S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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(... a prescindere dai fatti penso a te...)
Bari o un altro posto, poco importa. Due donne. L'una attratta dall'ordinario quasi si trattasse di un' anomalia, l'altra apparentemente impermeabile al cambiamento, come il marmo. Nette e geometriche contrapposizioni che confluiscono nell'unità leibniziana della dipendenza e della precarietà. La sottile linea che separa due opposti è amabilmente o drammaticamente superata, adeguandosi alla generosità della sorte, ma sempre con l'ironica passività di chi affida il proprio destino a un lancio di dadi.
Non scrivono per il gusto di sorprendere, non indulgono al patetico, né tentano di risultare simpatiche ad ogni costo. Semplicemente sono affette, tra le altre cose, da una sorte di dipendenza dalla scrittura, possibilmente ben scritta. Usata come forma catartica di evasione. Appaiono vere. I temi delle vicende, d'altra parte, lo sono. E dunque il lettore potrà abbandonarsi alla lettura, sentendosi semplice spettatore, salvo poi sorprendersi nel mentre si riconosce in una dipendenza, in una paura, in uno o più atteggiamenti descritti.
Sono qui da più di due anni. E hanno potuto incontrare un gran numero di altre anime sconsolate che vivono con gli affanni di tutti, è vero, ma con il sorriso sempre in tasca, anche se non si vede.
Scrivono decisamente in bilico tra il serio e il faceto, sì che il loro materiale potrebbe essere letto in fretta se le parole di cui è composto non inchiodassero il lieto fluire della quotidianità, sollevando la coltre con cui sono stati comodamente occultati dolori, perdite, desideri, ambizioni.
Avete presente la sensazione che lascia la visione di una persona come tante, che vi passa accanto veloce, scomparendo inghiottita dai suoi affanni e dalla folla? Certo, la vostra vita continua, ma di frequente vi capita di pensare a lei: non riuscite a dimenticarla, anche se non avete trovato il coraggio di seguirla. Con il solo scopo di andare avanti, è chiaro: non si ha mai tempo, oggi, tanto meno di aspettare qualcuno che vi liberi, e così, stretti stretti nelle vostre cosette, fingete sovente di sentirvi sicuri e appagati, ma il vostro cuore è altrove.
Spesso si vive comodamente, amando un simulacro o un nick, ben guardandosi dal mettersi in gioco. Il non raggiungere l'altra è quasi garanzia di eternità. Per riempire le giornate si suole giocare con specchi deformanti: l'uno si ostina a riconoscere smisurato potere a chi un tempo ha costituito un punto fermo della propria vita, l'altro a condannare la precarietà, o chissà quali altri orrori, dai quali si è invero irrimediabilmente attratti. Talvolta giova ammettere di aver fallito (e lo si può fare con una sorta di dignitosa rassegnazione, sia pur non del tutto scevra dal desiderio di non dichiararsi sconfitti). La sensazione predominante è che la vita di ciascuno di noi sia un misto di molte cose non dette.
Diffuso è nell'etere un richiamo alla normalità; e cosa vorrà poi dire? Forse che con rinnovato entusiasmo dovremmo periodicamente costruire argini per non aver paura e disporre discutibili, buffi, soldatini per difendere ciò che abbiamo? Siamo consci che basta poco, molto meno di una catastrofe, per farci perdere tutto: casa, lavoro, amore. O anche solo il senso dell'orientamento.
Erba
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