S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
AREA PERSONALE
Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Certe cose, si sa, avvengono solo di domenica. Anche quella domenica ero raggomitolata nel mio letto; a giudicare dal raggio di sole che illuminava il poster di fronte a me saranno state le undici. Non so più se a svegliarmi fu l'ultimo sogno o l'ultimo ricordo della sera precedente. Forse fu l'umido della sua lingua che insistentemente mi aveva leccata a stamparmi in faccia un sorriso amaro, quasi un ghigno: “Sì, vado via, vedrete che prima o poi andrò, lo farò”. Un rumore. Di quelli che penetrano nelle ossa. Il cuore ha un sussulto. O un tonfo. Non avevo più la forza di sperare che si trattasse del vento o del gatto. Avevo dato fondo alla mia ingenuità. Era una porta sbattuta, senza possibilità di appello. Sbattuta, maledizione. Mi alzo. Devo fare pipì e poi ho fame. Spero che qualcuno abbia comprato il latte. Finisco di fare colazione. Le urla hanno impedito loro di vedermi. Continuano. Mi chiudo in bagno. Alla radio si sforzano almeno di sembrare allegri. Cerco una cassetta. Andrà bene anche Sade. Mi guardo. Faccio le boccacce. Fingo di urlare anche io, così per vedere come so trasfigurarmi. Acqua. Anzi, no. If there were rock and also water... L'ho letto giovedì. Non ascolto più la musica, né le loro voci stridule. Mi immergo nell'acqua. Sto bene, portami via. Maga Maghella mi ha resa una bimba felice... Scorre, l'acqua scorre. Non mi interessa neppure il motivo del contendere. Il mio complesso di Elettra suona unplugged. Mi vesto e lo chiamo. Mi faccio portare via, lontano.
Dov'è il calore di ieri? Non mi dici “Sì, Amore, passo da te. Scendi. Al solito posto. Dieci minuti e ti abbraccio.” No. Ti ho svegliato. Povero amore. Sei stanco. “Cerca di ragionare. Capita a tutti. Si sa che i genitori sono bambini. Poi gli passa. Te ne pentiresti. Calmati, eh, poi ti chiamo.”
È evidente che lui non mi ami. Non capisce che esistono momenti in cui l'attesa o il silenzio o il dubbio causano fratture irreversibili? Fra me e lui. Fra me e loro. È altrettanto chiaro che sia lo strumento inconsapevole nelle mani di qualcuno più saggio: presto non sarà più di un nome scritto con il glitter sul mio diario, sul mio banco, nell'ascensore. E incontrerò altri che non sapranno amarmi o sapranno non amarmi. Altri che, improvvisamente, all'indomani della notte d'amore nella quale lascerò segni tangibili del mio passaggio nella loro carne e nel loro subconscio, non avranno tempo per me. Non sapranno accogliermi. Certo, lo farebbero se fossi diversa. Se sapessi darmi con parsimonia, con malizia, con discrezione. Non si invade il campo, facendo tabula rasa delle certezze altrui. Eh, no. Poi l'uomo si spaventa. Chi è questa donna, che sogno ogni notte, che mi comprende prima che parli, che mi ama nonostante i miei (tanti) difetti? Cara Mabel, quando voi non ci siete, per me non esistono tentazioni. Ciò mi fa dipendere da voi in maniera terribile.
Non si fa, altrimenti poi lui, che in fondo lotta tenacemente affinché il suo spiritello fragile non subisca scossoni, e quindi è al più disposto a scaricare auto e a eseguire la spesa settimanale, ti sposerebbe.
L'immagine riflessa allo specchio è la mia, quella che guarda sono io, quella che si sente osservata sono io, quella che vorrebbe essere altrove sono ancora io. So come ferire e come suscitare estasi. So anche nascondermi. Cercami.
Erba
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