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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Sara

 

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Vecchio Paz

Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

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Se mi lasci non vale

Post n°700 pubblicato il 14 Ottobre 2010 da sara_1971

La gente non fa un viaggio. È il viaggio che fa la gente

 

Sara, nonostante per motivi del tutto incomprensibili non abbia ancora trovato un agente né vinto lo Strega, ultimamente - al pari dei grandi scrittori - ha sempre la valigia sul letto (E la similitudine con i grandi scrittori si ferma qui: per compassione tralasciamo il fatto che ultimamente sul letto oltre alla valigia Sara abbia anche una colonia di  uova di pidocchio, belle grasse e lucenti). 

Quando la Vostra è in un periodo di insoddisfazione lo si capisce da due cose: dai capelli e dalla casa (e per vostra fortuna non dovete avere a che fare né con gli uni né con l’altra) e così guardandosi allo specchio (OddioMio) decide che un viaggio è sempre la maniera migliore per sfuggire ai propri tormenti (con il disdicevole svantaggio di trovarli moltiplicati sull’uscio di casa al ritorno, ma vabbé).

E così si parte: La sveglia suona alle 04.00, Sara si desta e fa colazione con un olocausto di savoiardi sepolti dal mascarpone dopodic passa a raccattare la Figacciona e la Bimbominchia.

Durante il viaggio Ella, protettrice delle vittime, in senso stretto e lato, contatta Anonimo in cerca di solide piccole rassicurazioni quotidiane in grado di spianarle le rughe della fronte: Ma sei già arrivato? Ti fai portare l’acqua in stanza? Mi fai lasciare una coperta in più? E un altro cuscino? Ma quanto si paga? No perché io più di 25 a notte non posso. Come sarebbe a dire che costa 35? Ma sul sito web c’era scritto 25 sono certa!!!! Eh ma adesso pianto un casino che non ti dico. Come dici? Ma che davvero? No, non posso aver scambiato un albergo per un altro!! Sono sicura, sì che sono sicura. Ah, dici che quell’albergo di cui parlo io hai controllato ed è in Svizzera? Ma possibile? Vabbè, al massimo ci presti un centinaio di euro e poi te li restituiamo. Pronto? Come? Oh non si dicono certe cose. Vabbé vabbé ne parliamo dopo.

Per un’oretta le tre cozzale imperversano cantando a squarciagola nell’abitacolo finché un scoppiettio sospetto non turba la giocosa atmosfera. Lo sentite anche voi questo rumore? E’ la domanda che non dovrebbe mai, e sottolineo mai, essere pronunciata a bordo di un’automobile. Le successiva tre ore trascorrono quindi sollazzate da una raffica di sms e squilli imperiosi ad Anonimo contenenti sagge domande quali: il rumore che prima sentivo a sinistra ora lo sento a destra e sembra un soffio: cosa può essere? Ma non sarà mica la cinghia? Ma che domande fai? Certo che non ho forato. Vabbè, scusa, ma se non riesci a comprendere cos’è allora non dire che ne capisci di motori!!!

All’arrivo le tre vengono fatte sostare nella hall in attesa che un Anonimo particolarmente irascibile transiti nella apposita area di decompressione e si decida ad andare a cena. Dopo una breve colluttazione si opta per il giapponese. Sappiate che una delle maggiori divergenze di opinioni tra Sara e Anonimo riguarda un oggetto da lui ritenuto indispensabile e da lei superfluo: il navigatore.

Appena salita in auto Sara lo sequestra, Anonimo si imbufalisce, la Figacciona cerca di far da paciere, la Bimbominchia si mette a strepitare per la fame (un giorno vi spiegherò perché sono costretta a trascinarmi dietro queste due piccole dementi e finalmente comprenderete).

Si arriva ad un compromesso: ci si incammina senza ed in caso di necessità si ricorre all’aiuto tecnologico. D’altronde Sara è certa di possedere un ottimo senso dell’orientamento e sa di poterci contare.  

E continua a pensare di poterci contare anche quando i quattro si ritrovano in una zona deserta pari alla quadratura delle fogne di Parigi. In aperta campagna scatta così la rissa. In un reciproco crescendo di insulti viene riesumato il navigatore. Naturalmente è scarico. Si cerca con l’aiuto di una pila il caricatore per una mezz’ora. Lo si accende (finalmente) giusto in tempo per scoprire che la zona è sprovvista di segnale satellitare. Mentre si invocano uno ad uno i reciproci defunti viene prontamente sedata una lite tra mocciose a suon di pedate. Non si sa come non si sa perché si giunge finalmente al ristorante.

Tra una portata e l’altra si alternano i messaggi e le chiamate affettuose dei tre fidanzati di Sara abbandonati in terra natia. Che a breve diventeranno due vedovi perché uno è sulla pista giusta per capire e sfracellarmi come meriterei.

