S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
AREA PERSONALE
Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Se siamo qui, a scrivere, a leggere o commentare, o meglio se ognuno di noi è in un suo “qui” e non contemporaneamente, ma ognuno alla sua “ora”, forse è perché siamo eventi simili del nostro spaziotempo. Ci incontriamo per caso, scambiamo un'abitudine per una necessità, cerchiamo ossessivamente un contatto, oppure – delusi, stanchi - restiamo isolati per anni, quasi intimoriti dal fuori, finché lasciamo che il sole ci attiri ancora...
Confesso di sentirmi a disagio sempre più spesso: mi sembra che l'ansia di apparire, comunicare, esserci, sottragga troppo tempo ai vivi e ai morti, alle domeniche stesi a letto senza fare nulla, al silenzio. Connessi, sincroni, con le dita e gli occhi in perenne movimento, apparentemente liberi, attenti ai segnali che un altro (individuo o gruppo) invia attraverso un nuovo codice, fatto di orari, parole, simboli.
Una come me è spesso definita vintage, così almeno circoscritta da una definizione, in compagnia di altri degni dello stesso aggettivo, sembro meno sola, meno triste o, chissà, pericolosa.
Eppure ci ho provato: pur circondata da numerosi electronic devices, adoro scrivere la todo list sui fogli del mio taccuino, a matita, annusare le pagine ingiallite del dizionario cercando forse un'immagine ancor più che una parola,conservare ritagli di giornale, passeggiare sotto la pioggia pur di vederti per venti minuti. Sì, lo so: avrei potuto contattarti/inviarti/allegarti qualcosa, ma il tuo sguardo velato da uno schermo non mi emoziona (Will your eyes still smile from your cheeks...)
Le fotografie, le poesie, le canzoni, le immagini o le vignette che rappresentano qualcosa per me, di me, le conservo gelosamente, ne faccio dono solo ad amici selezionati per affinità elettive. Uso, è vero, le faccine, per non essere accusata di essere troppo seria: e così, per esserlo q.b., senza sentirmi idiota, mi limito all'uso di quattro o cinque di esse. In cambio, i conoscenti, quelli che incontri ogni giorno tuo malgrado (brave persone, per carità), felici di “creare un gruppo” per ogni motivo, di “cambiare stato” e di usare con estrema disinvoltura la grammatica italiana, inondano le mie giornate di simboli colorati, la versione Disney del geroglifico. Perché cercare il simbolo della tazzina per chiedere di prendere un caffè? Mistero, ma va bene: di oggetti si tratta. A volte può anche essere divertente: un piccolo rebus (ad esempio quello di Ilaria per dire “Cinquanta sfumature di grigio”), ma per tutto il resto, no. Proprio no: il bacio con il cuoricino, cosa credete, si invia all'amica di una vita, alla rappresentante della classe di vostro figlio, a vostra cognata, all'ex...
O quei pacchiani cuori rossi? Credete che vostra figli li invii all'uomo della sua vita?! Sarò catastrofista, ma sono preoccupata: prima di dire qualcosa a qualcuno ci pensavamo bene, così bene che imparavamo un paio di discorsi perfetti, con tutti i congiuntivi a posto, ma poi, anche se eravamo profumati e indossavamo i vestiti migliori di nostra sorella, la voce si faceva tremula, le mani sudavano, arrivava qualcuno a interrompervi... “Chiamami, ok?” Chiamarlo non era cosa da poco: a casa c'era troppa gente, quando finalmente uscivano anche lui non rispondeva... Una due tre volte, gli stessi numeri ripetuti sulla tastiera, in un'epoca in cui i numeri primi erano ancora importanti.
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Erba
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