S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Il disagio. Sentirsi inadeguati-inopportuni-brutti-malvestiti-in procinto di commettere una leggerezza-uno sbaglio-un gesto irrimediabile capace di porci al centro dell’attenzione, intesa come gogna, non certo come ribalta.
Indubbiamente molteplici sono i fattori concomitanti al dilagare dell’insicurezza all’interno del nostro corpo, che fomentano stati mentali già provati, che inducono allo straniamento, implicante l’isolamento, la paura. Ovviamente i genitori, la famiglia di origine, il caos primordiale da cui tutti deriviamo, sono i principali imputati. Poi le amiche, i professori, le persone di cui ci innamoriamo lungo il cammino.
Buffo, no? Usiamo i media e la moda al duplice scopo di informarci su ciò che è giusto temere e su come combattere le nostre manie, badando ad apparire sicuri, per depistare le avversità. Sì che, dipendesse da noi, resteremmo sempre a casa, vedremmo solo un paio di persone ben selezionate, o nei momenti più intimisti leggeremmo solo un libro.
Eh, ma non si può: uscire, produrre, telefonare, collegarsi, apparire...
Lunedì scorso, pur essendo uno di quei giorni in cui mi sarei volentieri chiusa con te in un bozzolo, pregando il mondo di dimenticarci per almeno un paio d'ore, solo per poterti stringere, cullare, lasciarmi abbracciare, senza ricordare quanti anni ho e cosa è implicito che io debba fare, quasi fosse un sogno tanto leggero da svanire al mattino, mi sono preparata in fretta, meta un vicino centro di analisi cliniche, per il periodico esame del sangue.
Ero seduta su una triste sedia di legno, con la prescrizione in una mano, il numeretto nell'altra, gli occhi oscillanti tra la segretaria perfettamente truccata alle 7,30 del mattino che rispondeva gentilmente alle domande sempre uguali sull'esenzione e la finestra dalla quale intravedevo i segnali del risveglio del mio quartiere, mentre fantasticavo sulla colazione che mi sarei concessa appena rientrata a casa, ben sapendo che sì, con te sarebbe stato più bello.
Avevo il numero 9. Dopo di me una signora di circa settanta anni, con capelli canuti e corti a incorniciarle il viso, camicetta bianca e golf blu, jeans e scarpe basse, bellissima, che leggeva un quotidiano e a intervalli regolari si guardava intorno con tranquilla vitalità. A un tratto si alza e dice “La aiuto”, cogliendo di sorpresa un uomo più o meno della sua età, altrettanto distinto, ma sicuramente più provato dall'incedere del tempo. Lui arrendevole agevola i movimenti decisi della donna, intenta ad allacciargli il polsino dopo il prelievo. Non sorridono, sembrano una coppia legata da gesti tanto quotidiani quanto eccezionali, concorrono sinergicamente ad uno scopo e, una volta raggiunto, si congedano con poche parole essenziali.
Sono ancora lì, piacevolmente affascinata da quella scena, quando mi sorprendo a cercare con la signora il numeretto, perso durante il duetto. Ora sembra vulnerabile anche lei; ad aiutarla sopraggiunge la moglie dell'uomo, già assorta nell'infilare il cappotto al marito. Forse poco prima era nel corridoio, ha visto tutto, ha provato gelosia. Il numeretto era scivolato nella tasca della signora in jeans. Si scambiano un sorriso. Tutto a posto.
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Erba
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