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Sara
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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Quando la fama di una pellicola viene accresciuta dalle speculazioni che le si riversano sopra ancor prima della sua uscita nelle sale, qualsiasi simpatica favoletta rischia di essere trasformata in baluardo, specie quando risulta magistralmente interpretata da volti simpaticamente appropriati.
La sceneggiatrice Diablo Cody, blogger con passato da spogliarellista e telefonista in un call center erotico, ha avuto la remunerativa intuizione di scrivere un film furbetto, intorno a un tema centrale, l’aborto, di cui non si parla se non di sbieco.
Pregevoli strisce a fumetti nascondono con astuzia la superficialità dei dialoghi (strepitosi solo per chi non frequenta il mondo dei blog) e hanno la inattesa capacità di catapultare la loro autrice sul palco a ritirare l’Oscar in un gaudente abito leopardato.
La protagonista, l'adolescente Juno MacGuff rimasta efferatamente incinta del suo compagno di classe, diventa così per i paladini dello zigote una ghiotta occasione su cui planare per dimostrare ancora una volta, casomai ce ne fosse bisogno, la loro talentuosa attitudine ad appropriarsi indebitamente degli altrui diritti.
E mi sembra giusto.
Ognuno in una pellicola è libero di riscontrare un po’ quello che preferisce.
Io per esempio nel telefono a forma di hamburger utilizzato da Juno ci vedo un appetitoso simbolo sessuale che caldeggia gli amori lesbici, tanto per fare un paragone consono alla prelibata diatriba che vede protagonisti gli adepti delle opposte fazioni.
Il risultato (Paramount) che ne consegue è che sia l’apparecchio telefonico che il film sono volati in cima alla lista dei gadget cinematografici di quest’anno.
D’altronde una gravidanza non voluta è sempre una bella responsabilità per lo spirito santo e la gestazione di un topolino quasi sempre partorisce un elefante campione di incassi.
Ma la questione è un’altra.
Juno è Diablo Cody, semplicemente.
Il suo acre umorismo, il carattere burbero e la lingua biforcuta. E’ lei. Lo sguardo selvatico da zecca da centro sociale mentre schiocca un tenero bacio alla statuetta dorata, il tatuaggio sull’omero revival di Bettie Page … Affascinante… commuove la tenace volontà della Diablo_gger di rimanere fedele a se stessa nonostante il successo fortunosamente raggiunto, forse perché è qualcosa di autentico di cui si riesce ad afferrare l’aroma al di là del battage pubblicitario o dello schermo, e che rimanda ineluttabilmente al desiderio mai sopito di voler mettere insieme i cocci della propria vita per dar loro finalmente un senso.
La sceneggiatura di Juno, i suoi dialoghi, vengono da lei, da tutta la sua vita scritta a partire dall’ultimo fotogramma, dall’affinità con gli sconfitti piuttosto che con i vittoriosi, da uno spirito leggero che ha una fame insaziabile di comprendere ed essere compreso.
La leggenda vuole che ogni scrittore che si rispetti abbia un ego incapace e smarrito, condannato a reincarnarsi in infinite rappresentazioni di se stesso per sfuggire all’inferno di chi si interroga troppo.
Si arriva a volte perplessi all’amara conclusione. Ma si arriva. Chiudendo il cerchio nello stesso maledetto punto da cui si era partiti.
Non c’è una norma.
Piacerebbe forse, conforterebbe anche, ma non c’è: la perfezione è ciò che si percepisce come più appropriato per se stesso. E’ questo il film, è questa Juno, è questo il guaio. Ma io spero sempre di sbagliarmi.
Erba
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