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Verso un regno dove buongiorno vuol dire veramente buongiorno

Post n°227 pubblicato il 29 Luglio 2010 da max_6_66
Foto di max_6_66

Si, sono un viaggiatore casalingo, di quelli che starebbero sempre in giro ma che in ogni caso, quando il viaggio finisce, durante il ritorno pensano con piacere al momento in cui si troveranno tra le mura domestiche. Lavoro in giro per l’Italia, e allo stesso tempo approfitto di tutte le occasioni possibili per saltare su un aereo e partire verso tutti gli angoli più o meno conosciuti del mondo. Vivo con curiosità il film che attraverso gli occhi entra dentro di me in questi momenti, per poi al ritorno tuffarmi con grande piacere sui divani di casa mia o sui cuscini delle sedie in giardino a leggere un libro, a fissare nel vuoto immerso nei miei pensieri, a scarabocchiare con la mia scrittura incomprensibile su un Bartezzaghi. Non è un caso che ci pensi adesso. Mancano pochi giorni alla partenza per le vacanze, ma soprattutto sto per iniziare il tratto appenninico dell’autostrada, i chilometri da Sasso Marconi a Firenze Nord che concludono definitivamente la mia settimana a Milano. Il divano, il mio divano preferito, quello nella sala all’ingresso di casa, dove la ventola sul soffitto proietta ombre che si muovono lentamente. Spero solo che in questa mia settimana di assenza sia arrivata poca posta. Certo, a metà mese arrivano gli estratti conto delle carte di credito, magari qualche bolletta, sicuramente un po’ di pubblicità. Speriamo che la cassetta non sia piena, altrimenti è un problema serio.

Sono anche un chiacchierone silenzioso. In genere guardo incuriosito, ascolto, ma parlo poco. E’ un minestrone di pudore, timidezza, riservatezza, che improvvisamente cambia. Un po’ come se rimanessi per tutto il tempo necessario ad ascoltare chi mi sta davanti, e poi ad un certo punto, dicessi “hei, adesso tocca a me….”. Da li inizio a parlare e non mi fermo più. E’ chiaro, che in un territorio che non è il mio, in una città che non è la mia, tendo a diventare invisibile. Non è proprio una mia scelta. Oltre il fatto caratteriale ci sono molti posti che mi costringono a diventare invisibile. Un po’ come i programmi televisivi dove la gente si insulta. Nelle situazioni dove l’unico modo per manifestare la propria presenza, per dire “io esisto”, è la prevaricazione, il volume della voce più alto degli altri, la sopraffazione fisica e verbale, io preferisco “non esistere”. Mi alzo dalla mia sedia, saluto tutti, e da quel momento divento trasparente, mentre mi incammino verso l’uscita. Nei posti dove invece le persone per prima cosa ti sorridono, dove quando ti vedono da lontano allargano le braccia e ti vengono incontro a grandi passi, pur sentendo all’inizio un po’ di disagio dovuto alla timidezza, mi siedo e ascolto tutto quello che hanno da dire con piacere. Fossero necessarie anche dieci ore, nessun problema. Certo, che dopo , tocca a me.

Parto da un posto dove ho sentito solo gridare. E ho sentito gridare talmente forte che a Bologna, anche se si tratta di un eco lontano, riesce ancora a farsi sentire e disturbare. Tra un po’ inizieranno le gallerie che mi porteranno oltre l’Appennino, verso casa mia, dove al mattino gli uccelli fanno un gran casino, ti fanno sobbalzare dal letto, per poi riconsegnarti alle ore più belle del sonno, quelle che guardi la sveglia e vedi che manca ancora un’ ora. Sono storni e merli, fanno un rumore infernale, ma allo stesso tempo quel misto di cinguettii e fischi ti fa riaddormentare meravigliosamente. Ci sono tante gallerie tra Roncobilaccio e Firenze Nord, e tutte le volte che ne attraverso una, l’eco delle urla si affievolisce un po’ di più. Traffico, rallentamenti, code, mi trovo fermo in attesa proprio prima dell’ultima galleria, l’ingorgo inizia a defluire e la imbocco. Arrivato di nuovo nella luce, Calenzano mi accoglie silenziosa, deviazione in direzione Pisa e cambio di autostrada. Sono a casa, parcheggio. E la buca delle lettere è piena.

