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Cuori di pezza

Post n°26 pubblicato il 16 Settembre 2009 da max_6_66
 
Tag: diana
Foto di max_6_66

Vengo da un fine settimana strano. Tutto è cominciato venerdì nel tardo pomeriggio. L’ultimo appuntamento della giornata era saltato e alle 16,30 gli impegni di lavoro erano già finiti. Dopo  ore e ore passate in auto a macinare chilometri mi era venuta voglia di una passeggiata. Forse stimolato dal fatto che la macchina era comunque parcheggiata all’ingresso del parco di Villa Fiorelli, forse perché comunque avevo voglia di pensare. Giacca sotto il braccio, cravatta allentata, sono entrato e ho iniziato a camminare.

Sdraiati, vicini, talmente vicini che non c’era un millimetro tra di loro. Lei lo sentiva appunto così, pensando che non era possibile che il suo braccio sinistro non sfiorasse il braccio destro di lui. Da circa quattro ore, sdraiati, immobili. Un foglio di carta non sarebbe passato tra la gamba sinistra di lei e quella destra di lui. Eppure non si toccavano. Poi il furgone si era fermato,  erano arrivati. Una situazione vissuta oramai molte volte negli ultimi quattro anni, sempre a un millimetro di distanza, sempre senza toccarsi, da quando lei aveva capito che il colore ambrato della pelle  di lui aveva la capacità di farla entrare in un vortice di felicità, confusione, e che i suoi occhi le tagliavano il cuore al solo pensarci.

Quando devo pensare devo camminare. E’ un vizio che ho fin da piccolo e che condivido con mio fratello. Con uno spazio aperto a disposizione nessun problema. Immaginatevi due bambini che passano il pomeriggio girando intorno al tavolo di cucina perché devono studiare, e il mal di mare di mia madre che nella stessa stanza passava lo stesso pomeriggio guardandoci mentre stirava o faceva le faccende di casa. Chiaramente adesso mi viene di farlo solo in casi particolari, gravi,  quando la difficoltà non riguarda solo il problema che devo risolvere, ma addirittura devo districare tutta una serie di cose tra cui capire addirittura il problema qual è. Ci sono voluti almeno tre giri del parco perché la nebbia dentro di me si diradasse quel minimo utile a farmi intravedere almeno i contorni: ero assillato da un qualcosa che aveva a che fare con i sentimenti, con il mio voler essere così testardamente single, nonostante le donne eccezionali che ho avuto la fortuna di frequentare e conoscere, nonostante sia nato e cresciuto con l’esempio vivente di due genitori che da quasi cinquanta anni vivono felicemente e in armonia il loro matrimonio. Nonostante i momenti in cui, anche uno che adora stare in solitudine, si sente effettivamente solo.

Il portellone posteriore del furgone era stato aperto e la luce era esplosa all’interno. Ancora un attimo e lei  avrebbe visto quel volto e nel suo petto sarebbe comparso un meraviglioso dolore . Poi  sarebbe iniziata la commedia di sempre, della donna fedele e virtuosa, di compagna di un altro che oramai non sentiva più suo, forse perché immerso nei suoi problemi, nella sua carriera, nel gestire il suo ruolo di vincente, un uomo oramai estraneo, che aveva dimenticato come a lei piaceva essere accarezzata dolcemente. Quell’altro che aveva dimenticato come le piacesse essere abbracciata in modo deciso, con le mani che si chiudevano forte sulle sue braccia,  per non farla fuggire, per tenerla prigioniera fino a che non avesse acconsentito a  un bacio, non dato per cedere alla legge del più forte che pretende con violenza, ma finalmente concesso a chi lo chiede con la smania di un assetato che nel deserto chiede l’acqua alla fonte, affinché salvi la sua vita.

Non mi preoccupavo del fatto che nel parco c’erano soprattutto bambini e persone in tenuta sportiva. Sicuramente spiccava una persona come me,  in cravatta, che camminava su e giù per i vari sentieri, ma perso nei miei pensieri mi ero talmente estraniato dal mondo che mi circondava che non mi interessavo della cosa. Alla fine del parco rimasi stupito dalla grande quantità di  bambini presenti. Niente di strano in realtà, perché poco distante vidi il consueto teatrino tipico degli spettacoli di burattini. Quando però mi resi conto che si trattava addirittura di uno spettacolo di pupi siciliani originali, la mia attenzione salì al massimo, anche perché si tratta di uno spettacolo  che non avevo mai avuto l’opportunità di vedere dal vivo. Fu così che su una delle panche di ferro poste davanti al palco, in mezzo a bambini, madri, nonni e nipoti, prese posto un tipo strano in giacca e cravatta. Era ancora meglio di come me l’aspettavo, storia classica con Orlando che impegnato nell’impresa di liberare la buona parte delle terre di Andalusia ancora in mano araba, si trova anche a dover salvare la bella Angelica dalle grinfie del feroce Saladino che l’aveva rapita. Combattimenti, addirittura a cavallo, rumore di metallo delle spade che si infrangono sulle armature, quasi due ore di versi in ottave prima di arrivare al duello finale, dove l’eroe Orlando uccide l’avversario e libera l’amata. La virtù della bella Angelica era salva. Nella mia follia di quello strano pomeriggio mi era però venuta, non so come, la sensazione che lei non ne fosse troppo felice. Forse una punta del mio solito cinismo da single, che a volte scatena questa ironia feroce nei confronti delle storie con il consueto lieto fine.

