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Sara
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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Per la prima volta dal giorno dell’apertura di questo blog non ci sono arrivati tristi e libidinosi messaggi privati ma una piacevole e saporita recensione… ou, quasi quasi Genova mi diventa simpatica così…
Il “2x1” funziona sempre, anche a teatro - specie con chi, come me, è da sempre attento alle offerte-convenienza. L’iniziativa del Teatro della Tosse di Genova è semplice: due grandi interpreti, due grandi monologhi, un unico biglietto. Ma da consumare nella stessa sera. Il programma è: “Amleto”, a cui seguirà: “Amleto”. Il piatto è forte, ma sento che ce la posso fare: mi conforta il fatto che ad aprire le danze sia l’immenso Roberto Herlitzka. Poi toccherà a Michele Sinisi da Andria, per me fino a quel momento del tutto sconosciuto. Sarà la più bella sorpresa della serata.
Mi presento ottimista di buon’ora alla biglietteria. Ma c’è subito una brutta notizia: Herlitzka ha l’influenza. Lo vengo a sapere da una signora in nero che parla al cellulare fuori dal teatro “Il Maestro è febbricitante!...Eh, lo so!...Vediamo…vediamo!”. Preoccupato, voglio vedere anch’io. Faccio il biglietto ed entro nella Sala “Aldo Trionfo”. Mi siedo; attorno a me un buon numero di ragazzi, presumibilmente allievi dello Stabile: dal volume delle loro voci pare che ci tengano molto a far sapere di essere a casa loro. Li guardo più eloquente che posso, quando si avvicinano due ragazze fortemente odorose di cipolla. Si fermano solo un momento e passano oltre.
Finalmente calano le luci, entra Herlitzka. Per avere l’influenza sembra in ottima forma. Meno male. Anche la signora in nero, adesso in prima fila, pare rincuorata. L’Amleto herlitzkiano (“Ex Amleto”) potrebbe sembrare una performance virtuosistica ed intellettuale. L’attore, quasi sempre seduto, con pochissimi oggetti attorno a sé (una spada, uno specchio, un teschio che non toccherà mai) pronuncia tutte e solamente le battute del principe danese (c’è un’eccezione a questa regola, e sono alcune battute di Gertrude, un intenso sottovoce a creare uno dei momenti di maggior pathos dello spettacolo). Ma si è trattato di qualcosa di più che di un banale pezzo di bravura: eliminati tutti i trombonismi, è una lieve ironia a condire le battute in tutta la prima parte, poi è il dolore crudo, la tragicità manifesta. E quel monologo? Semplice e nudo, l’”essere o non essere” arriva meglio. Herlitzka lo recita in piedi sulla sedia, solo un cono di luce purpurea ad illuminare il suo viso scavato. Per lo spettatore non è semplice seguire questo spettacolo (“ma a che punto siamo?...Qui sta parlando con Rosencrantz e Guildenstern…no, no, ha appena detto che sono morti. E Polonio? Sarà già morto, Polonio?”); verso la fine c’è un po’ di stanchezza, sono pur sempre quasi due ore di spettacolo, ma è un successo.
Per l’Amleto di Sinisi ci spostiamo nella Sala “Dino Campana”. “C’è il tempo di una sigaretta?”. “Sì, c’è”. Ma do un’occhiata al teatro e Sinisi è già sul palcoscenico. Via la sigaretta, mi affretto e mi metto a sedere. Più di tre quarti degli spettatori è deciso a tenere duro, e a vedere anche questo spettacolo. Le ragazze odorose sono decise a sedersi nella mia stessa fila, i ragazzi dello Stabile si sono fatti più tranquilli.
Sinisi si muove in maniera impercettibile sulla scena, fatta di sole sedie pieghevoli, sulle quali è scritto il nome di ognuno dei personaggi. Come se dovesse sistemarle, controllarle, le accarezza, le tocca appena. Mette a punto i personaggi.
Anche questo è uno strano principe. Il viso truccato in bianco come un clown, con addosso un costume cinquecentesco, l’attore sembra un bambino troppo cresciuto, costretto a ripetere per l’eternità le stesse azioni, a raccontare per sempre la stessa storia, in un’atmosfera vagamente malata e forse maniacale, pur nell’ironia di fondo. E’ una scelta perfetta, maturata in un’intensa attività laboratoriale in un istituto per malati mentali e in un carcere minorile. Sinisi interpreta tutti i personaggi, senza mai dimenticare la cosa più importante, e cioè che lui è un altro, ovvero non è tutti quei personaggi, li sta solamente facendo. E ce lo ricorda, ce lo ricorda di continuo con battute dette a mezza voce, con piccoli tic a volte esilaranti. Si ride, ma c’è spazio anche per immagini poeticissime (i fiori sulle sedie, nella tragedia finale), in questo spettacolo che è stato un’autentica scoperta. Molti applausi, tutti meritati.
Mi alzo e mi dirigo verso l’uscita. Do un’ultima occhiata alle fotografie alle pareti del foyer, poi esco.
Fuori, Genova è tutta un silenzio.
je_est_un_autre
Erba
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