S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Lunedì e mercoledì la bimba va a danza, martedì riunione, giovedì mia madre sta con i bimbi così posso dedicarmi a un po' di arretrati e venerdì... Incastrata dalle maestre che mi chiedono di partecipare a un corso sull'affettività. L'entusiasmo con cui mi accingo a partecipare all'incontro è paragonabile a quello di Mina quando le si chiede di fare una televendita. Ovviamente sono scettica. Spero che saremo in tanti, in modo da potermi defilare, nascondere l'iPod tra i capelli e scrivere un paio di post, per non sprecare il mio tempo prezioso. Dato che è il periodo giusto, mi sfiora l'angoscia di svenire come Moretti in Caos calmo (la citazione aumenterà la visibilità del blog su Google, o Sara...). La psicologa, affabile, rassicurante, ordinaria (sembra che abbia lasciato il sugo sul fuoco e sia sommersa almeno quanto le astanti dalle incombenze domestiche) ci dice: “Ora ciascuna di voi – siamo solo mamme, n.d.b.- si presenterà e dirà perché è qui”. Cazzo. Mi sembra di essere a una riunione di alcolisti anonimi, ora cosa mi inventerò?
La signora che parla per prima dice telegraficamente nome, cognome, professione e adduce la semplice curiosità come motivazione. Io sono la seconda. Niente panico. Non posso ripetere la sua motivazione. E neppure il suo nome. “Salve, sono Erba. Sono ipercinetica, mia figlia mi rilassa, sdrammatizzando la mia tensione. Sono qui perché a volte mi sento io la figlia.” Ben fatto. Potrei scrivere anche a Natalia Aspesi, a questo punto. Che noia, penso, e in effetti si susseguono brevi comunicati: la signora con i capelli biondi, quella sempre impeccabile, dice che lei si sente in colpa perché crede di non fare mai abbastanza, poi tocca quella grassoccia e quindi a quella che non si trucca mai. Mi sembra però che vi sia un crescendo, sento quasi un clima di familiarità.
È il turno della mamma di Giulia. Ha lo sguardo intelligente, ma non sorride mai, è sempre spigolosa. Scommetto che si lamenterà come ogni mattina: non si fa in tempo ad alzarsi che siamo già in ritardo, non so cosa preparare per il pranzo e per la cena, oggi c'è anche il nuoto... Cose assolutamente normali. Mi sbaglio. Il suo sguardo si fa più tenero e dice “Io sono qui perché vorrei imparare a sorridere”. Smetto di pasticciare la Moleskine e la guardo. E penso a me, al fatto che so sorridere ancora, al blog, a quanto mi piaccia scrivere per gioco la sera. Mi distraggo e così non ascolto il nome di una signora che ha il figlio in un'altra sezione, una bruttina, sciatta, anonima. Dice poi “Sono qui perché è dura. Mio figlio, Mattia, è in carrozzella”. Noi conteniamo a stento lo stupore e quasi esclamiamo ad alta voce “Che culo! Non è successo a me.” Continuiamo ad ascoltare, neanche avesse detto “Mio figlio ha un grosso neo”; pariamo il colpo, insomma. Cosa credi? Ci dovremmo spaventare perché un bimbo è in carrozzella? Mica è nostro, voglio dire: è solo che è una cosa nuova, concedici un po' di tempo per imparare ad affrontarla. Guarda che nessuno lo vuole emarginare, anzi, perché tu ne sia certa, farò costruire uno scivolo a casa mia, così poi viene a giocare. E beh, noi siamo progressisti, siamo di sinistra. Ma lei continua a parlare, dice che suo figlio piange di notte. Come molti bambini, no? Sì, però, ecco, non ha paura del buio o del lupo o dei rapitori di Tommaso, no. Piange di rabbia. “Sono arrabbiato perché non posso camminare, mamma”.
Un bel problema. La mamma, però, è preparata, si vede subito. Ci fa capire che possiamo stare tranquille e concentrarci sul nostro problema del parcheggio all'ora di punta. Che diamine! Anche Clara, l'amichetta di Heidi, era in carrozzella, ma era felice. C'è chi gli vuole bene. Va tutto bene. Davvero bene. Anche se ha sei anni e non può correre, né fare i capricci per andare a giocare a pallone. No, proprio non ci può andare. Ma sì, tutto bene: la mamma saprà trovare le parole giuste. E poi ora l'aiuterà la psicologa. Non dimentichiamo, inoltre, che con internet si abbattono molte barriere.
Bene. Abbiamo finito, ora? Abbiamo avuto la nostra dose di dolore quotidiano. Devo anche passare dal salumiere. C'è ancora una mamma che deve presentarsi, forse è la più giovane. Non supera i trenta. È tesa, fragile, questo non è previsto dal copione. Non parla bene, ma ha le idee chiare. Ha due figli, uno è invalido. “Non è facile, lo sapete tutti”, dice per renderci partecipi, “ma per me, ecco, non lo è davvero”. Sembra imbarazzata (no guarda, proprio non devi). Dice che non vorrebbe arrendersi, che si sente sola. E non è semplice parlare. Una cosa è sentire e un'altra è ascoltare. Beh, sì. Oggi sei stata molto chiara.
Erba
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