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Un blog creato da sara_1971 il 13/07/2007

S_CAROGNE

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Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...

 

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« Gioventù bruciataParabola »

 Silvia e Debbi

Post n°267 pubblicato il 12 Aprile 2008 da sara_1971

 

Mi faccio spesso questa domanda: siamo peggio noi o i politici che eleggiamo? In apparenza non c'entra nulla con quello che segue. Non sono brava nelle descrizioni, perciò il signor Cosimo immaginatevelo come una specie di Danny De Vito un po' più unto. Cercava una contabile per il suo call center, l'ha detto alla zia di Silvia, e Silvia si è presentata da lui. La storia me l'ha raccontata lei.

In breve, Silvia viene assunta a tempo determinato, lo stipendio teorico non è male. Dopo qualche giorno, Silvia si accorge che non c'è un soldo in cassa. Il suo lavoro è convincere le banche ad aspettare, il signor Cosimo sta per prendere un appalto importante. Lo prende: è una parte del call center di una società telefonica. Bisogna assumere. Silvia senza soldi, nemmeno per pagarsi lo stipendio, comincia a cercare. Il signor Cosimo le vuole donne e giovani. Ne provano, tra tante, una giovane, persino troppo, Debbi; non ha nemmeno 18 anni. Le ragazze cominciano a lavorare, arriva qualche anticipo, le banche danno maggiore tregua, Silvia comincia a pagare gli stipendi alle poche dipendenti con contratti; sia pure a termine. Le altre sono in prova. Come Debbi, che prende coraggio e un giorno – indossata la minigonna più corta del guardaroba - va a parlare con il signor Cosimo.

"Sai - racconterà dopo a Silvia- si è avvicinato, ha cominciato ad accarezzarmi i capelli, poi si è sprofondato in poltrona e mi ha offerto di sedermi in braccio a lui". (“cazzo – ho pensato – ma io questa l’ho già letta”; certo: sui verbali della Gregoraci). “E tu, non potevi gridare”, le chiese Silvia? "Sei matta, così mi caccia. Gli ho detto che ci penserò e che chiederò consiglio a mia madre, loro si conoscono".

La signorile signora chiamerà la sera stessa il signor Cosimo.

- Madre: "Perché hai molestato mia figlia?".

- Cosimo: "Non le ho fatto niente".

- M: "L'hai ricattata".

- C: "No, no, non le ho mica detto o me la dai o ti mando via".

- M: "Senti, domani vengo in ufficio e te la vedi con me".

(l'incontro si svolse nell'auto della signora, che fece ascoltare al signor Cosimo la registrazione della conversazione della sera precedente; l'accordo fu stipulato in pochi minuti, e Cosimo raccontò a un'altra dipendente che il patto venne suggellato da una mancia orale allungata dalla gentildonna in segno di ringraziamento).

Il giorno dopo al pomeriggio il signor Cosimo chiama Silvia: "Signora, metta a contratto Debbi: sei mesi".

Credo che Debbi lavori ancora lì, da precaria, se quel call center è rimasto in funzione; Silvia si licenziò poche settimane dopo. Quando mi raccontò questa storia la prima volta, concludemmo con una banalità, peraltro mai troppo spesso ripetuta: la precarizzazione e il degrado umano vanno quasi sempre insieme. Ora che dobbiamo tornare a votare, sono certa che sottoscriverebbe anche questa mia (retorica) domanda: ma se questi sono gli elettori, quali eletti dobbiamo aspettarci?

Dimenticavo: il signor Cosimo è candidato alle amministrative della sua città.


noticina finale: fatti e personaggi sono puramente immaginari, ogni eventuale riferimento alla realtà è puramente casuale.


 
Rispondi al commento:
panglos
panglos il 12/04/08 alle 21:24 via WEB
Il post di Sara pone il problema delle molestie sessuali sul posto di lavoro.
Siamo tutti persone civili e, qualunque sia il nostro grado di arrapamento, di fronte ad un cialtrone che promette favori in ambito lavorativo in cambio di prestazioni sessuali, ci stracciamo le vesti, volgiamo lo sguardo al cielo alla ricerca del nostro Dio ed urliamo la nostra rabbia: NO! Gridiamo. Quel cialtrone meriterebbe di mendicare un tozzo di pane e non di occupare un posto di potere.
Lo dico per inciso, la birretta che ho bevuto mi aiuta, so perfettamente cosa significa essere oggetto di molestie sessuali... LO SO PERFETTAMENTE!
Detto questo ampliamo il discorso a beneficio delle femministe...
Ciò che colpisce del racconto di Sara è che la candida fanciulla si fa coraggio, indossa una minigonna e va a parlare col capo. Il capo le chiede di sedersi sulle sue gambe dopo averle accarezzato i capelli... la cialtronaggine del capo risiede (a) nel fatto che era al cospetto di una (sciagurata) minorenne (b) Che le ha accarezzato i capelli (ecc. ecc.) senza essere stato, esplicitamente od implicitamente, autorizzato... abbiamo già levato alto il nostro grido di dolore!!!
Però...
Però il post, a mio avviso, pone di striscio, velato, accennato, il problema di un corretto abbigliamento sul posto di lavoro. Se io fossi stato il capo, di fronte alla "minigonna più corta del guardaroba" avrei intimato alla (sciagurata) ragazzina di tornare a casa ed indossare un vestito più adatto ad un ambiente di lavoro, il che equivale a dire qualcosa che somigliasse più ad una gonna che ad una cintura (la "minigonna più corta del guardaroba").
Siamo in una società per la quale la nudità, parziale o totale, al di fuori di un opportuno contesto (es. campo nudisti) è un chiaro segnale sessuale. Io maschietto non vengo in ufficio a dorso nudo, indossando pantaloncini attillati che evidenziano il pacco, tu femminuccia non mi sbatti in faccia coscie, tette e quant'altro.
Per far capire come la penso dirò...
Un giorno vado in facoltà con la cinquecento di mio fratello. All'atto di ritornare a casa una mia compagna, per la quale sbavavo letteralmente, mi chiede un passaggio per la stazione dei treni.
IO: giovane, ingenuo fanciullo; non avevo una donna avevo però un tasso ormonale per il quale non avrei superato l'antidoping.
LEI: una minigonna che era solo un dito più bassa delle mutamde.
Ci siediamo in macchina e mi avvio verso verso la stazione. Mi volto verso di lei e cominciamo a chiacchierare: lo giuro su quanto ho di più sacro al mondo, non lo facevo apposta, con intenzione, ma, ogni volta che mi voltavo verso di lei, gli occhi si dirigevano sulle sue cosce. Era un automatismo assolutamente indipendente dalla mia volontà.
Lei se ne accorge (e come avrebbe potuto non accorgersene?!) e comincia a tirar giù il lembo della gonna nel tentativo di coprirsi le gambe. Imbarazzatissimo pensai "Ma cosa tiri giù? Non lo vedi che manca la stoffa?", dopo di che cominciai a guidare evitando di guardarla, mi dicevo "Non guardarla, se no pensa che sei il solito maschilista!". Guidavo guardando fisso davanti a me, senza volgere lo sguardo rispondendo ai suoi discorsi con dei secchi "sì", "no", "mah".
Giunti a destinazione lei scese ed io tirai un sospiro di sollievo... l'incubo era finito.
P.S. era fidanzatissima, di li a poco si sarebbe sposata.
Mi domando: ero io che violavo la sua libertà di andare con le cosce all'aria, o era lei che violava la mia libertà di non vedermi sbattere in faccia un paio di cosce da urlo senza che a questo facesse seguito qualcos'altro?
 
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