S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Esplodo, dicevo. Accade dopo la notte, tentativo andato perduto di sedare la mia frustrazione in viaggio. Il secondo mattino sveglia di buona lena, la mia deflagrazione è imminente, tutti la leggono sul mio viso ed infatti mi tengono a debita distanza. La legge soprattutto il mio amico storico che, apprensivo, temendo il botto (che sa poter essere deleterio per gli equilibri del gruppo da qui ai prossimi venti anni), mi segue in camera interrogandomi sul perché del mio volto truce.
Cerco di simulare preoccupazione per l’andamento del PIL e per la crescita esponenziale dell’unghia dell’alluce sinistro, ma (chissà perché) l’amico insiste per sapere il vero motivo. Non mi faccio pregare, al suo secondo accennato tentativo di approfondimento, vomito improperie sulla sua femme fatale e sui suoi modi che definisco discretamente “da scaricatrice di porto” (si sa, la schiettezza non è un mio problema!), sul loro stato di coppietta in giro per Berlino (invidia), sulla mia condizione di “badante da recupero”di un gruppo di quattro gay disorientati. L’amico fidato afferma sulle prime che sto esagerando. Mi invita a calmarmi (impresa ardua) e ad avere fiducia nell’andamento dei prossimi due giorni a Berlino. “Sii più collaborativa”, afferma, “proponi anche tu ed imponiti un po’”. Faccio notare che l’ho già fatto, ma l’annotazione cade nell’oblio.
Così, propositiva e fiduciosa, ammansita dall’amico fidato, mi riunisco al gruppo. Andrà meglio, ripeto a me stessa, a n d r à m e g l i o.
Illusa per la seconda volta! La pitbull non intende mollare la presa (del gruppo, della cartina, dell’amico fidato). Propongo di vedere: la mostra di arte contemporanea nel museo ex stazione ferroviaria; il cimitero e/o museo ebraico; la piazza dedicata a Marx ed Hegel; la Humboldt Universitaet; di andare a cena in un posto tipico tedesco e dopo cena di andare al Caffè Zapata (noto centro sociale berlinese). Il tutto (democratica) nel mezzo di esigenze diverse, lasciando anche agli altri spazio per dire la propria. Devo averne lasciato troppo di spazio perché le cose viste diventano: una noiosa quanto ovvia, quanto turistica mostra fotografica sull’olocausto (all’aperto e sotto sferzanti raffiche di vento gelido), un negozietto di seconda mano (la pitbull fremeva per entrarci: un’ora), la East Side Gallery (mostra di pittura contemporanea in costante working progress, composta da opere di artisti che dipingono su un tratto del muro di Berlino lasciato a loro disposizione. Interessante, ma con brio moderato. All’aperto=freddo) e, dulcis in fundo, il museo omosessuale. Ammetto, quando mi rendo conto che il tempo non basta per vedere anche solo una delle cose che avevo proposto e che il gruppo preferisce il museo omosessuale alla ex stazione ferroviaria ed a tutto ciò che Berlino offre, ho un mancamento fisico, cerco un negozio di sali onde evitare a. svenimento, b. omicidio. Inseguo nuovamente la fuga. L’amico fidato, tornato sui suoi passi e consapevole di quanto la mia analisi mattutina fosse stata obiettiva, manifesta cedimenti, ma non tali da allontanarsi dal resto dei folli. La pitbull resasi conto della nostra chiara intolleranza vicina all’abbandono della scialuppa ci convince che il giro nel museo “omo” sarà breve e che avremo tempo per vedere la stazione. Sentendomi un’idiota e pensando solo a non abbandonare l’amico fidato nelle mani di quel gruppo di dementi, entro con muso basso nel museo. Per almeno un’ altra ora e mezzo la mia vista è deliziata da foto di uomini in pose plastiche. L’offerta spazia da: coppie omosessuali in atteggiamenti osé, uomini travestiti, vestiti usati per travestimenti, iter storico di baci, abbracci e frivolezze gay, fino alla possibilità di visitare un appartamento di un avvocato (ora defunto, meno