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Sara
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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Se c’è una cosa con cui Sara si è impratichita in questi anni di forzata convivenza con Geghe e Jay, è quella di tornare all’ovile senza far caso al circostante. Che è un po’ come imparare a godersi il viaggio a prescindere dalla meta. O a cogliere l’attimo, volendo.
Nell’allegro Medioevo in cui mi ritrovo a vivere le serate estive si succedono placide: Sara si distrae facendo il trenino con una decina di ciotole in puro alluminio, Geghe non parla quasi mai, al massimo si gratta (e il fatto che contestualmente si grattino anche i cani non è precisamente un buon segno), Jay esterna una spossatezza estenuata da fine giornata che rimanda ai salotti dall’eleganza triste e sorpassata del buon tempo che fu.
A volte l’armonia di questo lieve struggimento viene interrotta dalla notifica di una ingiunzione di pagamento ma l’accidioso stupore che ne consegue è destinato a sciogliersi in pochi minuti con la languida grazia di un carillon (in ambiti diversi questo cosiddetto stupore verrebbe chiamato rassegnazione del tossico ma noi, si sa, seppur disadattati, siamo sempre molto creativi. Almeno a parole).
Jay, finito il periodo illegale, durante il quale si è sollazzato con coltivazioni proibite e ambigui saccaridi che ti fanno riconsiderare il concetto di colazione (uno pensa che siano leggende metropolitane, ma poi non guardi mai più i granelli di zucchero allo stesso modo) ha partecipato a tutte le campagne stagionali di tutte le possibili stagioni, dalle barbabietole ai pomodori, dall’uva alle pannocchie, dalla neve ai cocomeri. Con esiti incerti, per carità (rimane indelebile il ricordo di una intera domenica trascorsa ad asciugare con il phon le ciliegie funestate da una grandinata) ma con notevole dedizione. A questa agreste attività ne ha però affiancata un’altra, meno bucolica ma temo più redditizia, che gli ha dato grandi soddisfazioni, e che implica il commercio (poco equo e molto solidale) di oggettistica di diversa provenienza.
In poche parole Jay nella sua vita ha contrabbandato di tutto. Dal reperto necroscopico annegato in formalina alla zanna di tricheco, dalla reliquia di San Teodoro al feticcio tricologico di Berlusconi, che poi forse, pensandoci bene, questi ultimi due manufatti appartengono alla stessa sacra categoria.
(capisco solo adesso la paura degli italiani di essere invasi dagli stranieri: giustamente temono che non intendano appieno la nostra suburbana cultura illegale e facciano fatica ad adattarsi).
A queste pratiche di smercio non mi sono assuefatta, sarebbe più corretto dire che mi sono arresa. Più per salvaguardare la mia tranquillità interiore che per convinto disinteresse, anche se, a dire il vero, a guardare gli esseri umani che mi stanno intorno non vedo proprio cosa ci sia da tranquillizzarsi.
Perciò non mi sono stupita più di tanto quando, aprendo il cancello del civico 118, ho trovato un plotone di bonsai ad aspettarmi. E Jay che girava intorno a loro con uno sguardo famelico.
Credo siano una ventina. Alcuni in perfetta salute, altri impreziositi da un giallume malaticcio che potrebbe portarmi a sospettare che l’epatite possa trasmettersi anche ai vegetali.
Ciò che ho provato, guardandoli, non è propriamente l’estasi di Ilaria del Carretto ma mi conforta l’idea che questi trafugati arborei, perlomeno, si nutrano solo di acqua.
E che Jay sia troppo impegnato a seguire il loro corretto sviluppo radicale per andare a procacciarsi guai nettamente peggiori (credo che nemmeno il grillo di Pinocchio sia mai arrivato a cotanta consapevolezza). Perché io lo so come finirà. Finirà con qualcuno che ci aspetterà sotto casa con una mazza chiodata, portando finalmente a compimento la quadratura del cerchio.
Le serate estive si sono quindi arricchite di un nuovo ingrediente che accresce in maniera esponenziale il coefficiente di litigiosità di casa_1971e dà luogo a dialoghi innovativi.
Alcuni esempi:
Sara: Perché hai fatto entrare il bonsai? (per comodità di intesa in casa_1971 si discetta di cani, piante, dei loro parassiti o di Geghe usando le stesse identiche locuzioni).
Jay: Perché è malato, bisogna curarlo.
Sara: E con cosa lo vorresti curare? Con le compresse di Geghe?
Jay: Spiritosa. E’ concime in pillole. Con queste piante l’anno prossimo ci tirerò su mille euro. Devono solo passare l’inverno. E poi mi ringrazierai.
Sara: Cioè? Scusa, fammi capire. Oltre a 4 cani e al gatto hai intenzione di far stare sotto il termosifone anche 20 bonsai?
Jay: Solo 4 o 5. Non tutti.
Geghe: Ma non è che finisce male come con le piante della cantina?
Jay: Ma com’è che non capisci una mazza? Queste sono legali.
Ecco.
Ed è per siffatti motivi che avrei deciso di rivolgermi ad un analista junghiano: per parlare di traumi che, mi sono resa conto, tendo a rimuovere. Solo che vorrei invertire il trend e farmi pagare per raccontarli. O anche restare in silenzio, che forse è meglio.
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Erba
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