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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

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Riportando tutto a casa

Post n°629 pubblicato il 27 Febbraio 2010 da erbavoglio_70

 

 

Le prossime settimane saranno caratterizzate dall'ansia. Intendo più del solito. Sì: molte questioni si dipaneranno, complice la primavera incipiente; talune si arrenderanno alla ragionevolezza, altre saranno sospinte dall'irrequietudine e semplicemente cambieranno forma, la maggior parte - non potendo restare insolute - si affideranno al caso.

Tra tali questioni regna sovrana la sorte della nostra Creatura, a tutt'oggi in attesa di battesimo ufficiale. “Ancora con 'sto libro” - direte voi - , e io vi rispondo con questo post.

 

Sono trascorsi più di tre anni da quando ho creato il mio primo file dedicato alla scrittura. Tre anni intensi, bellissimi, destabilizzanti, lunghi, fugaci, furiosi. Tra poche settimane un libro a nome “Erba e Sara”, con tanto di codice ISBN, copertina e casa editrice, troverà spazio in una mensola del mio studio-bunker. Non si tratta di un lieto fine. Eh sì: quel libro, duecento pagine o poco più, mi sussurrerà cose indicibili, urlerà e potrà essere usato contro di me, inducendo qualcuno a chiedermi di fare un bilancio.

 

Di questo, però, non ne ho voglia. Un po' per via di una vecchia promessa digitata durante uno stato di grazia a una persona da me visceralmente amata, incurante delle conseguenze, un po' perché sembrerebbe un addio. E io non credo agli addii.

 

A seguito di una recensione letta su un settimanale, ho acquistato “Igiene dell'assassino” della prolifica Amélie Nothomb. Seguono in corsivo alcuni stralci del suo libro.

 

Se avessi saputo che cosa pensavo, suppongo che non sarei diventato scrittore.

 

Questo chiarisce il perché Sara abbia scritto un libro. Ha pensato che mettendo nero su bianco i suoi deliranti ragionamenti avrebbe trovato il bandolo della matassa.

 

- Allora perché le ripugna parlare dei suoi romanzi?

 

- Perché parlare di un romanzo non ha senso.

 

Sara, hai letto? Non sono la sola a non comprendere il senso di una conferenza stampa! Credi che, se rispondessi così, i giornalisti ne avrebbero a male?

 

  • Però è affascinante sentire uno scrittore parlare della sua creazione, dire come, perché e contro cosa scrive.

  • Se uno scrittore riesce a essere affascinante a questo riguardo, ci sono solo due possibilità: o ripete ad alta voce quello che ha scritto nel suo libro, e allora è un pappagallo; o spiega cose interessanti di cui non ha parlato nel suo libro, nel qual caso il detto libro è un fallimento perché non basta a se stesso.

 

Poiché mi rifiuto di ripetere quello che ho scritto in pubblico - chi mi conosce sa che sono estremamente timida - e poiché sui temi da noi affrontati non mi sembra ci sia molto da aggiungere, un po' perché il libro basta e avanza a se stesso, un po' perché migliaia di testi più autorevoli trattano gli stessi argomenti, preferisco tacere.

 

Come vuole che uno scrittore sia pudico? È il mestiere più impudico del mondo: attraverso lo stile, le idee, la storia, le ricerche, gli scrittori parlano sempre di se stessi, e con le parole. Anche i pittori e i musicisti parlano di se stessi, ma con un linguaggio molto meno crudo del nostro. No, giovanotto, gli scrittori sono osceni; se non lo fossero sarebbero ragionieri, conducenti di tram, centralinisti, sarebbero rispettabili.

[CONTINUA...]

 
Rispondi al commento:
panglos
panglos il 27/02/10 alle 18:54 via WEB
Al di là delle cazzate retoriche che dice in Nostro (gli scrittori dovrebbero limitarsi a scrivere e lasciare ai filosofi il racconto del senso della vita) c'è una frase che mi stimola la digitazione
... nel qual caso il detto libro è un fallimento perché non basta a se stesso
A me pare addirittura un'affermazione banale per quanto è vera. Da sempre affermo che un'opera smette di essere dell'autore nel momento stesso in cui viene offerta come opera finita al fruitore. Qualsiasi opera ed un libro non fa eccezione, diventa del fruitore perché è nel fruitore che diventa opera, è il lettore che crea un libro non lo scrittore; ogni lettore crea il suo libro, ogni fruitore crea la sua opera.
Credo che sia stato Pavese nel Mestiere di vivere ad affermare che ogni libro è già scritto dentro di noi, il libro nel senso materiale è solo il mezzo per leggere ciò che dentro di noi è già scritto.
E' il motivo per il quale detesto, sommamente detesto, le opere che prevedendo una interpretazione univoca e che quindi necessitano di una spiegazione. Unopera che necessita di una spiegazione affinché sia fruibile è un fallimento. Da ciò discende che detesto con ogni fibra del mio essere il simbolismo: che cazzo di senso ha affermare questo quadro rappresenta l'amore?! Quel quadro rappresenta ciò che evoca in chi lo osserva, se invece dell'amore in chi lo osserva evoca una scampagnata ebbene quel quadro rappresenta anche una scampagnata.
Una vita (e mezza) fa andai al cinema a vedere Il tamburo di latta, non sapevo nulla del libro se non che era un best seller. Il film racconta di un bambino che smette di crescere. Non ne fui entusiasta, ma comunque mi sembrarono due ore spese bene. All'uscita presi il programma che, fra l'altro, proponeva la critica al film che avevo appena visto. Scoprii così che nelle intenzioni dell'autore il bambino simboleggiava la Germania post bellica. Se io avessi letto quella critica avrei visto un film diverso da quello che ho poi visto, la mia fantasia sarebbe stata guidata e quindi falsata dall'univoca interpretazione che l'autore proponeva.
Gioii per non aver letto quella critica prima di vedere il film; fu allora che maturò il mio viscerale odio per chiunque faccia del simbolismo.
 
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