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S_CAROGNE

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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

Cuor di Carogna

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« Zibaldone 4Illusioni perdute »

La seconda possibilità.

Post n°619 pubblicato il 28 Gennaio 2010 da delilah79

Li chiamano sistemi complessi. Sono quelli imprevedibili, incalcolabili, non banali. Quelli che riconoscono le loro operazioni e creano la loro differenza. Quelli che dato un input non elaborano uno specifico output, semmai, ogni irritazione può comportare infinite altre connessioni.
La politica, questo sistema così complesso, talvolta così banale!
Dato un candidato, Boccia, promosso da capoccioni illuminati (ufficialmente) per far convergere forze centrifughe e divergenti del PD, viene eletto a furor di popolo Vendola, il cui tentativo bieco di annientamento è stato tale da indurre un popolo non ancora del tutto narcotizzato ad alzare le natiche dalla poltrona e staccre gli occhi dalle tette finte della Ventura per andare a votare alle primarie.
Sciocco sottovalutare, da parte degli alti vertici in barca a vela, il carisma di un uomo “diverso” che rappresentava non solo se stesso come uomo politico, ma sé come progetto politico funzionante in una regione di un meridione sempre più “periferizzato”.
E adesso siamo qui, in corsa di nuovo. Di nuovo perché secondarie, di nuovo perché seconda tornate di regionali.
Caro Nichi, ti dirò, a me che tu sia gay, cattolico, comunista, che tu sia popolare, acclamato, un bell’uomo… interessa poco. Non sono sempre stata d’accordo con le tue mosse, né con la tua propagandata diversità. Se sono venuta a votarti alle primarie è stato principalmente perché ho ritenuto intollerabile atto di sciacallaggio quello che hanno provato a farti subire la settimana prima del voto, al solo mafioso scopo di gambizzare un uomo politicamente forte.
Per il resto, alla convention tenutasi in questa città, io c’ero e c’ero perché avevo voglia di respirare aria di cambiamento, forse irreale, forse tanto desiderata da credere che stia arrivando a mutare vento con una energica folata. Eppure, la mia voce è restata in gola, amareggiata, quando tra i tuoi sostenitori, sul pulpito della propaganda, sono comparse, “in pompa magna finto comunista”, i soliti volti noti di un sistema duro ad essere seppellito, perché, sai, i sistemi complessi hanno loro codici, le loro operazioni inoltre, talvolta purtroppo, sono autopoietici e rompere la catena crea più danni che benefici.
Mi sono chiesta perché su quel palco ci fosse una ricercatrice figlia (guarda il caso) di un Preside di Facoltà a difendere i miei diritti e non ci fosse qualcuno come me, più modesto, più umile, con meno santi, ma che, probabilmente, paga un conto più salato e non per demerito intellettuale. Mi sono chiesta cosa sarà di me, come dei precari che una signora ben più umile e con meno prosopopea e gioielli ha rappresentato su quel palco e che non è stata granchè considerata dal tuo discorso finale.
Vedi, Nichi, la farò breve. Tu adesso hai una seconda occasione. Alla prima non hai cannato, ma alcune incongruenze forti ci sono state, ammettilo.
Adesso hai una seconda possibilità. Quella di una corrispondenza pressocché completa tra l’uomo del palco (mirabile cantastorie più o meno vere e realizzabili) e uomo “di strada”, quello che cammina tra “il suo popolo”, come ami affermare.
A ‘sto giro, non perdere il treno, o, se ritieni di non averlo perso, cerca almeno di non arrivare in ritardo, perché la mia vita e quella di tanti come o peggio di me, passa e lo slancio e la passione lascia il posto alla frustrazione ed alla amarezza di un muro di gomma sempre più resistente rispetto alle mie spalle.

