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notte in bianco e nero

Post n°50 pubblicato il 24 Ottobre 2009 da max_6_66
 
Tag: Angela
Foto di max_6_66

La prima impressione è stata quella che mi fossi svegliato in piena notte, forse per andare in bagno, forse per il rumore terribile che veniva dalla strada. In ogni caso mi sono ritrovato a camminare, nel buio, frastornato, incontrando ostacoli che non ricordavo ingombrassero il corridoio che porta dalla camera al bagno. Anche il bagno mi sembrava più stretto del normale.

E’ a quel punto che accendendo la luce ho visto che non mi trovavo nel bagno di casa mia. Muri scrostati, piastrelle mancanti per la maggior parte del muro, una doccia appena coperta da una tenda in nylon sporca e strappata. Uno scarafaggio aveva iniziato a correre, forse perché disturbato dalla luce. Chi poteva aver ridotto il bagno di casa mia in quelle condizioni ?

Il sonno mi è passato del tutto quando sono rientrato in camera e anche li ho acceso la luce. Un letto, un comodino con sopra una abatjour con la copertura sbruciacchiata, un piccolo armadio senza porte, o meglio, un palo di ferro tra due fiancate di legno con appese due giacche e due paia di pantaloni, rigorosamente identici, rigorosamente grigio scuro, una camicia bianca, ancora dentro il sacchetto della lavanderia. Per terra cicche di sigarette, su un tavolino un bicchiere e una bottiglia di bourbon Wild Turkey. Dalla finestra entrava un rumore assordante di clacson, misto a urla e musica. Dopo un primo indugio ad aprirla, per la paura di chissà cosa avrei visto, la curiosità ha preso il sopravvento, scaraventando il mio corpo verso quell’apertura ad una velocità tale che ho rischiato quasi di cadere di sotto. Una sfilata di macchine d’epoca, americane, gente che camminava lungo il marciapiede, nebbia, forse vapore, pioggia sottile. Un momento. Dove sono i colori ? Non ci sono….è tutto rigorosamente in bianco e nero. Ancora paura, poi la voglia di gettarsi in quello spettacolo. Bastava togliersi quel ridicolo pigiama a righe (pigiama  righe…..??? Mai avuto uno….), camicia bianca, vestito grigio, cravatta nera, sottile, scarpe nere, e gettarsi nella mischia. Ho fatto tutto in un attimo, la pendola nell’ingresso segnava le cinque (di pomeriggio, vista la gente in strada). Mi è venuta voglia di un caffè, ma l’angolo cucina non era certo invitante, quindi poteva bastare una sigaretta. Su un tavolinetto all’ingresso un pacchetto morbido di Luky, senza filtro. Guardandomi ad uno specchio sporco (di rossetto….? Come se ci fosse stato scritto qualcosa, cancellato in seguito con le mani), mi sono reso conto che mancava ancora qualcosa. Era tutto sull’attaccapanni alla mia destra: impermeabile beige e cappello scuro. Avevo indossato tutto guardandomi allo specchio. L’inclinazione del cappello era importante, ben calato sugli occhi, ma non troppo. La cintura dell’impermeabile ben stretta, bavero alzato, sigaretta in bocca (ancora spenta), ho aperto la porta e mi sono trovato fuori. Ho sputato per terra un po’ di tabacco (che con le sigarette senza filtro va sempre in bocca), ho acceso la sigaretta con un cerino e mi sono incamminato in mezzo al vapore che saliva dai tombini, lungo il marciapiede. Una moneta, prendo un giornale, solite storie, marito ricco trovato ucciso in casa, in copertina la foto della moglie, che ha fatto perdere le proprie tracce, si sospetta che fosse addirittura l’amante di un Boss.

Arrivato davanti ad un vecchio palazzo sono entrato e mi sono diretto verso l’ascensore. Per fortuna il ragazzo sapeva già a che piano portarmi. Un corridoio, in fondo al quale, su una porta a vetri c’era il mio nome con sotto scritto “Private investigations”. La chiave che apriva quella porta era nella tasca dell’impermeabile. Una breve anticamera, con un divanetto sdrucito e subito una stanza con una scrivania. Mi sono seduto e ho cominciato ad aprire un po’ di cassetti, poi ho acceso un’altra Luky.

Foto di persone sconosciute, fogli di appunti sporchi di caffè, polvere giunta allo stato solidificato un po’ dappertutto, una brocca elettrica per il caffè sopra un mobiletto, l’unico oggetto perfettamente pulito. E anche funzionante, il caffè in polvere era giusto dentro lo stesso mobiletto, niente zucchero. Un rumore, forse qualcuno che sta bussando alla porta. Cappellino con veletta, vestito da sera, anzi, il vestito della sera precedente, una faccia da giornale, troppo uguale a quella che c’è in prima pagina sul giornale davanti a me. Mi chiede una sigaretta, in casa sua non le permettono di fumare, poi inizia il racconto. Ha guidato per tutta la notte, ascoltando musica, ha fatto un giro veloce delle sue amiche, ma adesso ha bisogno di un posto sicuro, in attesa che io scopra qualcosa. Faccio una telefonata ad una lontana parente, mentre continuo ad osservare il suo sguardo dolce e remissivo, cercando di capirne l’ età, una donna matura, piccoli gesti da bambina, quando si siede sulla sedia meno polverosa ed accavalla le gambe per un istante si fermano anche le mosche. Rimangono immobili a mezz’aria per un istante. Se ne va lasciando un profumo dolciastro che mi farà compagnia per le due ore successive che passo in quella stanza cercando di riordinare le idee. L’ora di cena arriva velocemente quando ti alzi dal letto alle cinque del pomeriggio. La notte in compenso sarebbe stata lunga.

Esco nel corridoio, mentre mi chiedo perché sto chiudendo così con cura la porta sento della musica da ballo che arriva da una delle stanze vicine. Mi avvicino, non è un disco, è un’orchestra, sta suonando un boogie. Individuo la porta, mi sistemo il cappello, la apro e mi trovo nel giardino di una villa. Ci sono uomini in smoking dappertutto e donne fasciate in vestiti luccicanti. In cima alla doppia scalinata che conduce dal giardino all’entrata della Villa un uomo fuma un Cohiba Lanceros e osserva tutto con lo sguardo soddisfatto del padrone di casa. Tutto questo deve avere per forza un senso, mi fido del mio intuito e mi avvicino.

E’ il mio vicino di casa, quello che fa l’ambulante. Ha un banco di abbigliamento e biancheria e fa i mercati settimanali. Ho capito tutto, la settimana scorsa gli ho prestato “il Grande Gatsby” di Fitzgerald e adesso mi sono intromesso nel suo sogno. Da lontano mi vede, mi saluta con un cenno della mano. Ricambio e torno sui miei passi, verso la porta che conduce al mio corridoio sporco.

Sono lungo il marciapiede, in mezzo al vapore, fischiettando una canzone dei Dire Straits, penso. Cos’hai quando il giorno finisce, cos’hai da portare via ? Una bottiglia di whisky, un nuovo set di bugie, persiane alle finestre e un dolore dietro agli occhi. Scarred for life, no compensation, Private Investigation. Questo fischietto appena pochi istanti prima di venir risucchiato dalla nebbia e ritrovarmi nel letto di casa mia, con una sveglia che suona furiosa come solo lei sa fare alle sette e mezzo del mattino, sul comodino, giusto accanto ad un libro di Raymond Carver.

 
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