No, adesso non pensate subito a male (per carità). E’ che come diceva quel sant’uomo di Adorno la libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta. Ecco, l’ho detta, ed è questo uno dei motivi per cui necessito di sonniferi per dormire.

Ma vabbè.

Pensavo nella notte, tra l’insonnia e una serie di GULP, che comunque cambiare aria mi ha fatto davvero bene. Ora sembro una serena signora di sessanta anni, come mi ha gentilmente confermato un collega stamane al lavoro, invece di una pazza isterica di diciannove.

E con questo è tutto, a Voi studio.

 

P.S. No, c’è ancora dell’altro pensandoci. Ho aperto la porta di casa, al ritorno, e ho trovato uno splendido cadeu portato dalle manine sante di Jay. Una serra con tanto di funghi all’interno. Dovreste vederla: fa un figurone tra il camino ed il divano, davvero. E poi (la speranza è sempre l’ultima a morire) hai visto mai siano velenosi?!

 

 

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
uochi l\'osservatore il 16/10/10 alle 09:57 via WEB
Mi sveglio alle tre del mattino. Percepisco che sono in giro. Cammino disperso nello spazio cittadino, dove noi non c’incontriamo, né tra mezz’ora né mai, però tre mesi dopo, ad esempio. Rivedo situazioni avvenute nello stesso spazio, ma in diverso tempo. Ricomincio. Mi sveglio, percepisco lo spazio intorno a me, come la mia stanza da letto, pavimento tavolo finestra tetto. È una visione rassicurante. Io sono una persona pedante: per quante volte guardi la stessa immagine, questa non passa inosservata. È un’abitudine consolidata: osservo la realtà che tu dai per scontata come Monet con la Cattedrale di Rouen in diversi momenti della giornata. Mi sveglio, esco di casa. Noto particolari nuovi anche se faccio sempre la stessa strada. È un’abilità innata: si chiama “percezione”, e alle altre persone non credo sia stata donata. La mia superbia viene alimentata dalla praticità distratta di chi non sblocca la parte destra del cervello. Mi sveglio, guardo un muro bianco e dopo due ore che lo guardo è grigio. Vorrei discutere con voi di un colore, disponendo di un atlante Munsell od NCS: quanto ve ne importerebbe? Quanto vi annoiereste? Quanto cerchereste nuove realtà, visto che questa non la volete perché non la sapete intendere? Mi sveglio, e tutto attorno ci siete voi. Io – giuro! – non vorrei dare giudizi, lo faccio solo per stare a galla od accontentarvi. La verità è che avrei bisogno di essere immortale al solo scopo di osservarvi. Mi sveglio: intorno a me paesaggi, colline, alberi, pioggia, energie radianti, edifici sovrastanti, animali vivi e decomposti, case abitate, avamposti, cartelli di segnalazione dossi, sabbia, erba e fossi, industrie ed impianti, disegni – i nostri, disegni – i vostri, terrazze, scale e pianerottoli. Descrivo la realtà coi miei metodi enciclopedici, ovvero: ti spiego gli oggetti indicandoteli, oppure facendo chilometri insieme per poi chiederti un’intersezione della mia più la tua osservazione. Mi sveglio, e naturalmente tu hai da fare, impegni inderogabili da cui non ti riesci a districare, modelli di comportamento impossibili da sradicare. Il mondo non viene comandato dai soldi o dal sesso, ma dal non voler provare quel senso di scomodità che percepisci quando ti si presenta qualche nuova possibilità. Mi sveglio, e sono l’unico a vedere la realtà con tutta questa limpidezza, senza relativismo – quindi mi sbaglio, perché sono il solo a pensare che la realtà sia una sola, e ciò che tende a differenziare la visione è l’immaginario proprio delle singole persone. Mi sveglio, ricordo ogni mia proiezione su quello che potreste pensare. Ormai gli alberi e le case non hanno più niente a che fare col vivere immersi nel reale. Sperare in un cambiamento è come sperare che piova guardando un cielo pieno di nuvole: è inutile, ed aumenta la distanza tra una persona e la comprensione del reale. Mi trovo a desiderare solo quando me lo chiedono, per pura convenzione. A volte rispondo, invece, che non desidero niente, e sono confuso. Ma il mio interlocutore teme più della morte il lasciare un discorso inconcluso: ricorre all’uso di una metafora, quella del genio della lampada. Nel mio caso, i tre desideri a cui l’interlocutore ha lontanamente alluso si staccano completamente dal reale: sono la chiave di ciò che cerco di mantenere chiuso. Mi scuso, non lo potevate sapere: cerco di mantenere separate le due sfere, anzi!, la figura sfera del reale e il frattale a spirale dell’immaginario che possiedo e che una volta aperto dai vostri inutili quesiti si sovrappone di prepotenza ai miei discorsi più sensati. Comincio a vedere cose che non esistono.
 
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