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Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Osannati o disprezzati, dagli snob laconicamente ignorati.
Parlo dei mondiali, da me a tratti adorati.
Eppure, chiunque potrebbe usarli come cartina al tornasole.
Sono nata in un “anno mondiale”, il 1970.
Diciamo che sono partita bene, con un Italia-Germania 4-3. Sì, una specie di monito: più volte nel corso di questi 40 anni ho pensato (nell'ordine) “È fatta/ merda/ è tutto finito/ e vai!/ ci riprovo/ mi arrendo/ ou, fantastico!”, godendo in generale più dei risultati intermedi, quelli necessari ma senza medaglia, piuttosto che dei finali. E poi, come già ebbi a dire, in genere il mio posto è il secondo. Possibilmente, però – almeno questo –, in un Paese latino.
Confesso di non avere dichiarazioni da rilasciare sul campionato 1974. Ero troppo piccina, nessun ricordo registrato a mia insaputa. Calma piatta.
Tutto cambia nel 1978. Dopo una partenza scettica (“Che palle il calcio, roba da brufolosi senza cervello, ma non potrebbero organizzare un campionato di danza?”), la noia dei pomeriggi estivi trascorsi in casa con mia sorella mi avvicinò alle bandiere, agli inni, ai gironi, al rassicurante azzurro della maglia. E poi, come potrei dimenticare la vittoria sull'Ungheria (e l'Ungheria in senso lato) mentre il mio amato fratellino veniva al mondo (“Proprio ora? Non potrei terminare di vedere la partita? Io desideravo una sorella; visto che è maschio, aspettasse.”)? Io e mia sorella, abbandonate dai nonni per qualche giorno, ci dedicammo alla coloritura di tricolori su carta, con i quali addobbammo la casa. A ben pensarci, il fiocco azzurro non stonava in quei giorni.
Fu quella, credo, l'ultima estate trascorsa con animo fanciullo.
E già, nel 1982 fu tutto diverso.
Nulla è come sembra. E dalla gogna cui furono esposti Bearzot, Graziani e compagni durante quei caldi giorni di scialbe prestazioni del primo girone (ricordo in particolare l'incredulità dinanzi al pareggio contro il Camerun e i miei soliti commenti inopportuni “Però, belli i loro colori! Che allegria!”) ho imparato a non emettere giudizi troppo affrettati, e a non fidarmi dei favoriti.
Sì, dapprima, senza troppo lasciarmi pregare, decisi di tifare Brasile, di salire sul carro del vincitore. E poi, diciamolo: Cabrini piaceva a tutte, Tardelli era già sposato, non mi restava che puntare su Eder. Ebbene: l'Italia, il ragazzo sixteen clumsy and shy..., si è battuta con passione, senza freni, contro il ragazzo disinvolto, bello e impossibile – il Brasile – , vincendo. Da allora amo follemente i brutti, i perdenti, i gobbi, i depressi, gli insicuri. Talvolta ad essi basta essere covati per trasformarsi in farfalle.
Che bello vincere i mondiali, assistere ai programmi di rassegna ed esaltazione, tipo Sfide... Ciò che solo pochi giorni prima sembrava impossibile, divenne realtà e un Paese intero scese in piazza; anche io, con tre nastri tra i capelli e un pigiama azzurro, incredula: vidi svolti trasfigurati, sguardi in genere spenti improvvisamente illuminati e compresi che quello doveva essere il fallimento. Proprio così: ricordo di aver pensato che la vittoria fosse solo di quegli 11 uomini, più le riserve, l'allenatore e l'équipe medica, al più, che noi italiani non meritavamo quella gioia, quei caroselli. E da allora ho sognato tante volte di poter essere Tardelli, a modo mio. Ho anche pensato a lungo che i tedeschi fossero un po' antipatici.
Lungi da me il voler essere foriera di cattive notizie, ma non si può sempre vincere: siamo al 1986. Il passaggio dai 12 ai 16 anni non fu indolore. All'epoca, traboccante di ormoni e versi poetici, trascorrevo ogni minuto libero dove c'era lui, convinta di riuscire a far apparire i nostri incontri del tutto casuali. E così ho assistito alle – poche – partite di quel campionato sperando che l'Italia segnasse e che lui, sulla scia dell'entusiasmo, mi dichiarasse eterno amore, o che almeno mi baciasse coram populo. Niente da fare: quell'anno non è nella top five di quelli da rimpiangere.
(Continua...)
Erba
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