 
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Comeilcavoloamerenda il 29/01/10 alle 09:53 via WEB
Questa lettura, amabilmente dedicata alla signorina D., necessita indubbiamente di una nota d’apertura: Il brano, non brilla certamente per liricità e poesia, ma piuttosto per la indubbia, comica capacità di far immedesimare i pazienti lettori negli infastidi astanti dello scompartimento; ma c’è di più, il brano, ha anche colpito la devastata mente del cavolo, in quanto, ben interpreta le emozioni che, metaforicamente parlando, gli ultimi post(s) stanno suscitando nel sensibilissimo animo del cavoletto; in altri termini, e parlo soprattutto per la tenutaria signorina S., (i post) sembrano buttati lì come sacchi di iuta ammassati in un fienile abbandonato…un mestolo d’oro, un superbo mestolo d’oro e nulla più…buona lettura L’uomo russava, russava così forte, così fragorosamente che sarebbe stato troppo anche per uno sorretto da una dose infinita di tolleranza. G. e gli altri passeggeri, dotati soltanto di una normale indulgenza, sentirono la propria sopportazione schiacciarsi come un afide sotto una mazza. Aveva l’aria di un meccanico, un che di umile e di civile. Le penne nel taschino della camicia testimoniavano un’istruzione e una cultura rudimentali e l’abilità con cui si soffiava il naso con la mano destra e con un solo gesto riusciva a proiettare il muco fuori dal finestrino aperto, testimoniava lunghi periodi di cantiere; era salito sul treno a Budapest e aveva sistemato le sue misere cose sulla reticella, si era seduto in uno dei posti vicino alla porta, aveva appoggiato la testa al vetro e si era addormentato, all’istante senza preamboli. Nel giro di pochi secondi aveva cominciato a russare. Come se venisse da una grande distanza, dapprima leggero, quel suono era cresciuto costantemente fino a diventare un frastuono che eruttava dalla bocca spalancata dell’uomo. Gli altri si erano guardati, prima con una sorta di tacito divertimento, poi con stupore e infine con aperta irritazione. La cosa strana della gente che si comportava male, che lasciava traboccare sugli altri la propria villania, osservò G. tra sé, era che di solito rimanevano più imbarazzate le vittime che i colpevoli. Il volume della russata era fenomenale. Un leggero raspare intermittente sarebbe stato sopportabile, ma i polmoni del meccanico tempestavano i timpani dei compagni di viaggio senza pietà, così assorti in prima fila ad assistere alla sue vicissitudini respiratorie. C’erano sporadici momenti di calma che producevano un ottimistico senso di sollievo, di speranza che l’assedio uditivo fosse stato levato, ma quegli intervalli di silenzio servivano solo ad affilare le armi per un nuovo assalto più serrato e agguerrito; Quelli che erano seduti più vicino cercarono di abbassare il volume: colpi di tosse discreti seguiti da colpi di tosse meno discreti, urla, spinte e spintoni non riuscirono a fargli perdere nemmeno un colpo. Una donna con un fazzoletto in testa cominciò a schioccare forte la lingua, come si fa per imitare il verso delle galline. Il ronfare vacillò e scomparve sopraffatto dal chiocciare. “Con mio marito funziona sempre”, proclamò orgogliosa, ma il russare ne approfittò per ripartire a piena andatura sulla corsia di sorpasso. L’uomo che gli stava seduto di fronte provò a passare una potente salsiccia all’aglio sotto il naso del dormiente. Nulla da fare. Il meccanico continuò a russare beatamente. Lo sbandieratore di salsicce si andava facendo nervoso e aggressivo nei confronti di quel tanghero avvinghiato alle braccia di Morfeo, del tutto indifferente alle suppliche e alle angherie di cui era l’oggetto. “mio caro signore” disse l’occhialuto protestatore, dando un altro spintone al meccanico “lei russa piuttosto forte”. Per sfuggire al rombo di tuono palatale G. uscì dallo scompartimento. Che dono riuscire a dormire in quel modo, pensò G., che piacere dormire per risvegliarsi soltanto a cose cambiate. Nello scompartimento accanto G. intravide una bellissima ragazza che parlava animatamente con un’amico con il piglio di chi sa di essere bella. Chi ha bella presenza, una buona dose di fascino, se la cava sempre: è il salvagente che tiene a galla. Sadicamente la ragazza si passava la lingua sulle labbra e dondolava energicamente la gamba sinistra incrociata sulla destra, a un ritmo e in un modo tale che anche a uno senza la mente monomaniacale di G. avrebbe ricordato il movimento sulla monorotaia. Perché, si rammaricò G., le belle ragazze non si siedono mai nel mio scompartimento? Dopo aver cercato invano di far smettere di dormire così rumorosamente il tanghero, il passeggero disperato abbandonò la tattica di lanciare educati promemoria al sistema nervoso del russatore. Gli sistemò opportunamente la mano nel vano della porta scorrevole, quindi la sbattè con tutte le sue forze nella speranza di ghigliottinargli le dita. L’uomo si svegliò, ma emise soltanto un leggero grugnito di sorpresa, come se lo avessero inavvertitamente sfiorato. Il legittimo proprietario delle dita schiacciate non pareva per nulla infastidito. Si mise, dunque, a svolgere un foglio di carta grande come un lenzuolo contenenti tre ali di pollo fritto bisunte e se le mangiò con tanto gusto e tanto rumore che tutti ebbero la sensazione di assistere alla masticazione appollaiati su un molare. Il sollievo generale, quando ebbe finito di triturare l’ultimo pezzo di pollo, si dileguò non appena riprese sonno e ricominciò a russare dal punto in cui si era interrotto. Mancavano ancora due ore a Szeged. Di Tibor Ficher S.I.C.D.R.
 
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