S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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(I love mankind; it's people I can't stand.)
Non mi piace Facebook. I miei amici di scuola, di campeggio, di catechismo restino comodamente lì dove sono. All'estero, a Milano o a due isolati da casa mia. Se ci incontreremo facendo la fila alla Coop o passeggiando per via Sparano, li saluterò per prima, anche se probabilmente risulterà imbarazzante per alcuni mostrare una impietosa calvizie o un look decisamente poco consono a un quarantenne.
A voler essere ottimisti, tra cent'anni saremo morti tutti e questa smania di incontrarsi, inversamente proporzionale al tempo che ci resta, in tutta onestà mi intristisce.
Non voglio contare quanti ho conosciuto. Ho pochi rimpianti, perché a parte poche eccezioni, delle quali mi sono fatta una ragione, frequento quelli che sono amici, al di là di una foto, che ricordano il giorno del tuo compleanno senza aiuti, che se desiderano sapere cosa tu stia facendo passano da te o compongono il tuo numero.
Soprattutto, non usano faccine.
Del ragazzo taciturno seduto per cinque anni in terza fila vicino alla finestra serbo un ricordo calmo, sereno. Perché anelare ad incontrarlo? Forse per scoprirlo imbolsito, arrogante, con un grande conto in banca e uno smisurato ego?
E poi, dubito che dopo una adolescenza mediocre si abbiano molte possibilità di redenzione.
Sono cresciuta e ora maturo, probabilmente invecchierò, con un gruppo piuttosto compatto spiritualmente, sia pur estremamente eterogeneo, composto di artisti-scienziati-avvocati-cassiere e casalinghe, chi single chi con prole, chi con il piercing chi con la Prada, chi con la bici chi con la Porsche. Ci accomunano i ricordi, certo, ma soprattutto la piacevolezza di serate che trascorriamo senza annoiarci, ed è già tardi. (Se vuoi, dormi da me.)
Poi, negli ultimi anni, ho stretto rare amicizie, rese solide da una forte condivisione, dal fascinoso uso della parola, dal senso di appartenenza ad una stessa realtà, dalla sensazione di conoscersi da assai più di quarant'anni.
Non ho conservato la sana follia di un tempo, è vero: piuttosto, gli anni l'hanno convertita in perversa normalità.
Mediamente, la gente che mi piace appartiene alla fortunata generazione a cavallo tra la Polaroid e il digitale, la stessa che ha consapevolmente vinto due coppe del mondo, che è nata quando l'aborto e il divorzio erano tabù e per cui Aldo Moro non è solo il nome di una piazza. Poiché gli anni passano e il peso dei cicchetti fino all'alba si fa sentire, sì da valutare seriamente la possibilità di iscriversi a un corso di yoga per contrastare il mal di schiena incipiente, e di andare in crociera o in un negozio di bomboniere proprio non se ne parla, questi strani esemplari del genere umano – che non disdegnano né i cuccioli d'uomo né i rapporti stabili – approfittano entusiasticamente della pausa pranzo per mettere a frutto i dubbi nati nelle proprie teste nei mitici anni '80, ascoltando musica e leggendo controvoglia manuali di filosofia. E così, tra un cambio di pannolini, una visita dal dentista e una riunione di condominio, riescono a confrontarsi – non sempre pacificamente – su argomenti più o meno oziosi. Aleggia latente nei loro cuori un nichilismo di fondo, quasi sempre però messo a tappeto dal genuino stupore dinanzi alle buone cose, non sempre di pessimo gusto.
Erba
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