaggiare, sperimentare. Svegliarsi sazi dei sogni della notte, del giorno precedente e della pienezza di quello a venire. Conoscere almeno una frazione del reale meno trascurabile di quella comunemente concessa (che noi ostentatamente definiamo vita). Inchiodati nel giardino di Eugénie Grandet difficilmente vedremo qualcosa degna di essere raccontata. La Duras ha vissuto il dolore per poterlo così seccamente narrare. Meglio non scrivere, allora, direte voi o - se possibile – restare comodamente a casa, come Emily. (Eh già, ma scenari sconfinati possono aprirsi anche tra quattro mura e dolori altrettanto penetranti conficcarsi nel nostro petto.) Sì, forse occorre un animo dotato di profondi, tortuosi solchi per essere scrittore. O possedere una fantasia scatenata, come Salgari, e credere che un micio sia una tigre. Sia come sia, è doveroso provare almeno a cambiare stanza, prospettiva, ora del giorno, sì che possa cambiare colore il proprio quaderno. Una come me, impressionata dall'ideale dell'ostrica – lo ammetto - deve essere costretta dagli eventi a non ripetere i propri gesti. La ripetizione mi conforta, mi culla, mi stupisce, come credo accada ai bimbi desiderosi di ascoltare alla stessa ora la stessa favola. Difficilmente scosto le tende e trovo il tempo per ammirare il tramonto o cercare la luna, mi limito a guardare.
E allora, che vacanza sia. Senza connessione, senza acari di mia pertinenza, senza richiami persistenti (del lavoro, di Sara, ...). Se sarò fortunata sbaglierò strada e mi si parerà davanti un monte imponente: scalare o aggirare. Il primo passo per iniziare un viaggio è decidere di farlo. Prima che mi travolga il successo atteso per dicembre, ho saggiato il piacere di una vacanza a rischio, dove insomma le infradito possono anche abbinarsi a bikini e bandana, ma nessuno se ne accorge. Non sai mai: tra un anno potrei partecipare all' Isola dei famosi. Anche la mia sodale dovrà ammettere di essere impressionata dalle mie imprese. La meta è una delle svariate isole del mediterraneo, ben lontana dalla Sardegna. Mi piace la gente isolana: è orgogliosa, permalosa, fiera.
Senza ulteriori indugi passo alla descrizione di qualche momento delle mie ferie.
Dopo ore di cammino sotto un sole inclemente, incurante degli sguardi da gatto con gli stivali di Shrek rivolti al mio indirizzo dai miei pargoli, coadiuvata da mitiche scarpette antiscivolo e da uno zainetto contenente ogni tipo di stick anti-puntura, svariate salviette profumate e la mia pen-drive (dato che prima di tutto sono una blogger), ho visto un mulo camminare al mio fianco. Usando un efficace mix di idiomi a me noti, ho chiesto al suo compagno di viaggio umano se fosse possibile affittarlo per un paio di kilometri almeno. La laconica risposta è stata: “Signora, questa è un'ambulanza, e lei non sta abbastanza male.” La consapevolezza della precarietà del concetto di normalità e di civiltà mi ha sospinta verso la meta e così, dopo aver avidamente bevuto una parvenza di caffè freddo e aver indugiato a lungo sotto la doccia spartana in dotazione, ho deciso di seguire il consiglio della mia ospite e di partecipare a una festa di paese.
(continua...)
Erba
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