Non bisogna stupirsi di niente. Anche di presunti miracoli o fenomeni magici si trova sempre lo scienziato in grado di individuarne il trucco o comunque una spiegazione razionale, un motivo per cui l’evento si è realizzato grazie a una combinazione, pur rarissima e improbabile, di fenomeni ben circoscritti e spiegabili nell’ambito  dalla chimica e dalla fisica. E’ pur vero che molti oggetti inanimati si muovono apparentemente in autonomia, anche un trenino elettrico, una macchina radiocomandata, una bambola parlante che piange lacrime che sembrano vere. Oggetti privi di vita che grazie a marchingegni alimentati elettricamente forniscono loro una parvenza di vita propria. Immaginare che la trina di un vestito di lana si sfreghi, contrariamente a quanto si era sempre cercato di evitare fino a quel momento, con un corpo rivestito di metallo, appoggiato esattamente al suo fianco su un piano di legno, generando una scintilla di elettricità statica, rappresenta una possibilità non remota. Ma che questa scintilla rappresenti una energia sufficiente a muovere un meccanismo inanimato, mi sembra piuttosto azzardato da spiegare razionalmente.

Il mio cinismo. Quello che a volte mi fa pensare che passioni e sentimenti hanno alla base una precisa origine fisiologica nel nostro corpo. Ormoni che rimbalzano al nostro interno  cambiando il nostro umore e influenzando le nostre sensazioni. Infondo anche una cosa assolutamente misteriosa come il cervello umano ha alla base il fatto che è composto di materia organica e funziona con impulsi simili a piccole scosse elettriche. E quando penso a queste micro particelle e a queste scosse, mi cade tutta l’impalcatura magica intorno a quanto viceversa potrebbe esserci di più bello e nobile nella nostra esistenza. Ma mentre stavo vanificando con questi  tristi pensieri quello che era stato fino a quel momento un pomeriggio tutto sommato interessante, dal retropalco del teatrino improvvisato  stavano arrivando delle grida. Avvicinandomi come buona parte degli spettatori nel timore che fosse successo qualcosa di grave, mi trovavo davanti agli stessi burattinai che litigavano tra loro, accusandosi vicendevolmente di essersi distratti, causando il furto di alcuni dei pupi. Mancavano, oltre a un cavallo, i personaggi di Angelica e del Feroce Saladino. Nel caos della situazione mi ero poi allontanato, desideroso di concludere questo pomeriggio da bambino al parco nel modo migliore, ovvero con un gelato cioccolato e crema. All’entrata del parco c’era appunto il Morino, nome del mitico gelataio ambulante che con un’Ape Piaggio  adattata allo scopo, riforniva di gelato la nostra adolescenza e con il quale oramai vengono chiamati tutti i gelatai ambulanti. Mentre mi incamminavo avevo come un’ immagine davanti agli occhi,  la sensazione di aver visto, di aver assistito a qualcosa che non riuscivo però a concretizzare. Un movimento tra i cespugli mentre assistevo alla fine dello spettacolo, forse il ladro, non so.

Con il mio gelato mi sono trovato seduto vicino ad una faccia già vista, un monello di sette, forse otto anni che durante tutto lo spettacolo non aveva fatto altro che tormentare alcune bambine sedute davanti a lui. Seduti uno  fianco all’altro, uno in pantaloni corti e maglietta con mostri spaziali l’altro in giacca e cravatta  guardavamo entrambi fisso davanti a noi. E’ stato  lui a rompere il ghiaccio, deciso, sicuro - Io li ho visti, non sono stati i ladri, sono scappati. Sono scappati con il cavallo – Che corrispondeva esattamente al pensiero che mi girava in testa da un po’, ma che non riuscivo a concretizzare, o meglio che non avevo il coraggio di ammettere a me stesso. Ancora un interminabile minuto concentrati ognuno sul proprio gelato, ma sempre guardando entrambi fisso davanti a noi, in attesa della sua prossima domanda  –Secondo te dove sono andati…?- Un  ultimo attimo prima di rispondere, poi sempre guardando davanti a me, ma più lontano,  con il leggero sorriso di chi comincia a capirci qualcosa – A Malaga…..-

 
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