Non è che mi dia fastidio ricevere posta, anche se nell’era dove la corrispondenza personale arriva sullo schermo del PC, di solito si tratta di conti e bollette. Il primo problema grosso è che ho perduto la chiave per aprirla un mese fa, il secondo è che la mia cassetta della posta è una specie di blocco di ghisa murato all’interno di una colonna. Oramai ho un sistema collaudato: entro in casa, prendo il cacciavite, e ravanando attraverso la fessura riesco ad estrarre le buste. Mezze strappate ed in condizioni pessime, ma le tiro fuori. L’impiegata delle poste sta iniziando a sospettare qualcosa, visto che le ultime bollette che ho pagato sembravano masticate da un cane. E qui inizia il terzo problema, perché nonostante sia già ora di cena e le strade siano deserte, c’è sempre qualcuno che passa e mi vede compiere l’operazione. Nelle città “moderne e civili”, non succederebbe nulla, più o meno come se rantolassi sdraiato sul marciapiede. Il tuo vicino di casa che sta portando fuori il cane allungherebbe il passo per non calpestarti, forse la bestiola ti farebbe una pisciatina addosso, ma la considerazione finirebbe li. Dove vivo io non succede così, infatti dopo appena quindici, forse venti minuti, la colonnina del cancello di casa mia è circondata da almeno cinque persone che osservano, chiedono cosa succede, si accarezzano il mento con indice e pollice nell’atteggiamento tipico del pensatore, e iniziano a proporre le prime soluzioni al problema. Dopo un’ora siamo già in dieci persone, alcuni tentativi sono già falliti, tutti pensano in silenzio. Qualcuno si ricorda improvvisamente che il padrone del bar sulla curva gli ha detto in gioventù di aver fatto il fabbro. Si crea subito un corteo per andare a prelevarlo da dietro il bancone ed ascoltare un suo parere autorevole. Il corteo rientra, adesso l’esperto è impegnato perché è l’ora del caffè serale, arriverà tra un’oretta. La moglie del mio vicino nel frattempo esce di casa a prendere il marito, rimproverandolo del fatto che la cena è nel piatto da un’ora, mi vede con la valigia in mano, capisce al volo che sono appena tornato e mi trascina insieme al consorte al tavolo di casa sua per mangiare qualcosa. Il vicino acconsente volentieri e mi trascina per l’altro braccio, perché tanto fino a che non arriva il barista-fabbro la situazione è in stallo. La frittata effettivamente è fredda, ma è buona. Mente mangio ripenso a due mesi fa, quando parcheggiando l’auto mi è saltata una mattonella di porfido e ci abbiamo fatto le due di notte. Per fortuna il fidanzato di una delle due figlie della signora che sta all’angolo vicino all’elettrauto fa il piastrellista, e quella sera si trovava proprio in casa da loro.

Sto quasi per spengere la luce sul comodino, indeciso se leggere un capitolo del libro li vicino, quando suona il telefono. E’ una collega che ha voglia di parlare. Sta passando un momento particolarmente difficile e si è già sfogata parecchio con me nei giorni che abbiamo passato insieme a Milano. A causa di un misto micidiale di problemi lavorativi e personali soffre di insonnia, o comunque non riesce a riposare bene di notte. Per questo mi sta telefonando a quest’ora molto, molto, molto tarda. Non mi è mai piaciuto dare consigli, però non mi pesa dedicare del tempo ad ascoltare chi ha voglia di parlare con me o comunque di sfogarsi. Dopo un giro completo della lancetta lunga, il suo monologo si interrompe, dandomi la possibilità di raccontargli dei merli e degli storni, e mentre sto pensando al fatto che sia un peccato che nelle grani città come quella dove lei vive non ci siano, mi smentisce immediatamente, ringraziandomi di averglielo fatto notare. Anzi, mi ringrazia, sentendosi sicura che si tratti di una cosa che funziona. Mentre mi da la buona notte vengo colto da un’idea, e le impongo di divulgare questo grande segreto a tutte le persone che conosce, iniziando da domattina con tutti gli inquilini del suo palazzo che incontrerà per le scale.

Mi addormento sereno ripensando alla trovata. Sono sicuro che il virus si propagherà, all’inizio lentamente, poi via via in modo esponenziale avvolgerà la città come un lenzuolo profumato di bucato asciugato al sole. Tra qualche anno, con un po’ di fortuna, non ci sarà bisogno di arrivare in fretta alle gallerie per smettere di sentire quell’eco orribile.

 
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