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Sara
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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Un romanzo che arriva dopo due volumi di racconti (ricordate Guappetella, 'O stuort' e il fuoco vivo?) e ha come protagonista una quarantenne insegnante di una scuola serale che si ritrova nel limbo delle incubatrici dei monitor e dei camici bianchi di un parto prematuro.
Dalle aule zeppe di camionisti che faticano su Dante e Leopardi per conquistarsi la terza media alle infinite, lentissime ore trascorse in un territorio intermedio fluttuante tra i corridoi dell'ospedale, Maria prende confidenza con la morte in una lunga, estenuante attesa, bianca e femmina, che diventa per lei l’unica cosa veramente sua.
In bilico tra speranza e paura, esattamente come la sua Napoli come al solito ingombrante e zeppa di tracotanza, questo personaggio complicato riscopre tra le fatiche della vita che cosa la tenga ancora in vita in un mondo pericolante.
Lo spazio astrattamente libero davanti all'oblò dell'incubatrice diventa occasione per dare ascolto ai libri e alle facce che le hanno riempito la vita e che tornano a parlarle nel momento in cui la necessità dà ascolto alla loro voce indulgente affinché ad un dramma non debba aggiungersi altra sofferenza.
Una penna febbrile, lieve ma coinvolgente, sempre fiera del suo sapersela cavare nella mischia e appesa con testarda volontà a quell’esile filo di speranza che vorrebbe ci fosse più di un modo per nascere, sopravvivere e morire. C’è qualcosa in quelle paginette intimamente correlata al saper scrivere e a quel salto che tanti speravano che Valeria Parrella riuscisse a fare.
E’ una autrice che trova quel che le manca senza nemmeno prendersi la briga di andarlo a cercare in un mondo che sembra non le piaccia mai davvero fino in fondo: c’è chi scrive per semplice sentito dire (Veronesi, ma non lo scriviamo) e chi invece per rimediare alle mancanze e rattoppare i buchi al fine di riprendere possesso dell’ordito.
Fa bene, la Parrella: se la vita non entra nei libri non hai concluso niente. L’impressione netta che scaturisce dall’ultima fatica di questa scrittrice napoletana appena diventata madre è che le cose accadano da sé e nostro malgrado, considerazione forse un po’ triste ma decisamente vera quando capita che un accidente si metta di traverso.
Il dialetto umanizza un libro sicuramente vivace ma meno scugnizzo di quel che ci si aspettava seppur carico di una scrittura che va finché non riesce a trovare il nocciolo, tenendosi stretta l’unica cosa che valga la pena insegnare ad altri: se stessa.
Erba
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