uno!) che aveva eletto la sua dimora a rifugio per non ben chiari scopi, ma pur sempre scopi omosessuali. La visita era ovviamente allietata da omosessuali, quelli “che portavamo in dono noi” (4), quelli che portavano in dono loro (non pervenuto il computo, ampio). All’uscita io perdo ufficialmente la parola, stato che permarrà fino al mio arrivo a Brindisi il 2. A quel punto la giornata culturale va a farsi benedire. I musei principali chiudono alle sei e non c’è più tempo per visitarne altri. All’amico fidato viene fatta la grande concessione di recarci al parco che tiene molto a vedere. Peccato che sia ormai buio pesto e quindi l’unica vera concessione, camminando per quelle stradine odor di bosco nel pieno di Berlino, sia quella di esporci tutti al rischio di stupro collettivo. Ultima speranza è salvare la cena. La pitbull inizia a dissentire, il gay inizia a cantare per la strada il ritornello della regina di cuori di Alice nel paese delle meraviglie (“la testa vi taglierò”), io muta, mi limito a ricordare con lo sguardo la mia iniziale proposta. Si arriva ad un compromesso: cena in casa e poi Caffè Zapata. La cena è lunga, la permanenza al caffè fulminea. Mentre mi perdo tra artisti in fase creativa, banchetti, foto, quadri, sano odore di cannabis, suoni e musica varia, lingua e mondi lontani dal mio, mentre per pochi minuti riscopro il piacere di stare a Berlino (e comincio ad adattarmi, zoccoleggiando allegramente qua e là), vengo immediatamente richiamata all’ordine. Il gay è in ansia (reale). Viene colto da una sorta di attacco di panico vedendo gente “libera”, che gli fuma intorno, che beve seduta su sgabellini o cuscini posti alla meglio e, non riuscendo a comprendere “la politica” del centro sociale, si accuccia ad un angolo sperando che noi decidiamo di ascoltare il suo lamento silenzioso e di andare via da lì il più presto possibile. Per quanto mi riguarda può anche collassare, ma, ovviamente, sono l’unica di questa idea. Tracanno la mia birra e usciamo da lì sull’orlo di una crisi di nervi dell’amico gay, che una volta fuori inizia una filippica sui centri sociali. Bestemmio senza più remore. Finiamo la serata al kebabbaro sotto casa che ormai ci regala dolcetti tanto siamo di famiglia. L’amico gay dice di aver bisogno di una dimensione conosciuta per riprendersi.
Il terzo e quarto giorno sono analoghi ai primi due. Le uniche annotazioni di rilievo sono che: mentre l’intera Berlino il 31 notte ci passa davanti mascherata andando verso una festa di Halloween in un altro noto centro sociale (otto piani di musica di ogni genere e gente nuova, odore di nuova cultura… etc… etc), pitbull e gay decidono di proseguire dritti e di infilarsi in un angusto e buio negozio dove sono in atto i festeggiamenti di compleanno di un designer (gay, ma va?) isterico.
L’ultimo giorno lo perdiamo a spasso per un mercatino delle pulci - che nulla aveva di più di un mercato nostrano se non la grandezza - e in una corsa sfrenata per vedere i pochi musei che in quel tempo residuo si potevano ormai visitare.
Null’altro so e null’altro ricordo, se non la litigata finale tra amico fidato e pitbull e rientro in patria con pitbull inizialmente piangente a dirotto e dopo poco sorridente e scherzosa con l’amico gay.
Davvero bella Berlino.
P.S.: Considerazioni finali: 1. Devo imparare a viaggiare da sola o solo con l’amico fidato. 2. Nella malaugurata ipotesi che riaccada qualcosa di simile, devo imparare a distaccarmi dal gruppo, nonostante il dispiacere per l’amico fidato. 3. A mali estremi, portarsi sempre dietro un buon lassativo da dispensare generosamente nei piatti di coloro dei quali si intende fare a meno, spacciando poi il sapore come cucina tipica. Così sia.
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Erba
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