S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Il tuo fu un corteggiamento classico.
Un sms mi avvisava del fatto che ti sarebbe piaciuto scoparmi.
La mia risposta, evasiva e scherzosa, cercava un appiglio per uno scambio propedeutico di pensieri.
Che non c'è mai stato.
Quindici giorni dopo, trascorsi non perchè io, donna sposata e totalmente fedele da 15 anni, avessi tentennato o preso tempo, ma perchè tu sparisti nel nulla senza replicare alla mia risposta, stavo davanti al letto in cui passavi le notti dei week end con tua moglie e ti guardavo inebetita mentre mi invitavi a raggiungerti sotto le coperte.
Lo feci, semiparalizzata dall'imbarazzo, per una serie di motivi.
Primo: eri l'uomo più bello e non solo, uno dei più affascinanti, che avessi mai conosciuto.
Secondo: la mia vita era in quel periodo un susseguirsi monocolore tendente al marrone di giorni insipidi e non avrei mai perso l'occasione di scuoterla con tanta violenza.
Terzo: con la sfida mi si prende all'amo facilmente. Non sono una persona forte quanto vorrei.
Da lì prese forma uno scarno rito di cui tu solo tenevi le fila.
Non potevo chiamarti. Non rispondevi ai miei messaggi. Non decidevo nulla. Se provavo a cercarti ottenevo il contrario: sparivi per settimane. Se ti incrociavo per strada mi facevi ciao con la mano. E basta.
Mi convocavi in giornata quando volevi vedermi. Mezz'ora prima. E io obbedivo. Mandavo all'aria qualsiasi impegno.
Dopo avermi magari costretta ad attenderti fuori al freddo, nascosta, in ansia per varie ragioni, arrivavi e mi facevi il caffè. Due chiacchiere due poi mi sbattevi sul tavolo gelido a pancia sotto e mi prendevi in silenzio come una bestia.
Subito dopo iniziavi a guardare l'orologio e mi mandavi cortesemente via. Nel letto non mi portavi più. Profumi troppo, dicevi. Lasci tracce, sei pericolosa.
Vivevo per quegli istanti. Nell'ubriacatura ormonale indotta dall'attesa di quel surrogato d'amore egoista, frettoloso e brutale.
Tutto questo in un'altra vita, mi sembra.
In una parentesi sghemba che avrei anche potuto rimuovere in blocco dal mio passato, se tu saltuariamente non resuscitassi dal mondo dei ricordi morti.
Come ieri, che mi hai scritto per chiedermi se penso ancora a te, qualche volta.
Strano, vero? Adesso sì che avrebbe più senso un "mi piacerebbe scoparti", e invece mi chiedi se ti penso.
Sì, ti penso. Magari ne farei a meno, se scomparissi per sempre.
Penso che di te ho alcuni ricordi nitidissimi. Alcuni belli.
Quella volta che tuo figlio di un mese, che avevi portato con te perchè non sapevi dove piazzarlo, mi si addormentò in braccio.
O l'unico gesto gentile che ti scappò di avere per me. Una carezza e due parole. Sei carina. Davanti al caffè. Prima di scopare.
Per il resto ricordo lo schifo che sentivo addosso tornando a casa.
La pena che mi facevo e mi facevi.
La piega lasciva della tua bocca.
Le promesse a me stessa di resisterti; duravano qualche giorno, poi tornavo ad essere la cagna in calore che attendeva ordini.
La vergogna di quel giovedì (di solito mi chiamavi il giovedì) in cui mandai mio figlio a scuola malato pur di non rischiare di non essere disponibile per te. Naturalmente quel giovedì non chiamasti.
Il nostro ultimo appuntamento. Mi scrivesti, per una volta, il giorno prima, indicandomi esattamente come mi dovevo vestire.
Fu un errore. Io obbedìì, come sempre eccitatissima, ma in quelle ventiquattr'ore mi accorsi di amare più di tutto il parossismo dell'attesa, e di odiare te. Perchè non me lo concedevi mai, e per come mi facevi sentire.
Non ti ho mai accusato, neppure tacitamente, di avermi fatto male, mi sembrerebbe ridicolo. Anche tu eiaculavi la tua parte di tormento, in quelle mezz'ore strappate.
Una storia di adulterio si costruisce in due, ognuno rischia del suo e prende qualcosa.
Tu hai preso in comodato gratuito il mio corpo, io ho acquisito conoscenza.
La bilancia pende dalla mia parte, quel che mi è rimasto è un ricavo a lungo termine.
Ho imparato che del "sesso unico" posso fare tranquillamente a meno. Che da un uomo ho bisogno di essere amata, o per lo meno apprezzata, nell'interezza della mia persona. Che il mio valore è slegato dall'interesse, seppur lusinghiero, che un tizio giovane e bello può avere per me. Che spingendo al massimo i confini delle proprie capacità da una parte si scoprono dall'altra porzioni delicate, vulnerabili e preziose di sè. Che posso essere più forte di quanto credo.
Il male siamo noi che lo vogliamo. Ce lo tiriamo addosso, ce lo lasciamo fare. Forse per sentire il rumore che fa rimbalzare sul fondo e scivolare su.
Ora mi chiedi se ti penso, e se mi va di rivederti.
Secondo te?
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Erba
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