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Ricominciare (Phnom Penh – Cambodia)

Post n°243 pubblicato il 05 Settembre 2010 da max_6_66
Foto di max_6_66

La valigia era già fatta e chiusa dalla mattina. Il viaggio di ritorno sarebbe durato ben oltre le trenta ore, ma una volta compiuto il primo passo, dallo scalino dell’hotel sul quale mi trovato seduto al cassone del Pick up che mi avrebbe portato alla stazione dell’ autobus, che mi avrebbe portato all’aereo verso Zurigo, da li a quello verso Firenze, e infine sulla macchina di mio fratello che mi avrebbe portato davanti al cancello di casa mia, sarebbe stato tutto finito. L’andata era iniziata dallo stesso cancello, da li in poi era stato viaggio, emozione, cose da raccontare. Il ritorno invece non conta, non fa punteggio.

Venticinque giorni sono molti, ti abitui a quell’aria, a quegli odori. Ti abitui anche un po’ alle parole, al tipo di volto e al diverso modo di camminare che hanno le persone. Il modo di camminare. Questo pensavo. Diverso si, ma la persona che stava venendo verso di me camminava al contrario, all’indietro.

In principio, vivendo nella città più asiatica d’Italia non mi ero stupito molto. Ho visto molte volte cinesi e anche pakistani camminare all’indietro per ore in un tratto di strada deserto e periferico. E’ una specie di espiazione, di pentimento per aver fatto una cosa che si è dimostrata sbagliata. Ma qui no, qui era diverso, tutti stavano camminando al contrario, anche le macchine procedevano a marcia indietro, sempre più veloci, il sole si rituffava nel mare, le luci si accendevano e si rispendevano, le nuvole correvano nel cielo, ancora volti, risate, sempre più veloci, fino a costringermi a chiudere gli occhi per trovare nel buio un sollievo. Ma anche in quel buio una voce mi interrogava chiedendomi  cosa è servito tutto questo.

 “Per quello che vale, non è mai troppo tardi. O nel mio caso, troppo presto. Per essere quello che vuoi essere non c’è limite di tempo, comincia quando vuoi. Vuoi cambiare.....o vuoi rimanere come sei...? Non esiste una regola in questo. Possiamo vivere ogni cosa al meglio. O al peggio. Spero che tu viva tutto al meglio. Spero che tu possa vedere cose sorprendenti. Spero che tu possa avere emozioni sempre nuove. Spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi. Spero che tu possa essere orgoglioso della tua vita. E se ti accorgi di non esserlo, spero che tu trovi la forza di ricominciare da zero.....”

La faccia dell’autista del pick up, che aveva caricato la mia valigia e il mio zaino sul cassone chissà da quanto, è stata la prima cosa che ho visto quando ho riaperto gli occhi. Ho iniziato a preoccuparmi degli orari, del ritardo, delle coincidenze degli autobus e degli aerei. Erano venticinque giorni che non lo facevo. Il primo passo dallo scalino era già stato fatto.

Il figlio del tipo che guidava stava sulla panca laterale del cassone vicino a me, per farmi compagnia e scambiare due chiacchiere. Nel mio pessimo inglese avevo cercato di spiegargli quello che mi era successo, che tutto improvvisamente aveva cominciato a girare al contrario. Siccome tutti in questi posti parlano il mio stesso pessimo inglese, probabilmente aveva capito subito e infatti era arrivata immediata la sua risposta sorridente. “Ah, niente di strano, succede da queste parti. Succede”.

 
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